Abbiamo incontrato Breezy Rodio per un’intervista, o meglio, più che incontrato lo abbiamo sentito al telefono, e ci siamo confrontati sulla sua esperienza di musicista ormai saldo a Chicago. Grazie all’amico Matteo Sansonetto, che lo conosce da tempo, abbiamo avuto la fortuna di ascoltare delle risposte e dei pareri molto interessanti, e soprattutto, cosa che differenzia sempre il tempo speso bene da quello speso e basta, non è mancato il piacere dello stupore, stavolta per le sue posizioni. Ma andiamo con ordine. Prima di approdare a Chicago Breezy si era trasferito a New York ed in seguito, complice forse la città del vento, quasi per scherzo ha iniziato la carriera di musicista professionista ormai ben dieci anni fa. Più che seguire le domande che ci eravamo preparati, trovando terreno fertile e un forte desiderio di esprimersi e di parlare, abbiamo preferito che fosse proprio Breezy a lasciarsi andare e a tessere il filo conduttore di questa intervista, inserendo qua e là solo alcune interventi quasi servissero come indizi nella nostra caccia per arrivare a scoprire dove era finalmente sepolto il tesoro.
Raccontaci la tua esperienza di musicista di Chicago, come è iniziata e cosa hai fatto in tutti questi anni.
Sono arrivato a Chicago nel 2006 ed ho iniziato a suonare con Linsey Alexander, ma vedi suonare a Chicago è una cosa un po’ diversa, non c’è la scaletta e il repertorio dei musicisti non è fatto da 10 o 20 canzoni. All’inizio ho faticato molto, nei primi concerti il leader Alexander iniziava un pezzo e tu dovevi saperlo fare, sapere a memoria il giro di chitarra. Ma il suo repertorio comprendeva circa 3000 canzoni, per cui conoscerle tutte era impossibile. Quindi ho dovuto studiare molto, ascoltare e tirare giù gli accordi, e la mia formazione e la conoscenza della musica che avevo avuto in Italia mi ha aiutato in questo
A novembre/dicembre 2013 sono stato selezionato per dirigere e presentare il Chicago Blues European Tour. Ogni anno vengono selezionati i migliori musicisti di Chicago che si esibiranno per un mese e passa in tutta Europa. L’ anno scorso ero io il band leader del gruppo con Nellie Tiger Travis, Harmonica Hinds, Linsey Alexander, Pookie Stix, Ron Simmons.
I musicisti di Chicago sono molto amichevoli e fanno suonare tutti quelli che si presentano con uno strumento. Per questo, tornati in Italia, i musicisti italiani si lamentano spesso del diverso trattamento che ricevono nel loro paese rispetto all’America. Il problema è che negli USA la musica è un linguaggio di comunicazione, ed il blues in particolare è la ‘loro’ musica, quindi offrire l’opportunità di suonare è un gesto di cortesia verso qualunque ospite straniero, a prescindere dalla loro abilità. Sarebbe strano fosse diverso, e altrettanto strano se fosse così in Italia, dove il blues non è storicamente la nostra musica.
Che ne pensi del blues, passato, presente e futuro? Cosa ne pensi dei bianchi e del blues?
Vedi, in America bisogna stare attenti al razzismo. Sono molto permalosi e quindi il colore della pelle raramente viene menzionato. Il bianco per loro è l’anglosassone, mentre io non ero considerato come un bianco, quanto piuttosto di un’altra razza, come ad esempio i giapponesi. Il blues è stato creato dai neri, nel Mississippi, ed è una musica che si è evoluta nel tempo, è diventato Rhythm & Blues, poi R&B e poi Hip Hop. Non si può pretendere che rimanga sempre uguale a se stesso, e nemmeno che i neri ascoltino e suonino sempre blues, è proprio come quando fai un figlio e pretendi che rimanga sempre un neonato, ed invece cresce e cambia, diventa diverso dai suoi genitori, e lo stesso è con la musica, il figlio non può rimanere sempre piccolo. Per quanto riguarda poi sia il pubblico che i musicisti, in America i bianchi sono più attirati dal blues tradizionale, e ci sono più bianchi che neri che suonano il blues, e lo stesso rapporto vale per l’audience, ma i neri delle nuove generazioni si sono spostati verso altre direzioni, mentre ad esempio i neri della vecchia generazione apprezzano ancora il blues tradizionale.
Io suono spesso in un juke joint a Chicago in un quartiere pericoloso, ed i bianchi suonano blues moderno, alla Jimi Hendrix per intenderci, mentre io suono il blues vecchio stampo alla T-Bone Walker e come il B.B. King degli esordi, e tutti impazziscono. Ci sono poche persone a Chicago che suonano quel genere che faccio io. L’amore per la musica suonata bene c’è e ci sarà sempre ma la vita va avanti, ed anche il blues si deve adattare e crescere.
Come vedi i musicisti italiani che vengono negli USA e vedi differenze tra come è considerato un musicista in Italia e in America?
Io dico spesso agli italiani che bisogna essere un musicista non un chitarrista. Devi avere una visione di insieme, come in una squadra di calcio, anche il difensore ha il suo ruolo e per vincere bisogna avere lavorare tutti assieme in armonia. I musicisti italiani non hanno rispetto e conoscenza della musica italiana, è il nostro ‘blues’, la musica più bella del mondo…anche se non conosco quella attuale essendo ormai a Chicago da anni. Ci sono moltissimi musicisti italiani che vengono apprezzati dai bluesmen, come Lucio Battisti, Adriano Celentano, Rino Gaetano, Renato Zero, loro avevano Nat King Cole ma noi Fred Buscaglione e pezzi come Volare o Tu Vuò Fa l’Americano. L’atteggiamento ignorante è quello che ti fa pensare che la musica italiana non sia bella nè importante. Ti piace la musica americana solo perché è americana? Il giardino del vicino è sempre più verde. Ad esempio ho appena scoperto che Almeno Tu Nell’Universo è un pezzo studiato in tutto il mondo quasi come un’opera di Mozart perché è un capolavoro, quasi alla Beethoven per intenderci, per cui vorrei ricordare che la musica americana è bella ma non dobbiamo dimenticarci mai da dove veniamo. Dobbiamo essere musicisti completi, senza snobbare altre culture ma soprattutto la nostra, c’è sempre da imparare. Io ho dovuto imparare a tirare giù gli accordi di pezzi ignoti, ma l’ho imparato dalla musica italiana, dai pezzi di Battisti…quindi tutto fa brodo. Un consiglio per i giovani che snobbano la musica italiana a favore del blues puro o la musica americana. Rispetto i gusti, ma la cultura è importante, leviamoci il prosciutto dagli occhi!!
Quali sono state le tue esperienze di chitarrista e con chi hai suonato nei vari anni?
Negli anni ho suonato e collaborato con praticamente tutti i nomi più importanti del Blues. Da Buddy Guy a Billy Branch, Da Lurrie Bell a Carl Weathersby solo per citarne alcuni. Il mio primo disco è stato recensito da Il Blues in maniera un po’ critica nel 2010. Ma la critica ci sta, ci mancherebbe. Non tutti possiamo essere d’accordo. Suonare è sicuramente l’obiettivo di ogni musicista, ma niente assolo di chitarra di 45 minuti, meno si suona meglio è, ecco un altro avviso ai musicisti: l’audience non si diverte ascoltando un assolo che dura più di 3 giri. Bisogna pensare al pubblico, perché fare spettacolo è importante… Non tutti quelli che ti ascoltano sono dei chitarristi, e non bisogna suonare per se stessi, quello lo si fa a casa propria, e in Italia non credo che questo messaggio sia recepito dai musicisti, un assolo di dieci battute è davvero troppo. Meno note si suona meglio è… alla fine l’audience si annoia.. e l’assolo finisce per risultare sempre uguale!
Spesso i musicisti italiani vengono a Chicago o in America e hanno l’opportunità di suonare o addirittura di registrare un disco, ma rimanerci per due settimane è molto diverso dal viverci. Non è giusto rientrare poi nel proprio paese e criticarlo solamente. Sarebbe diverso se avessero dovuto viverci qui a Chicago, per ben 11 anni come me, e non arrivarci solo da ‘turisti’.
Quali sono i tuoi progetti futuri? Pensi di tornare in Italia e se si perché?
Ho un disco in uscita a dicembre 2014. Il titolo del disco è So Close To It e ci sono ospiti speciali del calibro di Billy Branch, Lurrie Bell, Chris Foreman, Carl Weathersby e Joe Barr. Tornare in Italia mi piacerebbe molto certo, l’unico problema è che nel mio paese, o nella stessa Roma, nessuno mi conosce, quindi dopo tutti questi anni farei molta fatica a ricostruirmi un immagine. Pur essendo ormai un professionista proprio a Chicago da tanti anni e con centinaia di serate ogni anno, nel mio paese sono uno sconosciuto!
Purtroppo l’intervista finisce e, in attesa di ascoltarlo dal vivo, non ci rimane che seguire le sue imprese via internet e scoprire ad esempio i vari progetti, non solo di blues, che lo riguardano, tipici di una persona che ha fatto della musica la sua professione. Con piacere dobbiamo dire di averlo trovato particolarmente ficcante e pungente nei confronti dei suoi connazionali, e dei commenti filo-esterofili che spesso si sentono in Europa e soprattutto in Italia. Diverso è, come ha sottolineato, andare a Chicago o nel Mississippi in vacanza, seppure ci siano numerose occasioni di esibirsi per i musicisti, oppure doverci vivere e mantenersi con la musica. Troppo spesso ci dimentichiamo delle nostre origini, rivendicando invece delle radici musicali come il blues che, seppure riescano a muovere le corde del nostro animo, per tradizione non ci appartengono. C’è un unico modo per poter suonare il blues essendo cresciuto nel nostro paese, o in qualunque altro che non sia legato al Mississippi, ed è riconoscendo questo dato di fatto, e mettendo nella propria musica il cuore e la passione della propria terra. Siamo figli dei nostri padri e dal nostro passato non potremo mai fuggire.
Davide Grandi, fonte Il Blues n. 129, 2014