L'Universo Country. Da 'USA Musica, Guida ai luoghi e ai suoni d'America'

“Il Blues dei bianchi”? “Musica della quotidianità della classe media”? “Musica dell’America rurale”? Più che con questi appellativi un pó frettolosi il Country si può definire la creazione, il prodotto della cultura espressa dalla classe lavoratrice del Sud che cambiava con il mutare della società, diventando al contempo un elemento dinamico della cultura popolare americana.
Circa 70 anni fa Eck Robertson, violinista texano, incideva quello che oggi è considerato il primo esempio di musica country (al tempo però non si chiamava così). Da allora questa musica è diventata gradualmente una gigantesca industria che si è diffusa a tutti i livelli superando quegli ostacoli un tempo costituiti dall’ambiente sociale, culturale, generazionale e geografico.
Le radici della country music affondano nella cultura popolare del Sud, a sua volta risultante dalla mescolanza delle culture europee con quella africana. Già prima che la radio e le industrie discografiche negli anni ’20 ne scoprissero le potenzialità, la musica rurale dei bianchi era eseguita da numerosi fiddlers, banjoisti, string bands, balladeers che da un capo all’altro del Sud si esibivano nelle fiere di paese, feste private, o altre particolari occasioni che vedevano il rituale raduno di persone.

Per il loro repertorio essi facevano affidamento sull’antico patrimonio di ballate e canzoni popolari tramandato da generazioni, ma anche su quei motivi che, più facilmente adattabili al loro stile o alla loro sensibilità, appartenevano ad altri generi musicali, introducendo elementi della musica nera o del grande repertorio della musica leggera americana di inizio secolo.
Le prime incisioni di musica rurale e il progressivo affermarsi delle stazioni radio che ne compresero l’interesse, crearono pertanto i primi professionisti; erano persone che quasi esclusivamente provenivano dalle classi lavoratrici: ferrovieri, minatori, cow-boy, qualche volta anche predicatori o dottori di campagna. Cantavano nei loro dialetti le esperienze e la quotidianità del Sud rurale e conservatore dove usi e costumi agli occhi della nazione dinamica e tesa al progresso sembravano retrogradi e rozzi. Da qui l’appellativo di hillbilly, che la nascente musica country si portò dietro sino alla fine degli anni ’40.
La diffusione della musica rurale del Sud ebbe l’effetto di far conoscere a un vasto pubblico stili e canzoni altrimenti destinati al quasi anonimato, e contemporaneamente di plasmarne forma e contenuti. La popolarità conseguita omogeneizzò i vari stili folk che attenuarono i loro caratteri più distintivi mentre lentamente nuove composizioni prendevano il posto delle antiche e tradizionali ballate e canzoni. Se anche resta opinabile il concetto di purezza di questa musica, data la moltitudine delle influenze, proprio la capacità di adattamento ha permesso alla musica country di trovare la forza di sopravvivere (e oggi di proliferare con successo) in una società urbana moderna.

Tra le prime hillbilly bands si ricordano formazioni come quelle dei Fruit Jar Drinkers, dei Possum Hunters, degli East Texas Serenaders o dei più famosi Gid Tanner And The Skillet Lickers, Charlie Poole And The North Carolina Ramblers. Suonavano hoe-downs, breakdowns e altri motivi da ballo di origine inglese, ma erano anche aperti alla musica popolare di quell’epoca, specialmente al ragtime che tanto successo aveva avuto in tutti gli Stati Uniti ai tempi della Prima Guerra Mondiale.
Canzoni come Under The Double Eagle, Over The Waves, Redwing, originariamente scritte per tutt’altro pubblico e composte per essere eseguite al pianoforte o addirittura da bande, entrarono a far parte del repertorio di queste string band in maniera duratura (ancora oggi vengono eseguite da molti musicisti old-time e bluegrass). Questi musicisti erano attaccati alla loro gente e alla tradizione, ma nutrivano il desiderio di allargare il proprio pubblico e per fare ciò, aiutati anche dai promoter che paradossalmente ne incoraggiavano il look campestre e da cowboy, si rivolgevano sempre più spesso, pur con dubbi e incertezze, a un più ampio mercato.

Le string bands erano predominanti nelle prime apparizioni radiofoniche e nelle incisioni discografiche, ma ben presto anche qui lo star system si affermò con Vernon Dalhart, che nel 1924 con The Prisoner Song vendette più di un milione di copie, o con Uncle Dave Macon, banjoista e comico proveniente dal Tennessee che fu una delle prime vere grandi star della Grand Ole Opry. Ma di quell’epoca chi lasciò un’impronta riscontrabile ancora oggi furono soprattutto Jimmie Rodgers e la Carter Family. Entrambi incisero per la prima volta a Bristol, Tennessee nel 1927, ‘scoperti’ da Ralph Peer, il mitico talent-scout che legò il suo nome agli esordi di questa musica.
Nessun gruppo meglio della Carter Family, proveniente dalla Virginia, riassunse gli umori e lo stile di quella musica nata in seno alla comunità familiare e religiosa; le loro armonie a tre parti, l’originale stile chitarristico di Maybelle Carter, la loro vasta collezione di antiche canzoni (come Wildwood Flower, Little Log Cabin By The Sea o Will The Circle Be Unbroken) ancora oggi influenzano i cantanti country.

Jimmie Rodgers, inventore del ‘blue yodel’ (commistione fra blues e yodel), divenne invece la prima vera grande star del country, tanto da guadagnarsi l’appellativo postumo di ‘padre della musica country’. La sua era l’immagine del vagabondo libero, in contrapposizione a quella della Carter Family.
Nel periodo della Grande Depressione la musica country andò solidificando le sue posizioni nella cultura popolare americana. Gli anni ’30 videro il proliferare di programmi radiofonici popolati da string band, duo, yodelers, balladeers, cowboy singers. Le cosiddette ‘Radio Barn Dances’ (programmi del sabato sera con una marcata impronta rurale) erano popolari in molte città degli Stati Uniti, compresa New York, pur così lontana culturalmente; nessuna però fu più importante del WLS National Barn Dance di Chicago e, soprattutto, della WSM Grand Ole Opry di Nashville. Fu proprio quest’ultima il maggior propulsore della musica country in America. Nata nel 1925 col nome WSM Barn Dance, venne ribattezzata Grand Ole Opry nel 1927 da George D. Hay, che ne fu direttore artistico e presentatore, e si guadagnò rapidamente la fama di traguardo ambito da ogni artista che in esso vedeva la consacrazione al successo, il sogno della propria carriera (cfr. Nashville).

Altrettanto determinanti per la crescita e diffusione della musica country furono le cosiddette X-Radio (chiamate in questo modo a causa delle loro lettere di identificazione – la prima era sempre una X: XERA, XERF, ecc). Operanti in territorio messicano, appena al di là del confine con Texas, Arizona e California, per sottrarsi alle restrittive leggi statunitensi, furono attive dagli anni ’30 fin verso il 1960. Il loro potentissimo segnale AM era udibile dal Canada al Sud America e in certi casi anche in Europa e Giappone. Di proprietà, soprattutto, di intraprendenti businessmen americani, inondarono gli Stati Uniti di musica rurale, prediche evangeliche e successivamente anche rock’n’roll, il tutto accompagnato da dosi massicce di comunicati commerciali, divenendo un autentico fenomeno popolare.
L’aumento della professionalità e della commercializzazione nella musica country inevitabilmente apportò dei cambiamenti. Canzoni tradizionali continuavano a far parte del repertorio di noti gruppi come i Blue Sky Boys (i fratelli Earl e Bill Bolik) o i Mainer’s Mountaineers, nondimeno nuove composizioni affiancavano le vecchie conquistando i gusti del pubblico. Cantanti e compositori si sentirono pertanto spinti a percorrere nuove strade in cerca di maggiore successo. Mentre nel Southeast le string bands o i duo (di solito composti da fratelli che suonavano chitarra o mandolino) concepivano la musica in modo più tradizionale, fu da Texas e Oklahoma che arrivarono le nuove idee, i nuovi stili che avrebbero rivoluzionato la musica country.

Nel 1934 Gene Autry, un cantante hillbilly texano con precedenti esperienze radiofoniche, approdava a Hollywood per iniziare una brillante carriera come attore di film western musicali. Negli anni a seguire numerosi sarebbero stati i cowboy-cantanti che avrebbero popolato le romantiche praterie di questi film di serie B. In essi la figura del cowboy fu idealizzata e resa romantica, dando origine ad attraenti quanto improbabili eroi senza macchia e senza paura abili tanto con la pistola che con la chitarra. Le melodiche canzoni che sgorgavano dalle ugole di Gene Autry, Roy Rogers, Rex Allen, Tex Ritter erano diverse dalle più autentiche ballate proposte negli anni ’20 da veri reduci della sella come Carl T. Sprague o Jules Allen, ma il pubblico di quel periodo, che riscopriva il mito del West, mostrava apprezzare questa musica e questo stile, frutto di un chiaro compromesso commerciale. Il fenomeno si avviò ad un lento declino nelle decadi successive, ma la moda di vestirsi da cowboy, per i cantanti country, resistette per molti anni ancora.
Meglio che nelle cowboy-songs da film, i cambiamenti e l’evoluzione della cultura del Southwest furono riflessi nella musica country dal western swing, lo stile creato (sempre negli anni ’30) da popolari string bands fortemente influenzate dal jazz. Le western swing bands provenienti da Texas e Oklahoma (Milton Brown & His Musical Brownies, Billy Boyd & His Cowboy Ramblers, The Light Crust Doughboys) erano formazioni dal repertorio quanto mai vario che andava dai tradizionali motivi per violino ai classici jazz, ragtime e swing, dalle canzoni popolari ai blues degli anni ’20 e ’30. Erano aperte a nuove esperienze musicali e nuove idee tanto da introdurre nel loro organico batteria, pianoforte, ottoni, accordion e strumenti amplificati elettricamente.

La musica prodotta era caratterizzata da una vigorosa cadenza ritmica e arricchita da assoli improvvisati, specialmente di fiddle e steel guitar. Il modo di cantare era caldo e rilassato, probabilmente mutuato da quello presente nelle popolari orchestre swing dell’epoca.
L’indiscusso ‘re’ del western swing fu Bob Wills, che con la sua band, i Texas Playboys, dominò la scena musicale nel Southwest e in California per diversi anni, tracciando una via ancor oggi percorsa da innumerevoli musicisti.
Parallelamente al western swing (da cui trasse in parte elementi stilistici) si andò sviluppando, sempre in quelle regioni, anche un’altra forma di musica country denominata ‘honky tonk’, che ebbe il suo apice negli anni ’40 e ’50. Col termine slang ‘honky tonk’ si definivano genericamente quei bar, ubicati di solito alla periferia dei paesi o delle piccole città, che fornivano agli avventori alcolici, donne e musica. Clienti abituali erano agricoltori, operai, camionisti e abitanti delle campagne in genere che desideravano rilassarsi e dimenticare le frustrazioni bevendo e divertendosi. La musica country che entrò in questo ambiente perse molto del carattere naif e bucolico di cui era pervasa, dando origine ad uno stile più realistico, al passo coi tempi, che descriveva i problemi sociali alla base dei cambiamenti in atto nel Sud, creando al contempo un sound più vigoroso e ritmico che fece presto uso di strumenti elettrificati. In altre parole fu la musica che accompagnò la trasformazione del Sud rurale in società sempre più urbana e industrializzata.

Ma fu la Seconda Guerra Mondiale ad accrescere la popolarità del country, ed in parte a mutarne le caratteristiche, nel momento in cui la generale smobilitazione di quegli anni avvicinò gente proveniente da ogni angolo del paese mettendo a contatto culture diverse. Inoltre i juke-box, diffusisi con rapidità, cominciarono ad ospitare dischi di musica country anche in città come Chicago o Detroit.
Mentre la Grand Ole Opry negli anni ’40 consolidava la fama di spettacolo country numero uno in America, Roy Acuff, che ne era entrato a far parte nel 1938, si guadagnò l’appellativo di ‘king of country music’. Acuff, che divenne popolarissimo nel dopoguerra (celebri le sue versioni di Wabash Cannonball e The Great Spekled Byrd che sono diventati dei classici del genere), si è esibito sul quel palco fino a poco prima della sua morte avvenuta nel 1992, a dimostrazione di come questa musica consenta lunghissime carriere.

Nello stesso periodo nacque e si sviluppò il bluegrass, genere ‘inventato’ da Bill Monroe, che derivò questa forma di musica da quella delle string bands del Southeast della decade precedente, lasciandosi influenzare anche da jazz, blues, gospel ed imprimendo al tutto un ritmo e una ‘energia’ rivoluzionari per quei tempi. Al suo lavoro contribuirono in maniera determinante alcuni musicisti del suo gruppo, i Bluegrass Boys, dal quale derivò il nome della musica. Earl Scruggs, in particolare, fu colui che con la rivoluzionaria tecnica banjoistica detta ‘three fingers style’ (stile delle tre dita) portò il bluegrass alla sua forma ‘definitiva’ quando nel 1945 si unì a Bill Monroe. Tuttora gli strumenti base della musica bluegrass sono il violino, la chitarra, il banjo, il mandolino, il dobro e il contrabbasso (generalmente non elettrificati), mentre lo stile vocale è caratterizzato da un canto emozionale carico di toni alti, esposto da più voci che, armonicamente elaborate, spalleggiano e a volte fanno da contrappunto a quella del solista. Queste ed altre caratteristiche fecero del bluegrass un tipo di musica country assolutamente originale e distintivo.

Il primo grande boom commerciale della musica country si verificò nel dopoguerra e durò circa fino a metà degli anni ’50. Il ritrovato benessere dell’America favori la domanda di divertimento, inoltre crebbe il numero delle case discografiche, nuovi spettacoli a somiglianza della Grand Ole Opry trovarono successo (Louisiana Hayride, Big D. Jamboree, ecc.) e artisti come Ernest Tubb, Eddy Arnold, Hank Snow, Kitty Wells, Lefty Frizzell divennero fortunati protagonisti di quegli anni. Il più celebre di tutti però fu Hank Williams, stroncato a soli 29 anni da un attacco di cuore. Le sue stupende canzoni (Cold Cold Heart, Lovesick Blues, Jambalaya, ecc), il fascino particolare che emanava in palcoscenico e la sua prematura scomparsa all’apice della sua carriera, ne fecero un personaggio leggendario, tuttora punto di riferimento per molti cantanti. Con Hank Williams la musica country aveva finalmente ottenuto la definitiva accettazione da parte del mercato, e quella ‘rispettabilità’ tanto desiderata dai suoi interpreti: fu allora che il termine hillbilly cedette lentamente il posto al più moderno country & western. A lui va anche il merito di aver gettato i ponti tra musica country e pop in maniera definitiva (numerose furono le cover di sue canzoni da parte di famosi artisti come Bing Crosby e Tony Bennett).

Poco dopo la morte di Hank Williams l’avvento del rockabilly e, poi, del rock’n’roll provocarono nel country un temporaneo periodo di crisi durante il quale i discografici tendevano soprattutto alla ricerca di nuovi talenti che potessero, se non ripetere, almeno imitare il successo di Elvis Presley. Il risultato musicale fu un compromesso fra tradizione e novità in grado di accontentare sia i vecchi fans che i giovani, che ora rappresentavano la parte più interessante del mercato. Nacque così quello che oggi viene definito Nashville Sound: una musica più moderna i cui arrangiamenti, eliminato il fiddle e la steel guitar, si avvalevano di violini (usati secondo la tradizione classica delle orchestre leggere), pianoforti (dal tocco vellutato), cori di sottofondo, ecc. Una musica molto diversa sia dal rockabilly che dal precedente country della prima metà degli anni ’50.
Fu a questo punto (a cavallo circa del 1960) che la musica country riprese vigore e conobbe un fortunatissimo periodo di crescita commerciale e di grande espansione, anche al di fuori degli Stati Uniti. Le vendite di dischi registrarono sensibili aumenti, le stazioni radio che trasmettevano country ‘full time’ aumentarono progressivamente e anche la televisione iniziò a riservare spazi periodici a questa forma di intrattenimento musicale ormai così popolare da essere ospitata anche alla Carnegie Hall (il tempio della musica americana a New York) e alla Casa Bianca!
Ma negli anni ’60 si notò anche per la prima volta come questo straordinario successo fosse accompagnato da contraddizioni, dubbi e controversie. La diatriba, che in sostanza non ha ancora cessato di contrapporre fazioni di appassionati, riguardava la perdita di identità, di quei tratti tradizionali ritenuti indispensabili a questo genere: prezzo troppo alto pagato in cambio del successo?

Sebbene la continua caccia al disco fortunato che potesse entrare anche nelle classifiche pop era, e rimane tuttora, uno degli obiettivi principali di tanti produttori e cantanti, il ritorno di vecchi stili, il revival di antichi generi country ha però periodicamente sempre trovato spazio sin dall’epoca del rock’n’roll. Oggi la musica honky-tonk continua a vivere attraverso l’attività di famosi cantanti quali Merle Haggard, George Jones, Mel Tillis, Moe Bandy. Il bluegrass è praticato ancora con successo da Bill Monroe e da uno stuolo di numerosi musicisti che ne hanno sostanzialmente preservato l’originario stile acustico, anche se parallelamente si sono fatti strada gruppi assai innovativi come ad esempio i Newgrass Revival che hanno trovato ispirazione anche nel rock.
Il western swing è parimenti riproposto in forme aggiornate dagli Asleep At The Wheel, Alvin Crow, Buddy Emmons, Johnny Gimble e altri, e anche la country music delle string bands degli anni ’20 e ’30 ha trovato appassionati e validi interpreti che oggi la ripropongono come ‘old time music’, in un panorama musicale quanto mai vasto e complesso dove tutto interagisce, subisce sempre nuove influenze e si evolve. Sono stati i giovani a manifestare questo interesse verso le antiche forme della country music, decretando il successo negli anni ’60 di Doc Watson, chitarrista e cantante country-folk alfiere della tradizione, e negli anni ’70 di Emmylou Harris, giovane interprete che, più di ogni altra, mostrava nella sua musica chiari legami con il folk e il vecchio country.

Un ulteriore e decisivo passo in avanti nel processo di avvicinamento di nuove fasce giovanili alla musica country è stato compiuto infine dal country-rock, corrente di origine texana sviluppatasi agli inizi degli anni ’70, che ha avuto tra i suoi esponenti il notissimo Willie Nelson. A lui va il merito di aver catturato l’attenzione dei giovani orientati verso il rock attraverso atteggiamenti, scelte stilistiche e di vita propri della loro cultura e musica.
Negli ultimi vent’ani la musica country è cresciuta acquistando notorietà e pubblico, con segnali inequivocabili: quasi 2.000 stazioni radio solo country, il proliferare di pubblicazioni specializzate, l’incremento sorprendente delle trasmissioni televisive, interesse dell’industria cinematografica per il fenomeno, il palese interesse dei politici (presidenti USA compresi) attenti, ovviamente, a manifestazioni popolari di tale portata. In un terreno così fertile è facile capire come di recente siano potuti approdare alla musica country un numero sempre maggiore di artisti.
Negli anni ’70, come accennato prima, esplode il country-rock, attraverso anche l’espressione dei cosiddetti ‘outlaws’ (fuorilegge): artisti che rifiutavano lo stereotipato e troppo commerciale Nashville sound di quel periodo. Willie Nelson, Waylon Jennings, Tompall & The Glaser Brothers ed altri ancora trasferirono la propria sede operativa a Austin, capitale del Texas, che divenne centro alternativo alla produzione di Nashville. Contemporaneamente cantanti più ‘integrati nel sistema’ come Loretta Lynn o Merle Haggard, autore di eccellenti canzoni tra cui la controversa Okie From Muskogee, dimostravano quale importanza avesse raggiunto questo genere nella società americana. Non a caso nel 1975 Robert Altman, il cui interesse per la musica country quale fenomeno artistico era decisamente basso, intuì comunque la grande importanza di questa, tanto da farne il motivo centrale nel suo film Nashville.

Successivamente altri film che più propriamente se ne occuparono, come Coalminer’s Daughter, Urban Cowboy o Tender Mercies (decisamente il migliore realizzato sull’argomento), completarono quell’immagine di successo che la country music si era guadagnata, catalizzando l’interesse di molti artisti, produttori, industriali del disco in genere, provenienti da aree musicali e geografiche diverse, attirati da questa nuova fonte di sicuro guadagno.
Il risultato fu un aumento della diffusione del country, ma anche un conseguente dilagare di produzioni country-pop: sintomatiche le affermazioni di cantanti come Charlie Rich, Anne Murray, Crystal Gayle, Glen Campbell, Dolly Parton e soprattutto Kenny Rogers, spostatosi progressivamente con determinazione verso la musica pop, fino ad annoverare sodalizi canori con Sheena Easton o Kim Cames.
Accanto a solide star country come Johnny Cash (una carriera iniziata alla fine degli anni ’50 alla Sun Records), Charlie Pride (il primo country singer di colore a dominare le charts), o il già citato Merle Haggard, che si erano costruiti una immagine e uno stile più resistenti al cambiare delle mode, la generale tendenza orientò gran parte della country music verso un genere commerciale i cui tratti distintivi segnalavano, ancora una volta, la vocazione al compromesso.
Nel 1983 iniziarono le trasmissioni del Nashville Network (TNN) e la musica country guadagnò ulteriori consensi ed un successo mai conosciuto prima. Il canale (oggi uno dei più visti in USA), che a questo genere dedicava la quasi totalità della sua programmazione, si rivelò un efficacissimo veicolo pubblicitario per una moltitudine di artisti che trovarono ampi spazi e nuovo pubblico. Trasmissioni nuove dal taglio agile e moderno e l’abbondante uso del videoclip diedero alla country music un carattere di attualità assolutamente indispensabile per continuare ad avere successo.

Così negli anni ’80, anche per la cultura del periodo, che testimoniava il ritrovato orgoglio americano per la propria identità, la musica country registrò una inversione di tendenza con il crescente affermarsi di cantanti che riproponevano in chiave moderna il bluegrass, il western swing, l’honky-tonk. Tra questi ‘new traditionalists’ uno dei primi ad imporsi fu Ricky Skaggs, rivelatosi in giovane età un autentico prodigio. Eccellente mandolinista, violinista e chitarrista, Skaggs fece tesoro delle sue esperienze bluegrass con noti gruppi del settore fino a formarne uno proprio: i Boone Creek. Nel 1977 fece parte della Hot Band che accompagnava Emmylou Harris e successivamente intraprese la carriera solista dando vita ad una musica che rivoluzionava il country reinnestando sullo stesso gli aspetti peculiari del suo passato. Questa operazione, solo apparentemente contraddittoria, aprì la strada del successo ad altri interpreti come George Strait, il texano dalla faccia pulita, legato a classiche atmosfere honky-tonk e strumentazioni western swing e Dwight Yoakam (inizialmente rifiutato da Nashville), grintoso rilettore di rockabilly e honky-tonk.

Contemporaneo di Yoakam anche il successo (una vera meteora nel 1986) di Randy Travis, classe 1959, seguace di Merle Haggard e George Jones; il suo primo album Storms Of Life, milioni di copie vendute in pochissimo tempo, è destinato a rimanere nella storia di questa musica.
Altri ancora si sono collocati all’interno del trend (oggi comunemente definito ‘new country’), generando fenomeni di emulazione, attirando giovani esordienti e catalizzando uno straordinario interesse. Il risultato è oggi una varietà di proposte musicali di notevole qualità ed un numero ragguardevole di artisti di talento: Steve Earl, contemporaneo di Yoakam ma più duro ed elettrico nel suo moderno rockabilly; Nanci Griffith, country e folk singer, raffinata interprete di testi impegnati; Lyle Lovett, look inconsueto e una musica che fonde country, jazz e western swing con arrangiamenti sofisticati; The Judds, madre e figlia che compongono il duo rivelazione degli anni ’80, un country acustico e limpido non privo di grinta; The Whites, Buck e le due figlie, sound tradizionale per orecchie contemporanee; gli Alabama, insieme a Skaggs (forse anche prima) inventori del nuovo country, hit makers degli anni ’80; i Newgrass Revival, miscela esplosiva di bluegrass e rock (!), un’autentica novità premiata da grande successo; K.D. Lang, ragazza canadese dall’aspetto androgino, dotata di grande musicalità e straordinaria voce, che si ispira a Patsy Cline, la famosa country singer tragicamente scomparsa nel 1963.
E ancora l’elenco prosegue con The O’Kanes, Highway 101, The Desert Rose Band, Kathy Mattea, Patty Loveless, The Sweethearts Of The Rodeo, Hank Williams Jr., Ricky Van Shelton, ecc. fino alle più recenti rivelazioni Clint Black, Garth Brooks, Alan Jackson, Trisha Yearwood, che monopolizzano i vertici delle classifiche di vendita.

La musica country oggi è ricca di stimoli e idee nuove ed è un’industria da duemila miliardi; un fenomeno di portata internazionale che alle soglie del 2000 trova ancora nuove motivazioni mantenendo al tempo stesso la sua chiara identità legata al Sud: la maggior parte dei cantanti country continua a provenire dalle classi lavoratrici del Sud e Sud-Ovest e le loro canzoni ancora riflettono e comunicano i valori, le ambiguità, i sentimenti tipici della cultura sudista.
La vita descritta nella musica country anche oggi, in un’epoca moderna così complessa, è vista attraverso elementi e aspetti della quotidianità che riportano a valori semplici come l’amore, la casa, la famiglia, il senso di individualità, la forte identità nazionale.
Forse è proprio questa semplicità il segreto del successo della musica country.

Mario Manciotti, fonte Country Store n. 31, 1996

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