Ho aspettato a lungo il secondo lavoro di questo giovane cow-boy, ma temevo quello strano destino di molti talentuosi figli di Nashville che, per qualche strano e crudele gioco delle etichette discografiche, si vedono sacrificati a favore di masse di bei giovanotti le cui qualità artistiche sono inversamente proporzionali alla grandezza dei loro cappelli. Per fortuna Bob ce l’ha fatta e, dopo un esordio che non temo a definire uno dei migliori lavori usciti dalla music row negli ultimi 15 anni, lo troviamo ancora in ottima forma ed assolutamente ispirato.
E’ proprio la sua vena, capace di regalarci piccoli affreschi di storie d’amore finite sul backseat di una Mustang o leggende di country singer consumati dalla propria arte, lo distingue così nettamente da quella pletora di facce pulite che qualcuno continua a smerciare come country-music e, questa grave amarezza di fondo che contraddistingue le sue memorie, lo spinge di diritto tra i grandi del più vero ‘white man’s blues’.
A sottolineare il talento di Bob troviamo due cover, Almost Saturday Night di J. Fogerty e la splendida Everyday I Have To Cry di A. Alexander, ed entrambe ci regalano interpretazioni assolutamente degne delle originali. Come già nel primo disco Bob accompagna la sua voce con tutta una serie di musicisti che, non solo sono la vera crema di quanto offre Nashville, ma in questo caso lasciano a casa quel sapore di routine che spesso inficia lavori simili e, grazie a un impianto sonoro compatto e caloroso, ci regalano parecchie gemme. Non posso saper quanta strada questo disco farà sulle dorate strade delle charts di country e, con una certa sicurezza, posso scommettere che mai giungerà lassù dove osano le camicie a scacchi e i Masini/Ramazzotti del country ma, dopo aver ascoltato quel capolavoro di All That Love Has Worn Away, non ce ne può proprio ‘fregar de meno’…
Curb CUR 037 (Singer Songwriter, Traditional Country, 1997)
Paolo Liborio, fonte Out Of Time n. 23, 1997