Come tutti i maestri che hanno tenuto lunghe ed appassionanti lezioni, si presenta con aria discreta armato del vecchio e prediletto verbo: il blues. E se probabilmente guarda a Robert Cray ed alla nuova e contaminata generazione di bluesmen con aria di distacco, non è tipo che dà giudizi immediati, anche perché in passato ha suonato zydeco, polka e cajun.
Per salutare gli anni del suo rinascimento artistico Clarence ‘Gatemouth’ Brown, ha scelto di stare con i piedi per terra mantenendo un legame costante con la Louisiana – dove è nato sessantasei anni fa – e con la sua musica, quella che ha sempre suonato.
Standing My Ground, suo ennesimo disco, segue uno spartito classico che non ammette variazioni di sorta. Non è moderno e levigato come The Healer di John Lee Hooker, non è prezzolato come il più recente Robert Cray, non ha la profondità dell’ultimo Wille Dixon, ma è un lavoro onesto, o, per dirla più semplicemente, un album di buon vecchio blues.
Soggetto ad ispirazioni alterne, è un esercizio di stile che non subisce le sollecitazioni negative di chi da anni suona per mestiere.
La scrittura di Clarence ‘Gatemouth’ Brown certo non è quella di una volta, ma l’anima rimane intatta ed inalterata, scalfita appena dal tempo e dal succedersi delle tendenze. La sua miscela blues, limpida, ironica, autobiografica, punteggiata da innesti boogie o zydeco, è un piccolo classico ed in questo senso Standing My Ground suona come l’ennesima variazione di una lezione che già conosciamo ma che, se le tasche sono piene, fa piacere riascoltare.
Alligator AL 4779 (Texas Blues, 1989)
Giuseppe Carboni, fonte Chitarre n. 50, 1990
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