Calobo - Live At The Crystal Ballroom cover album

I nostalgici del West-Coast sound d’epoca non si perdano Live At The Crystal Ballroom,  il quinto CD di questa band dell’Oregon. In una decina d’anni di lavoro in comune, la band di David ‘Hobo’ Andrews, chitarra acustica e voce, Caleb Klauder, mandolino, chitarra e voce, Jenny Conlee, piano, Ken Erlick, chitarra elettrica, Nate Query, basso, Brian Bucolo, batteria, e Michele Van Cleef, voce, non solo è divenuta uno dei più richiesti acts della scena alternativa west-coastiana, ma è cresciuta in modo impressionante disco dopo disco.
Il gruppo di Caleb e Hobo, dai cui nomi deriva proprio il nome della band Calobo, si è trasformato da un duo acustico in una jam-band, che sembra raccogliere nel suo sound tutti i migliori elementi del mitico West-Coast rock. Si è inoltre gradualmente rivelato come una delle più eleganti, credibili ed incisive formazioni in questo ambito. Se vi prendete il disturbo (credetemi, si rivelerà un piacere) di ripercorrere la loro discografia conosciuta e autoprodotta per la Padrè Productions, constaterete come la band sia in costante crescita.
Album dopo album, sono migliorati per la qualità dello scripting, il gusto e l’eleganza degli arrangiamenti, la potenza del sound, le capacità stilistiche degli strumentisti, l’abilità di bilanciare acustico ed elettrico, la caratura delle parti vocali e corali, sino ad arrivare a livelli di assoluta eccellenza.

Seguendo il percorso iniziato da Calobo (’92), Runnin’ In The River (’93), Ya Dum Di Dum (’95) ed il recente Stomp (’97), gli ultimi due dei quali registrati con la medesima formazione di questo Live, non ci dobbiamo stupire più di tanto di fronte ad un suono tanto ricco ed articolato, pieno di sfumature, citazioni che vanno al di là del ‘Deadiano’, e alla personalità di una band che è riuscita ad inglobare il meglio di trent’anni e più di West-Coast music.
Rock, dalle sfumature acid, psichedeliche e cantautorali, unite a jazz, gusto per l’improvvisazione su un tema, qualche reminiscenza classica (la straordinaria pianista Jenny Conlee), le armonie vocali delle grandi bands californiane; se amalgamate il tutto con delicatezza in uno shaker trasparente troverete la musica dei Calobo.
I toni, i ritmi, i colori e gli stili sono cangianti, ma il settetto sembra danzare lieve sulla propria musica con magica coesione per ritrovarsi sempre, con felici intuizioni vocali e strumentali, dopo lunghe ed improvvise cavalcate che fanno perdere il senso spazio-tempo in ogni brano.
In questo Live At The Crystal Ballroom di Portland, registrato nel Maggio dello scorso anno, suonano davanti ad un pubblico amico, un pò come i Dead a Frisco, e la partecipazione emotiva della folla è tangibile.

I brani nuovi sono pochi, la maggior parte sono ripresi qua e là dai vari CDs, ma non importa: vengono rigenerati, ricreati e dilatati con maestria e fluidità nella dimensione ‘live’. Quando il frinire dei grilli chiude la lunga Mozambique, brano Deadiano come pochi (American Beauty), con splendide parti vocali e sonorità acustiche e country-gospel che segnano coralmente la fine del concerto, vien solo voglia di ricominciare.
Aprono con un brano folk-rock che non lascia dubbi sulla paternità musicale di Andrews & Co., Seasons Of Love.
David canta un brano folk-rock tutto west-coastiano in stile Jerry Garcia. Il piano di Jenny Conlee inizia a farsi sentire sulle belle sonorità elettro-acustiche delle chitarre e splendide armonie vocali.
Se i genitori si chiamano Dead, la corale What Time Is It?, ritmata e gradevolmente funky, lascia intravedere altri parenti prossimi, i Jefferson Airplane.
Put Your Pipe Down Baby è un brano corale che inizia con il mandolino per crescere in una elegante e fluida dimensione rock-soul: splendido il lavoro delle voci, del piano e della chitarra elettrica.

Qualcuno ricorda gli Stoneground? Eyes Of Mine, una grande ballata giocata sulle voci e gli strumenti acustici (molto bello l’impasto chitarre, mandolino e piano), e Daisy, veloce country-rock con ancora le voci in bella evidenza, il piano, il mandolino e le chitarre su una ritmica incalzante, ricreano sonorità del periodo d’oro delle West-Coast bands.
Billy & Bongo Blues ci riporta ad atmosfere più languide e di una musicalità aperta, calda, avvolgente. Le voci si rincorrono, le chitarre impazzano, il mandolino ha entrate efficaci quanto splendide, la ritmica, piano incluso, è di gran classe.
Funky Town/Sea Journey è un lungo medley che si stempera, dal funkeggiante, in sonorità rock e, poi, jazz-rock. Unisce un brano di Andrews e Klauder con un popolare tema di Chick Corea.
Inutile ricitare i Dead, ma ci troviamo di fronte ad una band molto aperta ad integrare nuove formule espressive. Brilla ancora il nitido ed elegante pianismo della Conlee, ma l’uso delle voci è particolarissimo e tutti i Calobo danno prova di una notevole capacità strumentale in un lungo viaggio jazzy.

Old Nisqually inizia con dure sonorità rock, ma si rivela pian piano uno strumentale di raffinata eleganza avvicinandosi gradualmente e con finezza a ritmi bluegrass e veloce country.
What Is Real non lascia cadere il ritmo, ma è giocata sulla bella voce (femminile) di Michele e sul piano di Jenny.
Pourin’ Rain, grande ballata di Andrews, che si produce anche in una notevole performance vocale, sembra uscita dal songbook di un Dave Mason, di Delaney & Bonnie o di uno Stills perduto. La band dà un ulteriore prova di forza e coesione d’insieme.
La chiusura l’abbiamo già anticipata; ma, attenzione, vi sono altri quattro albums da scoprire, se il gruppo vi intrigherà come immagino.
Non dimenticate questo nome: Calobo. Nel panorama West-Coast attuale, ha la forza di una formula magica, di una parola rituale, di un autentico mantra. Ascoltateli!

Padre 240 (Roots Rock, 1998)

Luigi Busato, fonte Out Of Time n. 30, 1999

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