E’ una riflessione confortante vedere come molti newcomers che si affacciano al mercato discografico (quasi unicamente delle etichette indipendenti) si rifacciano più o meno direttamente e dichiaratamente agli stilemi che hanno reso grande la musica dei cantautori californiani anni ’60-’70 ed il country-rock di analoga provenienza cronologica e geografica.
Chris Richards non è un esordiente, poiché il suo primo CD intitolato Jam The Breeze risale al 2001, ma attendevamo con impazienza questa sua seconda prova proprio perché l’esordio ci aveva stuzzicato ed intrigato non poco.
Chris è giovane, ma è perfettamente in grado di riconoscere il valore di un musicista a dispetto della sua età ed è per questo che ha voluto la pedal steel guitar di Lloyd Green, onnipresente steeler degli anni ’60, per questo suo secondo album.
Il suono di Chris Richards è fresco e vitale, non proprio innovativo, bensì ‘rinnovativo’ di sonorità che quanti di noi hanno già superato gli …anta hanno imparato ad amare tanti anni fa.
Basta ascoltare con attenzione gli impasti vocali e sonori che abbelliscono già l’iniziale To Sing The Blues per avere un’idea abbastanza precisa del sound di Chris.
Non manca neppure l’accenno alle armonie dei Byrds, con tanto di jingle-jangle sound a-la Roger McGuinn: una vera festa.
Hard Livin’ sembra uscire da uno dei dischi più ispirati dei Poco del periodo Furay-Cotton ed è un altro centro.
Non che abbia molto significato citare i brani, unicamente per dovere di cronaca, ma le sonnacchiose note di Bells Of Odilia, contrastano gradevolmente con il brio della remake di Jam The Breeze, piccolo/grande capolavoro e title-track del primo CD; Crazy Too esce un po’ dal seminato, ma la suadente e confidenziale performance di Chris ce la fa amare fin da subito, Hang On The Moon e Hearts Like These sono timide ballate acustiche pizzicate in punta di corde, con la seconda che vede la dolcissima voce di Dawn McCoy duettare con Chris, mentre Nashville Gas è un classico esercizio di cantautorato country-oriented.
One Foot ha un incedere cubo e tenebroso e la voce di Chris Richards non contribuisce ad alleviare la tensione che si fa quasi palpabile con il prosieguo dell’ascolto, ma Honky-Tonk Graveyards sarebbe capace di riportare il sorriso sul volto del più corrucciato ascoltatore: davvero un brano coinvolgente ed accattivante e classico istantaneo.
The Ballad Of The Analog Kid chiude in bellezza questo grande CD, con tutti i brani (eccettuato forse Crazy Too) ben al disopra della media e con almeno due brani (Jam The Breeze e Honky-Tonk Graveyard) eccellenti.
Chris Richards è un grande e dobbiamo credere in lui, ci ricompenserà immediatamente della fiducia che vorremo dimostrargli.
Lake Effect 79053 (Country Rock, 2004)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 73, 2004