Cooper Terry

Another Man’s Gone”, “You Gotta Move, You Gotta Move…”, in quanti concerti abbiamo cantato insieme questi blues… quanti festival all’aperto, scuole o carceri abbiamo visitato portando la nostra musica! E Cooper Terry, da San Antonio, Texas, è stato per me, milanese purosangue, e senz’altro anche per molti altri, oltre che un amico, un buon maestro.
44 anni, Acquario, polistrumentista (se la cavava bene e con disinvoltura con chitarra, dobro slide, armonica, piano e percussioni) cantando solido, dotato di una comunicativa indiscussa, animale da palcoscenico, Cooper se ne è andato, in silenzio, senza clamori, un po’ da bluesman, così come è stata tutta la sua vita.

Essere un po’ dimenticati, non solo nel blues, non è certo una novità, e poi spesso ci dicevamo che certi testi come Nobody Knows You When You’re Clown ‘n Out… sono belli ed universali proprio per la loro attualità. Sia Cooper che il sottoscritto hanno passato dei momenti, ognuno per motivi diversi, particolari, decisamente tristi ed un po’ solitari, ci sentivamo accomunati dall’abbandono, ma poi non è il termine più appropriato, di coloro con i quali avevamo affrontato lotte e battaglie sociali, umane ed anche politiche. Avevamo trovato però il rimedio a questa forma di razionale e compassata ‘depressione momentanea’: avevamo ricominciato a battere in lungo ed in largo il Paese e l’Europa per far sentire il nostro blues!

Certo mi mancherai Cooper, mi mancherà il tuo sorriso schietto e la tua risata, quasi detonante, le tue battute sporche sul palco e la tua voglia di andare, troppo spesso, controcorrente. Ma ultimamente mi dicevi che ero io quello più incazzato contro tutti e tutto, in realtà volevo farmi carico anche delle tue arrabbiature, visto che la malattia cominciava a minarti nel tuo possente fisico da sportivo eclettico… Cooper, nonostante fosse nero, anzi nero-nero, e fosse blues al 100% non è mai stato apprezzatissimo dalla critica, spesso mi parlava di questo e mi confessava che in Italia si fanno “troppe menate” e che “quasi tutti i critici musicali non capiscono un cazzo di musica…”.

In effetti il pubblico era il grande successo di Cooper Terry, da quando arrivò in Italia nel 1971, si distinse subito per le sue doti artistiche e per la sua grande simpatia; certo aveva il suo caratterino, non sopportava l’ipocrisia, i parassiti e l’ordine costituito, e forse questo, al di là del blues, ci accumunava molto…

Voglio ricordarmi e ricordare Coop, così lo chiamavo, come Coop vorrebbe, citando quegli episodi divertenti nelle nostre scarrozzate sul vecchio diesel tra le campagne toscane, lande e brughiere brumose del Piemonte, i vicoli impossibili di certe città del Sud… e sempre quella sua autoironia che faceva impazzire il pubblico… come quando diceva che avrebbe votato Lega, perché i ‘Vù cumprà’ gli avevano ‘rubato’ la piazza o come quando raccontava dei suoi incontri con i maestri del blues: Sonny Terry (da cui aveva preso il nome artistico, quello vero era Verl Cooper Jr.), John Lee Hooker tra tutti. L’ho sentito abbastanza spesso, gli ho scritto, gli ho parlato dell’Italia, Paese da lui scelto ed amato (conoscendo la gravità della sua malattia, parlavamo anche di progetti per il futuro; il nostro ‘cd live’ acustico era andato proprio bene e tutti e due pensavamo ad un bis….

Coop, senz’altro tu avrai la possibilità di incontrare Robert Johnson o Elmore James, quindi datti da fare anche per me, ci manchi tanto, ma so che adesso stai bene… Non dovrai più fare le ore piccole dopo i concerti, non dovrai più ‘sbatterti’ per ottenere un’intervista dopo aver faticato in sala di incisione, non prenderemo più treni nel pieno della notte e non dormiremo più in quelle situazioni da incubo. Così ti voglio ricordare Coop, amico mio, fratello blues, nel blues e per il blues. Dopo vent’anni di felice sodalizio mi sento solo, svuotato, ancora non ho realizzato che non suoneremo più assieme. Ciao Coop, è stata una bella avventura, certo io e Susy e gli amici più sinceri non ti potremo dimenticare tanto facilmente, credimi, ma tu, mi raccomando ‘prepara la situazione’ per cento, mille, altri eterni concerti di blues.

Fabio Treves, fonte Out Of Time n. 2, 1994

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