Come sottolineano le note di copertina, per tutta la durata del disco, tranne un episodio con la chitarra ed uno per sola voce, il sessantenne originario della Virginia si accompagna al canto o esegue brani strumentali con il solo ausilio dell’autoharp. Per i meno esperti ricordiamo che questo strumento tradizionale, il cui suono potremmo definirlo un ibrido tra quello dell’arpa e quello della chitarra, fu portato originariamente in auge da Maybelle e Sara Carter della Carter Family.
Con un accompagnamento così minimale si potrebbe pensare ad un disco dal suono monocorde, se non fosse che nelle mani di Bowers l’autoharp riesce a coprire una tale varietà di suoni da far risultare superflua l’aggiunta di ulteriori strumenti.
Dagli inizi come ‘street singer’ nei primi anni settanta quando si guadagnava pochi spiccioli suonando davanti a chiese e pub in quel di Seattle, di tempo ne è passato molto e le ore di esercizio sullo strumento (mentre guidava il furgone della posta con le ginocchia!!) hanno reso il Nostro un performer in grado di tenere la scena in completa solitudine. Bowers non suona in maniera tradizionale (non a caso è entrato con pochi altri nella Autoharp Hall Of Fame), la sua originale tecnica di fingerpicking ha ridefinito il modo di suonare lo strumento, ed è grazie a questo che mountain songs, standard di bluegrass e gospels che abbiamo sentito innumerevoli volte nelle versioni più disparate rivivono in un nuovo ‘celestiale ‘ arrangiamento.
Nonostante le esecuzioni tecnicamente perfette, non ci troviamo comunque di fronte ad un freddo esercizio di stile, Bowers infatti rimane fedele alla sua anima di storyteller di strada e riesce a mantenere inalterato il fascino originario di questa musica.
Flying Fish 0675 (Old Time Music, 2000)
Fabrizio Inzoli, fonte Out Of Time n. 37, 2001
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