Curtis Knight & The Suires feat. Jimi Hendrix - You Can’t Use My Name cover album

Lungi dall’essere (come potrebbe sembrare) una delle tante riedizioni di materiale pseudo-inedito o raccogliticcio, questa compilation della Sony è in realtà un vero evento discografico, trattandosi della prima riedizione ufficiale e licenziata del materiale diffuso da Ed Chalpin, il manager noto per aver ingaggiato Jimi Hendrix nell’ottobre del 1965 con un contratto triennale che poi si rivelò un grosso problema fin dal momento del lancio con gli Experience e per molti anni a venire, fino in tempi recenti, quindi molto dopo la sua morte. Chi ha letto qualcosa della sua storia o anche semplicemente ha visto il recente film Jimi: All Is By My Side sui primi anni di carriera di Hendrix, già sa quanto penarono Chas Chandler e lo stesso Jimi (allora Jimmy Hendrix) per questo contratto che di fatto lo obbligava a incidere in esclusiva per Chalpin, per di più alla cifra simbolica di un dollaro. Evidentemente Ed Chalpin, prima ancora di Chas Chandler, aveva fiutato il talento del chitarrista, pur mimetizzato e ingabbiato nell’esecuzione di brani che non gli lasciavano quasi mai la libertà che desiderava, e quindi pensò bene di assicurarsene il futuro, senza peraltro metterlo nella condizione di emergere, cosa che invece Chandler fu ampiamente in grado di fare, togliendo Hendrix dall’ambiente musicale del R&B americano per portarlo a Londra nel settembre del 1966.

Peraltro Jimi, ancora negli USA aveva già cercato di emanciparsi dal gruppo di Curtis Knight con cui aveva suonato per un paio d’anni mettendo insieme un suo gruppo (dalla breve storia) chiamato ‘Jimmy James & The Blue Flames’. Questi brani colgono dunque l’Hendrix ‘seminale’ delle incisioni per le etichette RSVP e PPX degli anni 1965 e 1966, ma pubblicate a partire dalla fine del 1967 quando ormai Jimi aveva preso il volo per l’Europa, e per il suo lancio mondiale, e stava creando la musica che lo avrebbe reso famoso. Cosa questa che disorientò assai i suoi freschi fan, se si pensa che mentre il primo album degli Experience Are You Experienced col suo bagaglio di suoni nuovi e di musica rivoluzionaria, era uscito in Gran Bretagna nel maggio del 1967, mentre il primo dei due album con Curtis Knight pubblicati da Chalpin senza l’autorizzazione di Hendrix, con materiale inciso precedentemente (Get That Feeling) fu pubblicato nel dicembre dello stesso anno, dopo l’uscita anche di Axis Bold As Love secondo disco degli Experience. L’altro album Flashing con una selezione dello stesso materiale seguì quasi un anno dopo, nell’ottobre del 1968, quando ormai le radio di tutto il mondo diffondevano le note di Electric Ladyland.

Si può ben capire quindi il contrasto stridente generato dall’uscita quasi contemporanea di queste edizioni così diverse, anche per intenzioni, e anche lo stress a cui era sottoposto in quei mesi lo stesso Jimi, proprio nel momento in cui la sua vena, supportata dalle compagnie giuste, gli aveva permesso di decollare verso tutt’altri lidi. Per amore di cronaca va anche detto che dopo la morte di Hendrix vennero pubblicati altri due album con materiale inciso col gruppo di Curtis Knight, uno dal vivo Live Cheetah l’altro in studio Jimi Hendrix with Curtis Knight: The Wild One. Lo stesso Knight, resosi conto di aver vissuto per qualche anno a fianco di una miniera d’oro, si produsse in una biografia scritta, dal titolo di Jimi: An Intimate Biography of Jimi Hendrix, pubblicata già nel 1974.

In ogni caso, queste 14 tracce che abbiamo già definito seminali sono un documento importante perché ci fanno ascoltare già parecchi degli stilemi e dei timbri che Hendrix porterà a maturazione poco tempo dopo. Nei brani cantati alla voce c’è sempre il suddetto Curtis Knight, non un genio, ma un buon frontman di genere R&B, con la capacità di tenere alto (ma senza esagerare …) il ‘calore’ della band, pur in brani complessivamente poveri di contenuto, molti dei quali basati sul canonico giro delle 12 battute. Si comincia con una How Would You Feel che inizia con le poche note di un inconfondibile riff  hendrixiano, per lasciar subito posto a una progressione di accordi che altro non è che quella di Like A Rolling Stone di Dylan, la voce di Curtis a cantare un testo relativamente insulso, ma col supporto della chitarra di Jimi in bella evidenza. Va detto en passant che il tenore medio dei testi dei brani cantati si attesta su contenuti di alto spessore culturale come Gotta Have A New Dress o ancor meglio I Can’t Wait For The Weekend, tutt’altra cosa rispetto ai testi visionari e psichedelici ma spesso anche molto poetici che Jimi diede ai suoi pezzi più famosi.

Dopo un altro paio di brani cantati (Don’t Accuse Me e Fool For You Baby) senza particolare interesse, arriviamo a uno dei pezzi forti della raccolta, lo strumentale No Such Animal che già dal titolo fa intuire che qualcosa sta cambiando: il giro armonico è ancora quello del blues ma la chitarra ha molto più spazio, e vengono fuori parecchi dei ‘loci’ che poi verranno meglio utilizzati e sfruttati in seguito da Jimi. Dopo un altro brano cantato da Curtis, la spumeggiante Welcome Home valorizzata da un sobrio assolo di Jimi, è la volta di Knock Yourself Out un altro strumentale in cui sfideremmo chiunque a – non – riconoscere la chitarra di Jimi, che ha largo spazio e si dimostra in grado di tenere banco senza ripetersi per tutti i 4’33” (!) del pezzo, addirittura citando verso la fine il riff di I Feel Good di James Brown, brano pubblicato (indovinate un po’?) proprio nell’ottobre del 1965. Qui il suono comunque è già pienamente il suo, prodotto dalla Fender Stratocaster direttamente inserita nell’amplificatore a valvole Marshall (il ‘Wah’ era ancora fresco di invenzione, e gli effetti di distorsione e di fuzz erano usati con parsimonia) che ad alti volumi sporcava di quel tanto il timbro in modo da renderlo inconfondibile: un suono che ha letteralmente sconvolto il modo di suonare di generazioni di rocker, un vero punto di svolta per la musica del ‘900 in generale. Il resto dell’album si srotola piacevolmente con un’alternanza di strumentali (Station Break, Hornet’s Nest) e cantati (Simon Says, Strange Things nello stile di Bo Diddley, You Don’t Want Me, Gloomy Monday), ognuno con qualcosa di interessante e di premonitore.

Un discorso a parte merita la track 13 che non è un pezzo di musica, ma la registrazione della frase per così dire eponima, detta proprio nel mezzo di una seduta d’incisione: Hendrix, evidentemente già da tempo conscio del proprio valore, e nel contempo di essere stato preso in mezzo dal manager furbetto, dice a Chalpin che “non dovrà usare il suo nome nel caso in cui le session vengano pubblicate: You Can’t Use My Name”, ed è proprio questa frase simbolica e caricata di significato da tutti gli eventi successivi a dare il titolo alla raccolta. Infine, aggiungiamo noi, mai intenzione fu più futile, perché come già detto in precedenza, il suono e lo stile di Jimi in questi pezzi sono talmente riconoscibili da rendere praticamente superflua l’aggiunta del suo nome sul disco.

How Would You Feel / Gotta Have A New Dress / Don’t Accuse Me / Fool for You Baby / No Such Animal / Welcome Home / Knock Yourself Out (Flying on Instruments) / Simon Says / Station Break / Strange Things / Hornet’s Nest / You Don’t Want Me / You Can’t Use My Name / Gloomy Monday.

Sony Legacy / Experience Hendrix 88875077992 (Blues, Roots Rock, Blues Rock, 2015)

Carlo Gerelli, fonte Il Blues n. 131, 2015

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