CMA Fan Fest logo

Da cinquant’anni a questa parte l’evento più importante per gli appassionati di musica country è senza dubbio il CMA Fest conosciuto fino alla fine degli anni 90 come Fan Fair. Mai denominazione fu più giusta e rappresentativa come questa: la fiera del fan, nel vero senso della parola.

Fin dalla nascita di questa manifestazione nel lontano 1972 l’intento della CMA (Country Music Association) in collaborazione con la radio WSM è stata quella di presentare e far incontrare ai fans gli artisti country del momento. Si iniziò con un esiguo numero di appassionati (qualche migliaio) e qualche decina di cantanti al Nashville Municipal Auditorium per arrivare a downtown con più di 90000 fans provenienti da tutti gli stati Americani e da 39 paesi stranieri, e centinaia di cantanti disponibili per 4 giorni senza ricevere nessun compenso. Questa è la cosa che più mi fa amare il festival: in nessun’altra parte del mondo, per nessun altro genere musicale si può godere di una simile fortuna. Gli artisti interrompono i loro tour e i loro impegni, si preoccupano di tenere liberi ogni anno questi 4 favolosi giorni perché sanno che, se hanno raggiunto fama e successo, se riescono a riempire gli stadi e a conquistare le vette delle classifiche è grazie a questo esercito di persone che converge nel cuore del Tennessee per reclamare ciò che merita: autografi, foto, strette di mano, concerti memorabili, tutto in soli quattro giorni.

L’elemento fondamentale per chi frequenta il CMA Fest deve essere solo uno: la pazienza, soprattutto in questi ultimi anni in cui l’affluenza del pubblico si è moltiplicata vistosamente.

In questi giorni magici bisogna partire con un piano di battaglia preciso e le idee chiare. Gli eventi sono molteplici, i cantanti sono centinaia dislocati in vari palchi satelliti nel centro di Nashville ed è necessario decidere a chi dare la priorità. Anno dopo anno i luoghi in cui assistere ai concerti sono aumentati, basti pensare che si è arrivati ad avere una decina di palchi in cui suonano contemporaneamente vari artisti. Senza contare che all’interno del Music Center dalle 10 del mattino fino alle 5 di sera si possono trovare vari stands dove è possibile mettersi in fila per poter finalmente avere la foto col proprio idolo. Detto così suona semplice e intuitivo ma bisogna considerare che per avere un autografo importante possono volerci ore. Purtroppo negli ultimi 4-5 anni i cantanti più famosi hanno cominciato a disertare i meet and greet preferendo esibirsi o organizzando i Fan Parties che hanno raggiunto prezzi esorbitanti (per un party di circa 2 ore con Luke Bryan si arrivano a spendere 150 dollari e nonostante la cifra proibitiva i biglietti vanno esauriti in pochi minuti).

Mi ricordo gli anni in cui durante le sessioni di autografi si aveva la possibilità di scegliere tra Dolly Parton, Randy Travis, Alan Jackson, Trace Adkins, i Rascal Flatts, Keith Urban, Brad Paisley: il paradiso in terra per noi appassionati. Oggi più che altro si possono trovare cantanti emergenti, ragazzi sostenitori del country tradizionale appoggiati da case discografiche indipendenti che cercano di autopromuoversi.

Non bisogna mai sottovalutare questi semisconosciuti perché un domani potrebbero diventare i dominatori delle classifiche. A me è successo con Jason Aldean, Chris Young, Thomas Rhett e i Florida Georgia Line.

Quello che i fans hanno chiesto a gran voce nel questionario che è stato inviato al termine della manifestazione è stato proprio il ritorno delle grandi star ai meet and greet nella speranza di venire ascoltati. Tutti vorremmo rivedere Garth Brooks entrare a sorpresa per firmare autografi per 23 ore e 10 minuti.

Un classico dei meet and greet è rappresentato dalle hopeful lines, lunghe file di persone pazienti disposti ad attendere ore pur di arrivare a stringere la mano al loro idolo: questo è il bello del Fan fair!

Il momento principale e più atteso del festival è la sera quando ha inizio il concerto al Nissan Stadium. Un tempo i vari Willie Nelson, George Strait, Dolly Parton, Pam Tillis si esibivano al Nashville Fairgrounds fino a quando nel 2001 si è deciso di portare la manifestazione ad un livello superiore. Le cose sono cambiate radicalmente, si è cercato di inserire il tutto in un contesto di più ampio respiro che potesse coinvolgere più appassionati provenienti da tutto il mondo. Si è cambiato il nome da Fan Fair a CMA Fest come a voler dare risalto all’associazione piuttosto che ai fans. Da quel momento si è capito chi comandava: i concerti allo stadio sono stati concepiti in chiave rock relegando il country tradizionale nei palchi minori.

Ad esempio quest’anno l’esibizione di Cody Johnson esponente moderno del vero country è sembrata una vera e propria esaltazione del country rock. I concerti allo stadio devono essere accattivanti, sorprendenti, mirabolanti. Non c’è posto per la lentezza dal sapore old time. Tutto deve svolgersi come un vero e proprio concerto rock. Memorabile è stato il duetto di Martina McBride, una vera icona del country tradizionale anni 90 con Kid Rock. Quest’anno Miranda Lambert ha invitato sul palco Avril Lavigne mentre anni fa ci siamo sorbiti quasi un’ora di Lenny Kravitz che, nonostante le sue grandi doti di cantante e front man, non è riuscito a farsi accettare totalmente da un pubblico che giustamente pretende country music e basta. Le regole per salire sul palco del Nissan Stadium sono chiare: fare rumore, farsi sentire, avvicinarsi il più possibile a quello spartiacque in cui il rock incontra il country e cercare di valicarlo.

Le aperture delle quattro serate fortunatamente da diversi anni sono affidate ad artisti del passato e per questo risultano le più belle e le più intense. Quest’anno si sono alternati Tanya Tucker, Jo Dee Messina, Tracy Lawrence e Josh Turner che ha celebrato i 20 anni dall’uscita del singolo Long Black Train.

Il concerto di Tanya Tucker merita sicuramente di essere ricordato come uno dei migliori. Davanti a me avevo due ragazzine al massimo sedicenni che alle prime note di Delta Dawn sono esplose in un coro di gioia: se la sono cantata tutta a squarciagola dall’inizio alla fine. Lo stesso entusiasmo lo hanno riservato per l’entrata in scena di Jerry Roll, artista emergente che difficilmente riesco a classificare come country.

Proprio questo fervore per il vecchio e il nuovo mi ha fatto capire che buona parte degli americani non fa così tante distinzioni come facciamo noi ‘stranieri’. Noi intendiamo per musica country tutte le pubblicazioni che vanno dagli anni 70 agli anni 90. Noi classifichiamo come country un cantante solo se ha uno Stetson o una camicia western. Diciamo country e ci vengono in mente Alan Jackson o Brooks and Dunn ma i tempi sono cambiati, sono stati stravolti. Oggi Nashville è affollata di nuove presenze che la CMA e le case discografiche hanno deciso di svecchiare: ecco allora giustificata la presenza di Hardy, conosciuto come The Country Music’s No1 Rockstar, che ha avuto l’onore di chiudere una serata.

Anche a Dan + Shay esponenti di un country decisamente molto pop è stato riservato il momento clou della prima serata. Questo fa riflettere: ormai la crisi è profonda, a Nashville ha chiuso lo storico Wild Horse Saloon, il locale con la più grande pista da ballo mentre stanno avendo molto successo i locali aperti dalle stars: The Ole Red di Blake Shelton ha ospitato per il secondo anno consecutivo la Spotify House dove si sono esibiti i migliori tra cui Brad Paisley, Billy Currington, Reba, John Pardy, Lady A, Jordan Davis, Dierks Bentley, Sam Hunt.

Tra le mie esibizioni preferite non può mancare quella di Keith Urban, il miglior amico del pubblico, un vero intrattenitore. Per tutti i 40 minuti a lui riservati non smette mai di sorridere e verso la fine con buona pace della sicurezza si tuffa tra le braccia del pubblico correndo a destra e sinistra schitarrando accanto a noi mortali. É questo che fa dimenticare tutte le contraddizioni e i disappunti. Quando sul palco arrivano Jason Aldean o i Little Big Town gli animi si riempiono di soddisfazione. Ascoltare Pontoon o Girl Crush è sempre un momento speciale.

Purtroppo quest’anno The Chief Eric Church non ha saputo accontentarci creando una delusione palpabile tra il pubblico. Tutti ci aspettavamo di ascoltare i suoi maggiori successi tra cui Springsteen e non sono arrivati. Abbiamo atteso fin oltre la mezzanotte cercando di capire perché Church abbia preferito un medley in chiave soul-blues dilungandosi in assoli troppo sforzati piuttosto che regalarci semplicemente quello che acclamavamo a gran voce. Ad un certo punto il concerto si è chiuso di netto con stupore e delusione. Se ripenso alle sue performances del passato non riesco a capire il motivo di questa sua scelta, forse dettata dal desiderio di sperimentazione che lo contraddistingue da anni.

Tyler Hubbard ex componente dei Florida Georgia Line ha arricchito la sua esibizione con un nutrito gruppo di ballerini hip hop facendo chiaramente capire in che direzione sta viaggiando la musica di Nashville.

Visto che quest’anno che si celebravano i 50 anni della nascita, la CMA poteva osare di più, poteva regalarci qualcosa di unico come accaduto in passato come quando nel 2009 si presentò a sorpresa sul palco Kenny Chesney. Come dimenticare quella sera in cui Thomas Rhett annunciò Garth Brooks: lo stadio esplose in un boato, nessuno si aspettava una cosa simile: quasi un’ora di successi ininterrotti di un Garth alla massima potenza.

Nonostante tutto però abbiamo potuto godere di un meraviglioso concerto degli Alabama invitati sul palco da Dierks Bentley per ricevere il CMA Pinnacle Award. Strepitoso è stato Vince Gill che, insieme a Luke Combs, ci ha deliziato con il brano One More Last Chance. Posso affermare tranquillamente che queste due performances hanno spazzato via tutti i mugugni che tormentano ogni volta che si parla della CMA e delle sue tendenze ultra moderne.

Ho sentito più di una volta affermare che se si vuole ascoltare musica country bisogna stare lontani da Nashville ma non condivido del tutto questa opinione. Personalmente la migliore musica country l’ho trovata proprio lì lungo la Broadway la strada dei locali dove si suona musica dal vivo e che durante il Festival si riempie di giovani talenti.

Se si ha la pazienza di spulciare il programma ricco di decine di concerti ogni giorno si può ascoltare della grande musica. All’AMP Stage ho assistito a due ottime esibizioni: William Michael Morgan che nonostante sia presente nel circuito da quasi una decina d’anni continua a rimanere un po’ nell’ombra (a causa senza dubbio del suo repertorio molto classico) e Josh Gracin. Sono particolarmente affezionata a quest’ultimo perché la sua è una musica in vero stile anni 90 che non tramonta mai e tutto il pubblico, anche se non numeroso, ha accolto il suo cavallo di battaglia Nothin’ To Loose con urla di gioia.

Ecco perché adoro il CMA Fest, perché la musica che propone è la prosecuzione di quella che quasi un secolo fa ha dato inizio a tutto. La country music non si è mai fermata, è in continuo divenire, siamo passati dai troubadours agli outlaws passando per gli urban cowboys fino ad arrivare ai bros.

Ogni epoca ha avuto i suoi paladini e i suoi personaggi contestati e il Festival, che lo si chiami Fan Fair o CMA Fest ha sempre dato spazio a tutti. Ora stiamo vivendo una fase molto tormentata in cui si stanno affacciando nel panorama musicale figure troppo moderne ed audaci alle quali molti devono ancora abituarsi.

Quello che è certo è che alla chiusura del festival si torna a casa dopo aver visto tutti gli artisti in vetta alle classifiche, che piacciano o no. Fino ad una decina di anni fa eravamo tutti contenti, poi la maggior parte di noi è invecchiata ed ha avuto difficoltà ad accettare tutti questi giovani così lontani dalle melodie rassicuranti a cui eravamo abituati.

Nashville sta investendo molto sia in campo musicale che sportivo: si sta decidendo di costruire un nuovo stadio per poter ospitare uno dei prossimi Super Bowl, sono sorti nuovi quartieri, si ipotizza di poter ripristinare la ferrovia per aumentare i mezzi di collegamento.

Il lavoro da fare è molto, Nashville rimane pur sempre una cittadina di provincia che attinge quasi tutta la sua forza da questa manifestazione. Si spera che i vertici della CMA non dimentichino mai il vero scopo dell’associazione: promuovere e diffondere in tutto il mondo la musica country. Questo festival è uno strumento fondamentale, unico nel suo genere, che riesce a muovere folle immense da tutto il mondo, sarebbe un peccato trasformarlo in una sterile passerella di mediocri artisti di fama passeggera.

Io sono fiduciosa, Nashville è una città preziosa per chi ama questa musica, tutti i cantanti sono legati al festival, la maggior parte di loro prima di calcarne le scene lo ha frequentato da spettatore carico di sogni e aspettative. Ed è proprio grazie alla CMA che tutti i loro sogni si sono avverati, questo vorrà pur significare qualcosa.

L’edizione 2023 si è conclusa abbattendo ogni record di presenze confermando l’importanza di questo evento che è partito da un piccolo posto di periferia fino ad arrivare all’interno di uno stadio gremito di gente.

Quest’anno si sono voluti celebrare i momenti salienti di questo genere musicale, in particolare la Country Music Hall Of Fame ha allestito una mostra il cui titolo racchiude il vero spirito del festival: In The Hands Of The Fans. Si tratta di una raccolta di immagini e documenti che ripercorrono la sua storia e che fanno capire quanto sia importante per il circuito musicale di Nashville la presenza di noi appassionati infaticabili e sempre entusiasti pronti a buttarci ogni anno in quest’avventura che nel nostro cuore rimarrà sempre Fan Fair, la nostra festa.

Gloria Tubino, fonte TLJ, 2023

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