Proveniendo da una famiglia di cowboys ed allevatori da ben quattro generazioni, le canzoni di Corb Lund non potevano che essere abbondantemente ‘insaporite’ da tutti quegli argomenti che ruotano attorno alla quotidianità del cowboy: rodeo, doma di cavalli selvaggi, le attività legate alla vita del ranch, le bevute fra amici e le partite a carte, ma se pensate che lo stile musicale della Corb Lund Band sia il solito C & W (Cowboy & Western), dovrete ricredervi ben presto, iniziando già dal loro splendido esordio discografico intitolato Modern Pain (1995).
L’album è stato originariamente stampato in veste di cassetta con una tiratura di soli 1000 esemplari, che sono andati ben presto esauriti, data la bontà del materiale. Billboard Magazine ne ha tessuto le lodi descrivendo le canzoni di Corb Lund come “una delizia sullo stile delle migliori incisioni honky-tonk di Waylon Jennings, Willie Nelson e Jerry Jeff Walker, senza dimenticare l’influenza dello stile da story-teller tipico di Marty Robbins, Ian Tyson e Johnny Cash”.
Signori, ci troviamo di fronte a gente che si ispira al Gotha della musica Country (la maiuscola ci vuole!) e che comunque filtra gli insegnamenti dei padri attraverso la propria sensibilità.
E’ così che cominciano a prendere forma piccoli/grandi classici quali Expectation And The Blues (con il suo ritmo sincopato, la chitarra iniziale che sembra l’intro di On The Road Again – Willie Nelson – ed il suo parlato che rammenta alcuni episodi a-la Commander Cody), We Used To Ride ‘Em (con Ian Tyson nel cuore e nelle orecchie), Untitled Waltz (che sembra una outtake di Red Headed Stranger del grande Willie), Your Game Again (con i suoi continui cambi di tempo, personale ed intrigante), La Souffrance Des Gens ha le labbra ancora sporche dal latte attinto dal seno di Johnny Cash (?) e la chitarra baritonale che ne adorna l’esecuzione la dice lunga sull’amore di Corb Lund per i grandi vati del country.
Lament For Lester Cousins è un divertente uptempo cantato/parlato da Corb Lund (voce solista e chitarra acustica), che si fa aiutare in questo esordio fulminante da Karie Brown e Kurt Ciesla (voce corista e basso) e Ryan Vikedal e Brady Valgardson (batteria).
A seguito delle pressanti richieste dei fans che non erano riusciti ad accapparrarsi una copia del nastro originale, Corb Lund rimixa la cassetta (in formato CD) nel 2003, aggiungendo tre brani nuovi, Waste And Tragedy, Manyberries e Evil In Me, tutti caratterizzati dal particolarissimo stile chitarristico di Corb, oltre ad inserire altrettante performances live: Hockey Song, un classico coinvolgente dei suoi shows e due classici di sempre quali Sixteen Tons e Are You Sure Hank Done It This Way?
Nonostante Modern Pain assorga ben presto al rango di cult-album nel giro dell’alt-country canadese, bisogna attendere fino al 1999 perché esca sul mercato Unforgiving Mistress, il secondo album della Curb Lund Band, realizzato con una parsimonia di strumentazione davvero significativa: chitarra e basso acustici con l’aggiunta di una batteria estremamente ridotta.
La partenza del disco è però eccellente, in quanto Mora (Blackberry) è dotata di forte personalità ed ha classe da vendere.
The Case Of The Wine-soaked Preacher e Remains Of You sono ancora molto particolari e sfuggono ad una catalogazione frettolosa, mentre Guitar From The Wall è più vicina allo script classicamente country.
Non mancano le contaminazioni ad opera del fascinoso Mexico ed è così che nasce Spanish Armada, mentre I’ve Been Needin’, nella sua estrema semplicità, ricorda il modo in cui solo Willie Nelson riesce a dare significato a brani altrimenti vergognosamente banali.
Young And Jaded e Engine Rewer rappresentano un altro esempio delle influenze del country statunitense sull’omologa musica canadese. Abbiamo poi il ripescaggio di We Used To Ride ‘Em dal disco precedente per concludere con The Oldest Rhythm, quasi come se Buster Pointdexter/David Johansen si fosse calato nei panni del nostro cowboy, per fornirci una versione stravolta di quello che già è country ‘alternativo’.
A sorpresa l’album raggiunge la nona posizione nelle classifiche radiofoniche Canadian Campus/Comminity.
Ci vogliono altri tre anni prima che la Corb Lund Band tenga a battesimo il suo terzo progetto, ma finalmente Five Dollar Bill viene pubblicato nel 2002 dall’etichetta canadese Stony Plain.
A tutt’oggi risulta il prodotto più maturo, omogeneo e completo accreditato alla Curb Lund Band, caratterizzato dal sound molto personale di Corb Lund e dal suo songwriting tutto particolare.
Ci troviamo davanti ancora una volta Expectation And The Blues in una versione quanto meno emozionante, ma il resto è inedito ed estremamente invitante, a cominciare dal title-track che apre il disco.
Short Native Grasses (Prairies Of Alberta) ci si presenta sotto forma di una nostalgica ballata acustica, mentre No Roads Here è fortemente evocativa ed alza il livello del pathos dell’opera intera, grazie anche alla chitarra acustica di Curb, che si eleva verso vette incontaminate. Apocalyptic Modified Blues è un esercizo ‘sui generis’, ma Heavy And Leaving rimette le cose a posto (ammesso e non concesso che fossero finite fuori posto) con una prestazione più tradizionale e fruibile.
Time To Switch To Whiskey è l’inno di chi ha deciso di tirare i remi in barca e di godersela per un po’ di tempo, è scanzonata quel tanto che basta ed introduce un’altra song ‘sbracata’: Roughest Neck Around, divertente e dissacratrice.
Daughter Don’t You Marry No Guitar Picker ha lo script classico del blues, ma lo sviluppo è unicamente marcato Curb Lund, con un gustoso numero di duetti fra la voce e la chitarra solista: grande.
(Gonna) Shine Up My Boots riprende un tema caro alla vita del cowboy: quello del sabato sera, quando il nostro rustico personaggio si tira a lucido, lucida gli stivali e si dirige in città in cerca di quell’innocente svago che possono fornire queste vaghe tracce di civiltà. Musica genuina (fiddle a go-go), una ventina di dollari da spendere (il testo deve essere stato scritto tanto tempo fa…) e tanti sogni da cullare.
In chiusura di album incontriamo uno dei momenti più alti dell’intero CD: una bella ballata acustica dal titolo Buckin’ Horse Rider, che tanto rammenta My Heroes Have Always Been Cowboys, interpretata (sia in coppia che singolarmente) da Willie Nelson e Waylon Jennings.
L’album si chiude poi in modo più che positivo con She Won’t Come To Me, eterea e sognante.
Prodotto da Henry Stinson (Dead Reckoners, Steve Earle, Lyle Lovett e Eral Scruggs), il disco vede la partecipazione di grossi nomi quali Tammy Rogers e Dan Dugmore ed è stato nominato quale Miglior Album/Gruppo Roots in diversi polls quali i Juno Awards (gli oscar canadesi della musica), i Canadian Country Music Awards, i Canadian Independent Music Awards e gli Western Canadian Music Awards. A quando un riconoscimento sul nostro patrio suolo?
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 72, 2004