Bob Cheevers

E’ una serata fredda e piovosa quella di venerdì 2 Marzo 2001 e la voglia di restarsene in casa dopo una lunga settimana di lavoro non è davvero trascurabile, ma l’occasione di vedere dal vivo Bob Cheevers e per di più alla Calamita di Cavriago (RE), quindi ad una decina di chilometri da casa, è troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Di Bob (classe 1943) bisogna subito dire che non è popolarissimo sul patrio lido italico ed è un vero peccato, poiché si tratta di un cantautore con i controfiocchi: basti dire che la sua voce è la sintesi perfetta fra quelle di Willie Nelson e Neil Young (scusate se è poco), argomento che è stato fonte di una brillante conversazione con lo stesso Bob, che si è dimostrato estremamente disponibile e davvero bravo nel suo ruolo di storyteller; peccato che il pubblico accorso non fosse numericamente rilevante come si sarebbe voluto.

Le assonanze con questi due mostri sacri non devono però rappresentare il motivo della validità e dell’interesse che Bob Cheevers suscita spontaneamente all’orecchio di chi vuole dedicargli un poco di attenzione: Bob è un artista ‘in his own right’, con oltre dieci albums al suo attivo, che egli vende direttamente dal suo sito internet e con una carica di umanità che è facile percepire ascoltando le sue magiche ballate, venate di blues, di r&b e di folk. Camicia a scacchi bianchi e neri, jeans neri e scarpe da ginnastica, il Nostro è salito sul palco alle 23,30, ha imbracciato la sua fida chitarra acustica e si è subito lanciato in un tour-de-force che è durato oltre un’ora e mezzo, vertendo essenzialmente sul materiale dei suoi ultimi due albums, Gettysburg To Graceland (1997) ed il più recente The Stories I Write (1999), vero e proprio gioiello di ‘Americana’ cantautorale e sincero manifesto di un artista che prosegue idealmente il ruolo che tanto caro fu al compianto Jim Croce, quello cioè di narratore delle vicende di personaggi a metà strada fra realtà e fantasia, ma descritti con una vivacità di particolari tale da farli sembrare reali.
Lo show decolla subito con Delta Gold, che viene resa da Bob in maniera superba, pur spogliata – per esigenze strumentali, visto che Bob si è esibito in completa solitudine – del banjo di introduzione e della batteria militaresca della versione sull’ultimo album.
Dallo stesso CD escono anche altre due perle: Watermelon Jim (con la voce che ricorda Willie Nelson in maniera quasi imbarazzante) e la sublime That’s What I’ll Do Tomorrow, ballata eterea arpeggiata in punta di dita ed eseguita con grande trasporto.

Ancora in apertura di concerto, ad inframmezzare questi estratti, Bob si esibisce in River Gonna Rise, tributo a Steve Earle tratto da Gettysburg…, oltre a presentare due inediti, Blue Delta Dawn, basata sui ricordi di una relazione che non ha più ragione di esistere e la dolce, arpeggiata ed autobiografica ballata Living Proof, dedicata alla donna che è attualmente la sua ‘girlfriend’, dopo il divorzio che ha segnato la fine del suo matrimonio, che Bob esegue con le tonalità nasali tipiche delle sue interpretazioni (e non solo delle sue…).
Lo script rock che caratterizza la versione di Coleen presente su Gettysburg… deriva in gran parte dalla band di accompagnamento, ma in veste solitaria la song non perde mordente e la grinta di Bob fa il resto: … Memphis In The ‘50’s…. Si ritorna ai personaggi cari a Bob con un paio di ‘charachter songs’, Annalee Saint Pierre e Large Marge. Storie di disadattati di colore, prostitute altruiste, battelli a vapore, il Mississippi, la Guerra di Secessione, sono queste le storie che Bob Cheevers scrive con rara maestria, ascoltate – come abbiamo fatto noi – gli oltre sei minuti della Ballad Of Caleb Leedy, figlio di un florido piantatore di cotone che non aveva mai posseduto uno schiavo.
La Guerra fra gli stati è un aspetto ricorrente nelle liriche di Cheevers e Forty Acres And A Mule non fa eccezione: la promessa (non mantenuta) del Presidente Abraham Lincoln di regalare un mulo e quaranta acri di terra a chi volesse dedicarsi alla ricostruzione dopo il 1865 sta a rappresentare tutte le promesse ‘da politicante’, distribuite con dovizia in clima elettorale, salvo poi essere regolarmente dimenticate per una serie di motivazioni ovviamente inoppugnabili.
Tutti questi brani vengono resi con il solo aiuto della chitarra acustica, con frequenti richiami all’ultimo John Hiatt, e la forza che si sprigiona dalla voce di Cheevers, calda, forte, nasale e ruspante è tale da non richiedere altro arrangiamento.

Il concerto prosegue senza soste con due ripescaggi da The Stories…, nella fattispecie si tratta della suggestiva Old Soul (“… l’ho eseguita tante volte che comincio a credere che ogni parola del testo sia vera…” dice Bob presentandola) e di Heroes (richiesta espressamente dal sottoscritto), accorato riconoscimento agli ‘eroi di tutti i giorni’. La casalinga che porta a scuola i figli con una vecchia automobile e poi occupa la sua giornata con un doppio lavoro per mantenere la famiglia, visto che il marito, veterano del Vietnam decorato del ‘Purple Heart’, è confinato su di una sedia a rotelle ed il ragazzino che rifiuta la droga che gli viene proposta ad ogni angolo di strada da spacciatori senza scrupoli sono solo due delle figure alle quali Bob Cheevers rende giustamente merito, pur nella quotidianità, per la loro rettitudine e le porta ad esempio.
Fra questi due brani Bob riesce anche ad inserire l’unica cover della serata, una Old Man di Younghiana memoria resa in maniera incredibile, grazie alla somiglianza – enfatizzata ad arte per l’occasione – con la voce del loner canadese.
E’ poi la volta di un nuovo inedito The Popsicle Man, il corrispondente del nostro venditore di ghiaccioli, che si va ad aggiungere alla lunga lista di personaggi cari all’infanzia del nostro: si tratta di una ballata necessariamente acustica, giocata sui toni della malinconia per i tempi di una infanzia lontana.
Mentre accenna ad un motivo (che si rivelerà essere My Young Dixie Rose), Bob ci confida che si tratta del tema dal film Pomodori Verdi Fritti che lui stesso ha composto, poi cambia improvvisamente idea e si getta in una vissuta esecuzione del suo tributo personale ad Elvis, I Saw The King, tratta anch’essa da Gettysburg….

La voce si fa sinuosa e segue la musica come fosse un serpente, lucido e letale.
Di tutt’altra pasta è fatta la feticistica Underpants, vera e propria confessione di Bob circa il suo debole per la lingerie femminile e ghost-track che chiude The Stories, a proposito della quale pare che l’agente di Bob sostenga la validità del brano in quanto secondo lui particolarmente ‘radio friendly’.
In chiusura di concerto, Bob si concede con una sognante Put On My Love, che faceva bella mostra di sé su The Stories…, ballata molto delicata ed intimista che ben si adatta all’atmosfera attenta della serata. Il brano si muove con eleganza ed il pubblico dimostra calorosamente di apprezzare l’uomo sul palco con fragorosi applausi, rigorosamente alla fine di ogni brano. A seguito di questa ‘sitting ovation’, Bob è richiamato a forza sul palco per un medley acustico di rock’n’roll dove viene richiamato in causa Elvis per Don’t Be Cruel abbinata a Hound Dog.
La serata è una di quelle giuste, prendiamo accordi con Bob per farci mandare i suoi CD che ancora non abbiamo e ci salutiamo scambiandoci i rispettivi indirizzi di posta elettronica. Thank you Bob, we love the stories you write… and sing!

Dino Della Casa, fonte Out Of Time n. 39, 2002

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