“…a tremendously gifted writer with a unique vision, the possessor of an exquisitely lovely voice, a whiz on fiddle and acoustic bass, and a good producer…” (Billboard).
Venti giorni erano già passati, sfrecciando tra deserti, canyons, highways & honky tonks. L’auto aveva percorso ben oltre 3.000 miglia e qualcosa ci faceva sentire di essere sulla via del ritorno. L’ultima tappa di un programma non troppo studiato, prima di costeggiare l’oceano verso Los Angeles dove ci attendeva l’aereo che ci avrebbe riportati a casa, era la città di San Francisco.
In questa bella cittadina a misura d’uomo, dall’atmosfera rilassata e un poco europea, quella fine estate del 1983 avemmo modo di passare un paio di serate in un locale che per anni fu un fermo punto di riferimento per gli amanti del suono tradizionale, bluegrass e country, il Paul’s Saloon.
Anni dopo, attraverso le pagine della rivista Bluegrass Unlimited, venni a sapere della chiusura del locale, e la cosa, capirete leggendo, mi fece particolare tristezza. Il Paul’s Saloon per quasi due decenni ospitò moltissime formazioni musicali, alcune delle quali provenienti dal Sud Est in tour sulla Costa Ovest, ma quelle due magiche sere ci offrirono qualcosa di speciale, una band di western swing acustico e un’altra di bluegrass: in entrambe suonava e cantava una allora sconosciuta Laurie Lewis.
L’ambiente era familiare e finire la nottata bevendo in compagnia dei musicisti era una cosa da considerarsi quantomai normale. I miei tre compagni di viaggio vissero bene quei momenti, pur non essendo affatto abituati a quel tipo di sonorità.
Non fu quindi faticoso convincerli ad un ulteriore concerto, il terzo giorno, in una specie di folk club in riva al mare chiamato The Light House, dove si sarebbero esibiti due gruppi, i Good Ol’ Persons di Kathy Kallick e la Grant Street String Band di Laurie Lewis.
Facemmo bene a dar retta a Tom Bekeny, il mandolinista di quest’ultima formazione che con calore ci invitò a parteciparvi, perché lo show si rivelò spassosissimo.
A questo punto potevamo lasciare San Francisco, felici e contenti, particolarmente il sottoscritto grazie all’LP di debutto della Grant Street che si portò a casa e che continua ancora oggi a ricordargli quei lontani momenti. Le note di copertina di quel disco, ristampato in CD dalla Flat Rock Records (in origine Bonita Records 111) due o tre anni fa, erano scritte da Pete Wernick, e si concludevano con sinceri apprezzamenti sulle qualità della band e con l’auspicio che si producessero più album debutto come quello, con i musicisti maturi nel loro ruolo e con un suono di gruppo dì tale livello.
Per Laurie Lewis, in realtà, quella non fu la prima esperienza discografica, bisogna infatti fare un salto a ritroso fino al lontano 1977 per scoprire un LP che oggi sono pochi a ricordare, stampato per la minuscola Bay Records (Bay 208) e inciso con Kathy Kallick, Barbara Mendelsohn, Dorothy Baxter e l’unico maschietto, Paul Shelasky. Ma andiamo con ordine.
Laurie Lewis è cresciuta nella Bay Area di San Francisco, una zona in cui il ‘folk revival’ dei primi anni ’60 ebbe un notevole seguito; molte erano le occasioni per venire a contatto con musicisti del passato rimessi in pista nel circuito dei college e nei festival estivi.
Non a caso, anche Laurie cita nomi come Mississippi John Hurt, Bill Monroe e Stanley Brothers tra quelli che maggiormente la influenzarono nel periodo della sua formazione, insieme ai più ‘giovani’ Doc Watson, Jean Ritchie e Greenbriar Boys.
Cominciò prestissimo a studiare il violino, lo strumento con il quale ancora oggi meglio si esprime, fino ad acquisirne una padronanza tale che le consentì più tardi, nei primi anni ’70, di attestarsi ben due volte il premio di migliore fiddler al California State Fiddle Championship.
Le prime esperienze di gruppo la videro coinvolta in formazioni completamente acustiche di old time e bluegrass dai nomi esilaranti (‘Phantoms Of The Opry’ e ‘Arkansas Sheiks’!), gruppi dall’impostazione tradizionale che amavano tuttavia spaziare anche nel country e nello swing.
Con Kathy Kallick, conosciuta proprio durante queste sue esperienze, a metà degli anni ’70 decise di dar vita ai Good Ol’ Persons, un gruppo tutto femminile all’inizio, ma che coinvolse alcune valide figure maschili come il già citato Paul Shelasky e successivamente il mandolinista John Reischman.
Il quintetto ebbe lunga vita e buon successo, coronato da un contratto con la Kaleidoscope Records di Tom Diamant e da diversi tour europei, uno dei quali toccò anche la nostra vecchia Italia.
Quel primo album offriva canzoni di diversa provenienza, dagli Stanley Brothers a Lefty Frizzell, da Doc Watson a Don Gibson, oltre ad una buona manciata di traditionals e di pezzi originali, scritti dalle sempre prolifiche Kathy Kallick e Laurie Lewis. Un disco prodotto con quattro soldi, ma che possiede ancora oggi quel fascino artigianale delle cose più genuine e vere.
Lasciati i Good Ol’ Persons, Laurie si concentra nella sua piccola bottega di liuteria per diverso tempo, fino a quando, a cavallo tra i ’70 e gli anni ’80, decide di dar vita ad una sua formazione denominata Grant Street String Band con la quale incide quel disco di cui tanto ho parlato in precedenza.
I suoi compagni di avventura del periodo erano i bravi Tom Bekeny (mandolino) e Steve Krouse (banjo), il bravissimo chitarrista Greg Townsend e la moglie di Tom Diamant, la contrabbassista Beth Weil, discreta sullo strumento, affermata invece ‘album designer’ per tutti gli anni ’80.
Il disco metteva bene in luce le qualità di Laurie Lewis, sia come cantante che violinista, e anche come autrice grazie a due episodi che si rivelarono tra le cose migliori dell’album. L’accoglienza tributata a questo disco evidentemente la incoraggiò a proseguire con determinazione, cercando di varcare il confine della California per conquistarsi un più vasto pubblico e, possibilmente, un contratto con una etichetta di maggiori dimensioni.
Non dovette attendere a lungo. Il 1986 fu l’anno dell’uscita del suo primo album solista, Restless Rambling Heart (Flying Fish FF 406).
Prodotto dalla stessa Lewis in coppia con Tim O’Brien, contiene delle canzoni di rara bellezza, da Cowgirl’s Song, scritta da Laurie e più tardi eseguita anche da Patsy Montana (!), alla toccante e lunga The Maple’s Lament per solo violino e voce.
Ben sette brani su undici erano frutto del suo talento di autrice, e questo elevava l’artista ad un livello di prima grandezza nel panorama dei nuovi talenti del mondo bluegrass e country. La raccolta conteneva inoltre la prima versione mai registrata di Hold To A Dream di Tim O’Brlen, eseguita l’hanno successivo dal Newgrass Revival e solo nel 1991 dal suo autore.
Anche questo disco lo si può parzialmente ascoltare nella raccolta Earth & Sky, The Songs Of Laurie Lewis (Rounder CD 0400).
Un ulteriore passo in avanti nella direzione precedentemente intrapresa, ovvero quella di proporre brani tradizionali, bluegrass e di country acustico oltre a canzoni accompagnate da strumentazione elettrica, lo si riscontra nel suo successivo lavoro, datato 1989 e intitolato Love Chooses You (Flying Fish FF 70487).
Il cast qui diventa stellare, perché questo è ciò che evidentemente Laurie Lewis merita. Gli ‘elettrici’: Buddy Emmons (pedal steel), Matt Rollings (piano), Dave Pomeroy (basso), Kenny Malone (drums), Jim Horn (sax). Gli ‘acustici’: Alan O’Bryant, Tammy Fassaert, Stephanie Davis e Tom Rozum (cori), Russ Barenberg (chitarra), Jerry Douglas (dobro), Mark Schatz (contrabbasso), Craig Smith (banjo), Sam Bush (mandolino), Pat Enright (chitarra), Mark Hembree (contrabbasso).
Il disco è più vario che mai: country music della più classica, quella prodotta con gusto e amore; bluegrass moderno e al contempo tradizionale; Irish folk credibile quanto quello suonato da questa parte dell’oceano; swing notturno con una Laurie cantante da brividi; western swing danzereccio con un assolo conclusivo che si vorrebbe molto più lungo e, infine, la title track in chiusura, premiata successivamente dalla cover della più famosa Kathy Mattea.
Il successivo disco, il primo con formazione bluegrass classica dal lontano debutto su Bonita Records, è Singin’ My Troubles Away (Flying Fish FF 70515) con il quale la sempre più brava Laurie ci offre modo di scoprire il talento di altri quattro validi musicisti, di cui un paio ritenuti assi del loro strumento, Tony Furtado eclettico e fantasioso banjoista, e Scott Nygaard chitarrista di scuola jazz ma col grande amore per la flat-picking guitar. Gli altri sono Tom Rozum, mandolinista dalla tecnica particolare, anch’egli proveniente da esperienze jazz oltre che rock, e Tammy Fassaert, brava cantante e contrabbassista con all’attivo un disco per l’olandese Strictly Country Records, Just Passin’ Through (SCR-36 1994).
Singin’ My Troubles Away contiene solo una canzone firmata dalla Lewis, in questo caso preferisce infatti utilizzare pochi altri autori contemporanei (Sarah Elizabeth Campbell, Si Kahn, Stephanie Davis), alcuni del passato più remoto (Jimmie Rodgers, Bill Halley, Louvin Bros., Rose Maddox, Alton Delmore) qualche traditional e un pezzo di Furtado che fa scintille.
Si tratta di un disco bluegrass, così come il bluegrass è suonato in California, elevata tecnica strumentale, armonizzazioni particolari, atmosfere non lonesome ma non per questo meno cariche di pathos.
Siamo al 1991, ed esce uno degli ultimi dischi prodotti dalla Kaleidoscope Records, Together (ristampato dalla Rounder, CD-0318, 1994), una collaborazione tra Laurie Lewis e la sua vecchia amica Kathy Kallick, coadiuvate da alcuni nomi della scena nord californiana, John Reischman, Sally Van Meter, Tony Furtado, Tom Rozum, Tom Bekeny, Charles Sawtelle, Butch Waller e Tony Marcus.
Anche in questo caso, come quasi tutta la successiva produzione di Laurie, è musica completamente acustica, di provenienza bluegrass, country e cantautorale.
Non è la prima collaborazione, e non sarà l’ultima, particolare menzione va al disco Blue Rose (Sugar Hill 3768) registrato tutto al femminile con Cathy Fink, Sally Van Meter, Marcy Marxer e Molly Mason nel 1988, del quale in molti abbiamo a lungo e invano atteso un ‘volume 2′.
I primi anni ’90 la vedono molto impegnata nell’esibirsi in ogni angolo dei suoi Stati Uniti e
della nostra Europa.
Ricordiamo la sua visita a Milano nel maggio 1991, un concerto che molti portano ancora nel cuore e nella proria memoria come una bella esperienza umana. In quell’occasione si presentò con il suo compagno Tom Rozum al mandolino, Scott Nygaard alla chitarra (oggi e un O’Boy di Tim O’Brien) e Cary Black al basso.
I suoi live show, a conferma delle belle incisioni del precedente periodo, furono di grande aiuto alla sua affermazione a livello internazionale. Desidero sottolineare, per la cronaca, che in questi anni e con una certa frequenza, Laurie Lewis ha ricevuto una bella serie di award: Migliore Voce Femminile (due volte!), e Migliore Album dell’Anno (Love Chooses You).
Il suo ritorno in studio, in occasione delle registrazioni di True Stories (Rounder CD-0300, 1993), ha rappresentato un’ulteriore occasione per affermare la propria maturità artistica, non solo come autrice (7 brani su 13 sono originali), ma soprattutto in qualità di interprete. Testimonianza ne è Who Will Watch The Home Piace? un brano di estrema bellezza che ha ricevuto il riconoscimento di Canzone dell’Anno da parte della International Bluegrass Music Association.
Con True Stories, al quale hanno partecipato tra gli altri Todd Phillips, Mike Marshall, Rob Ickes, Nina Gerber (Kate Wolf), Peter McLaughlin (suo chitarrista del periodo) e Joe Craven, si definisce la linea stilistica con la quale l’artista californiana con coerenza si esprime ancora oggi, un sound creato con più elementi, dal bluegrass all’old time, dal country al cajun, dallo swing al tejano, con l’utilizzo di strumentazione prettamente acustica, l’inserimento di eventuali, discrete percussioni e di tanto in tanto di accordeon e chitarra elettrica.
Proprio come certi dischi di Tim O’Brien, per intenderci.
The Oak And The Laurel (Rounder CD-0340, 1995) riporta Laurie Lewis a suoni più bluegrass, spesso old time, comunque folk. Si tratta di un ‘duet album’ con Tom Rozum e pochi altri musicisti di accompagnamento. Nonostante l’approccio più tradizionale, nell’album, insieme a brani della Carter Family e di Don Stover, trovano spazio alcune canzoni d’autore e due deliziosi omaggi ai Louvin e agli Everly Brothers.
The Oak… è stato candidato addirittura per il Grammy Award nella sezione ‘Folk Album’. Un must.
Infine, Seeing Things (Rounder CD-0428, 1998). Nulla da aggiungere. In perfetta continuità con True Stories soprattutto. Ancora dolce e coinvolgente musica acustica di matrice ‘roots’. Qui siamo nell’attualità, pertanto non vi sono storie da raccontare, solo momenti da cogliere, proprio come un frutto ancora appeso all’albero. Qualcuno ha detto di Laurie Lewis che “la sua musica è come un ritorno a casa”.
E’ vero, regala una sensazione di serenità e gioia di vivere. Una gioia che presto, spero, potremo forse condividere.
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 47, 1999