Quando si deve scrivere di una certa persona si pensa che, come minimo, si debba essere aggiornati sulle sue ultime gesta. Ed infatti, accingendomi a scrivere di Dale Ann Bradley, mi accorgo che non dispongo di quella che dovrebbe essere la sua ultima fatica discografica, Our Point Of View, uscito per Pinecastle, e di cui è titolare il gruppo New Coon Creek Girls.
Con adeguato zelo invio il mio ordine elettronico ad Elderly Instruments. Sennonché, nei quindici giorni che il pacco ci mette ad arrivare (‘solo’ quindici giorni per un pacco dal Michigan a Brescia? che stanno facendo le poste italiane?), la stampa specializzata mi informa che è disponibile il nuovo Dale Ann Bradley, Old Southern Porches, sempre su Pinecastle.
Visto che non sono in grado di tenere il passo del nostro personaggio, come dicono a Milano ‘tirém Innanzz’ (se ho sbagliato l’ortografia, i lettori meneghini mi correggeranno), e procediamo con quello che abbiamo.
Forse perché si tratta di una signora, non sono riuscito a trovare notizie precise sulla sua età. Però possiamo provare a dedurla: lei dice di essere stata “fortemente influenzata’ dall’album Roses In The Snow, quello (bellissimo) di Emmylou Harris, uscito quando aveva 13 o 14 anni. Leggendo la data sulla copertina di quell’album, possiamo stimare che, oggi, Dale Ann viaggi intorno ai trentacinque: il che corrisponde abbastanza all’immagine che vediamo sulle copertine dei suoi dischi.
Di questi (circa) trentacinque anni, più di venti sono stati spesi a Pineville, Ky. Siccome mi capita di avere in casa una mappa dettagliata del Kentucky, mi levo lo sfizio di vedere dove si trovi questa Pineville (un mio vecchio professore diceva che, per capire la storia, bisogna prima studiare bene la geografìa); non è facile trovarla, perché è molto piccola, meno di 2.500 abitanti: e si trova proprio sulla antica Wilderness Road, quella di Daniel Boone, lungo il fiume Cumberland, quindici miglia a nord di Cumberland Gap, nella contea Bell.
Che, osservo, confina direttamente sia con il Tennesse che con la Virginia; e, dentro il Kentucky, con le contee Leslie (quella degli Osborne Brothers) ed Harlan (quella di cui si parla in Nine Pound Hammer). Anche in questo caso si può vedere come i vecchi professori abbiano (quasi) sempre ragione.
Diffìcile, vivendo per venti anni in tali luoghi, sfuggire all’influenza di una certa cultura (non solo) musicale. Infatti, come capita spesso da quelle parti, Dale Ann imparò a cantare nella locale chiesa Battista Primitiva.
Nelle chiese Battiste Primitive è tassativamente proibito l’uso di strumenti musicali, che sembra siano considerati poco meno che peccaminosi: per cui non solo si impara a cantare, e piuttosto bene ed in armonia, ma si acquista anche, di solito, un suono molto potente.
Però è molto difficile convincere papà a farsi regalare una chitarra, specialmente quando questi è il pastore della chiesa. Infatti Dale Ann dovette insistere non poco, ed aspettare di avere quattordici anni; ma, subito dopo, la troviamo già a cantare con un gruppo locale, che, giusto per la cronaca, si chiamava Back Porch Grass.
E proprio a quel periodo risalgono i primi soldi guadagnati come musicista: la bellezza di sette dollari, tutti insieme.
Influenze dichiarate risalenti all’epoca, oltre al già citato Roses In The Snow, sono quello che rimaneva del folk revival degli anni ‘60, ad esempio Peter, Paul & Mary (bisognerà che, un giorno o l’altro, provi ad ascoltarne qualche cosa anche io), e poi naturalmente il bluegrass che si produceva in quel periodo, dal giovane Ricky Skaggs a Newgrass Revival; e infine Dolly Parton.
All’età di diciotto anni (e quindi nei primissimi anni ottanta) Vicki Simmons e Pam Perry, membri (o si dice membre?) delle New Coon Creek Girls, la sentirono ad una jam session, mentre cantava Muleskinner Blues, che non è precisamente la canzone più facile che ci sia; ed entrambe ricordano che si fermarono a chiedersi chi fosse costei, e da dove mai venisse.
A ventuno anni, e per i tre anni successivi, Dale Ann smise di suonare del tutto. Non che fosse stufa, anzi, ricorda come la musica le mancasse molto: ma si era sposata, si era trasferita a Jacksonville, Florida, per seguire il marito che era nella marina militare, ed aveva avuto un figlio.
Logico che il tempo per suonare fosse diventato scarso. Quello che Dale Ann ricorda di quel periodo è il “massiccio shock culturale” che ne ebbe; e non facciamo fatica ad immaginare il disagio di una ragazza che si allontana per la prima volta in vita sua, a venti anni, dal paesello abitato da boscaioli, minatori e moonshiner, per andare a stare in una città di oltre mezzo milione di abitanti (turistica, per di più).
E proprio in concomitanza con un altro grande shock della vita, quello del matrimonio (forse per i maschi non è uno shock molto traumatico – ma ho l’impressione che, per le donne, lo sia). Come capita a molti di quelli che vanno via dal Kentucky, quando il marito venne trasferito da Jacksonville, Dale Ann decise di non seguirlo nella nuova sede, per tornare alla sua Pineville.
Dopo poco, però, si stabilirono insieme a Somerset, circa cinquanta miglia a nord ovest: che è una località posta proprio allo sbocco dell’autostrada che arriva da Bowling Green, è un po’ più grande, ma è sempre in montagna ed è molto tranquilla.
Proprio in questo periodo, quando il figlio Gerald aveva solo cinque mesi, fu chiamata da Vicki Simmons, che doveva rimpiazzare Pam Perry.
La band New Coon Creek Girls era stata fondata nel 1979 (tra le altre, proprio da Vicki Simmons), e la sua caratteristica fin dall’inizio fu quella di essere un gruppo bluegrass interamente femminile. Anzi, mi risulta essere stato tra i primi gruppi di tale tipo, quelli che hanno poi aperto la via alle varie Petticoat Junction e All Girl Boys.
La band, che all’inizio poteva forse avere una connotazione novelty, divenne ben presto ed indiscutibilmente una cosa seria. Il suono di un coro bluegrass interamente femminile può piacere o non piacere, ma, indubbiamente, il gruppo ha lasciato un suo segno nella storia della musica bluegrass.
Le New Coon Creek Girls avevano chiaramente bisogno di una ragazza (naturalmente) che suonasse fiddle e mandolino, e Dale Ann Bradley sapeva appena tenere in mano il mandolino, per cui non se ne fece nulla. Ma Vicki Simmons le disse: “Anche se. per ora. non possiamo suonare insieme, per favore non smettere. Suona da qualche parte, non ti fermare”.
Si preparò allora una cassetta demo e la portò, nel 1989, al Renfro Valley Barn Dance, che è una specie di Grand Ole Opry dell’est Kentucky (e che, da quando hanno cominciato a parlarne riviste come Bluegrass Unlimited e Bluegrass Now, ha acquisito fama mondiale), e che ha sede appunto a Renfro Valley, poche miglia a nord est di Somerset.
Fu subito accettata, e ci rimase poi fino al gennaio del 1998: e per l’etichetta Renfro Valley incise anche due album. Dello show erano membri (o membre?) anche le New Coon Creek Girls. Che, nel giro di un paio di anni, si trovarono ad avere lìbero il posto di chitarrista e lead vocalist.
Fu un salto di qualità reciproco: nel 1995 l’album The L&N Don’t Stop Here Anymore (Pinecastle 1027) entrò nella top ten di Bluegrass Unlimited, rimase in classifica per parecchi mesi, e ne uscì solo per lasciare il posto a Country In My Genes (Pinecastle 1040).
Alla fine del 1996 arrivò Everything You Do (Pinecastle 1055): e se, per qualsiasi gruppo bluegrass un album completamente gospel è sempre una scelta coraggiosa, per un gruppo completamente femminile sembra eroica.
Ora, penso di non essere, e non voglio sembrare, maschilista: ma incidere un intero album gospel senza disporre della voce di un vero basso parrebbe, a chiunque, per lo meno diffìcile. Non pare evidentemente così a Sonny Osborne, che produce sistematicamente gli album del gruppo, fino all’ultimo già citato, Our Point Of View (Pinecastle 1077), e ne scrive puntualmente le note di copertina, con entusiasmo costante ed autorevole: arrivando a scrivere, per Country In My Genes, che, avesse conosciuto prima la band, per produrla avrebbe pagato, anziché farsi pagare (sono cose che si dicono …).
E produce anche East Kentucky Morning (Pinecastle 1064). pubblicato da Dale Ann Bradley come solista alla fine del 1997.
Nel corso di questi anni il ruolo di Dale Ann Bradley all’interno della band si è venuto via via definendo sempre più: e se, nei primi album, le fatiche di lead vocalist erano spesso condivise con le altre ragazze, e comunque l’aspetto vocale del gruppo era molto più corale, nell’ultimo citato Our Point Of View Dale Ann canta come lead in dieci pezzi su dodici (ed uno dei due che rimangono fuori, On Fire della banjoista Ramona Church Taylor, è strumentale); spesso completamente da sola, senza alcun supporto che non sia strumentale; e addirittura tutto l’album è intestato a New Coon Creek Girls featuring Dale Ann Bradley.
Fino all’ultima trasformazione, dopo la defezione di Ramona Church Taylor, che desiderava (comprensibilmente) dedicare più tempo ai figli, e. di nuovo, di Pam Perry.
Vicki Simmons. bassista e leader storica del gruppo, trovandosi di fronte alla scelta se chiudere definitivamente oppure cambiare, decise, tanto per fare qualcosa di diverso, di arruolare due maschi, e precisamente John Golden al banjo e Cari Caldwell, che è in grado di suonare mandolino, chitarra, fiddle e dobro.
Dovendo a questo punto cambiare necessariamente il nome del gruppo, la leader dello stesso lo ribattezzò Dale Ann Bradley & Coon Creek: e direi che solo nel bluegrass può succedere una cosa del genere (e nemmeno tutti i giorni).
E questo fatto, da solo, dovrebbe illuminare parecchio sul rapporto di amicizia e di stima reciproca tra Dale Ann Bradley e Vicki Simmons. Di questa formazione, che pure è attiva da più di un anno ed ha anche partecipato agli showcase della IBMA nello scorso ottobre, non mi risulta esista, fino al momento in cui scrivo, registrazione alcuna, e quindi nulla sono in grado di dire. Tranne che, evidentemente, la voce di Dale Ann Bradley ne dovrebbe essere una, se non la componente fondamentale.
Tale voce è stata descritta dalla rivista Music Row come “un dolce uccellino canoro di montagna, un’emissione luminosa, una meravigliosa purezza tonale, con trilli da soprano, e note che si piegano fino a diventare lonesome”. Billboard invece afferma che “ricorda Alison Krauss e Dolly Parton, pur intagliando il proprio materiale”.
A parte la storia dell’uccellino, e con qualche riserva sull’esatto concetto di soprano, io personalmente mi sento più d’accordo con la prima che con la seconda descrizione. Non che i due modelli ricordati siano da buttare: ma la mia impressione è che Dale Ann Bradley sia in grado, quando è necessario e quando lo ritiene opportuno, di cantare alla Alison Krauss o alla Dolly Parton (ascoltare, per credere, Muleskinner Blues, su Our Point Of View). Ma solo quando vuole, e quando è appropriato.
Sempre conservando la propria spiccata identità, con un timbro caldo e, non trovo la parola, “accogliente”: e l’impressione che si ha in ogni caso è quella di un controllo totale della voce, e la capacità di adattarla in modo perfetto alle circostanze.
Prendiamo ad esempio Danny Boy, sempre da Our Point Of View: è indiscutibilmente la stessa canzone incisa da Bill Monroe nel 1961; ma, altrettanto indiscutibilmente, non è più la stessa canzone.
Quello che con Bill Monroe era un grido disperato, ‘high & lonesome’, nelle mani di Dale Ann Bradley torna ad essere quello che, almeno stando al testo, doveva essere in origine: una dichiarazione di amore totale, una donna che parla al suo giovane disgraziato, innamorata, appassionata e, se è concesso dirlo della figlia di un pastore Battista, sensuale.
Il che ci dice che, se avesse voluto, Dale Ann avrebbe potuto probabilmente diventare famosa (e sicuramente guadagnare parecchio di più) come cantante pop di qualità, alla Barbra Streisand. per capirci.
O magari come cantante spiritual: quando ho riascoltato It’s Gonna Rain, da Ain’t Love A Good Thing, ho cercato sulle note di copertina chi fosse la cantante lead, perché la voce che si sente sembra quella di un’altra persona. Eppure è sempre lei.
L’esecuzione, a cappella, è molto più vicina alla tradizione dello spiritual nero che a quella del bluegrass gospel: ed infatti, tra il lead di Dale Ann ed il basso di Vicki Simmons, chi lo sentisse senza conoscere il gruppo penserebbe a quattro negrette, non a quattro kentuckiane bianche, anglosassoni & protestanti.
Anche qui un controllo perfetto, ed una perfetta capacità di adattare la voce al ruolo. Ascoltare per credere.
E veniamo a East Kentucky Morning, uscito nel ‘97, ed immediatamente entrato nelle classifiche sia di Bluegrass Unlimited che di Americana.
Io ho un mio personalissimo metodo per valutare un album: lavorando da solo, mi permetto il lusso di tenere un costante sottofondo musicale (quanti di voi là fuori possono ascoltare la loro musica preferita sul posto di lavoro?). Naturalmente, sento, ma non ascolto. Però, pur senza ascoltare, è facile che, dopo quattro o cinque ascolti continui, anche il migliore dei musicisti venga in uggia, quando non diventi irritante: e allora cambio disco.
Bene, mi è capitato di far partire East Kentucky Morning alle nove di mattina, e di fermarlo dopo le sette di sera, per andare a casa.
Di solito, chi fa parte di una band pubblica un album come solista quando vuole fare cose che con la band gli risultano diffìcili, o impossibili. Anche la nostra Dale Ann non sfugge a questa regola. Dale Ann Bradley è, secondo me, una chitarrista più che discreta: i suoi assoli, pur se brevi e molto rari, mi sembrano convincenti, come quello, grintoso, su On Fire; e la sua ritmica è comunque solidissima.
Qui, però, rinuncia del tutto a suonare, lasciando a Terry Eldredge la chitarra ritmica e a Robert Bowling quella lead. E, per cantare, sceglie partner di tutto rispetto: oltre alla solita amica Vicki Simmons quasi ovunque, troviamo Bobby Osborne in The Day I Lose My Mind, in un dialogo che ricorda (qui sì) quello tra Alison Krauss e lo stesso Osborne in The Storm Are On The Ocean; e Russel Moore, cantante con i IIIrd Tyme Out, in My Conscience Is Clear Tontght, triste ed appassionata storia di un amore finito, scritta dall’amica Vicki.
La title cut, scritta a quattro mani da Dale Ann e Vicki (sono sei su dodici i brani scritti dall’una, dall’altra, oppure in coppia), racconta invece del ritorno a casa nell’est Kentucky (dove altro?) a distanza di dieci anni da un traumatico addio provocato da liti in famiglia: ma il ritorno è non meno traumatico, essendo per la morte della mamma, che, come sempre, aveva ragione.
Non mancano momenti più sereni, ma l’album è, nel suo complesso, decisamente malinconico. E, anche quando non è triste, è comunque più poetico che gioviale.
Tra i numerosi strumentisti direi che è il caso di ricordare il già citato Sonny Osborne, che accompagna al banjo su Last Drink Of Wine, Ron Block che suona il banjo in altri quattro pezzi, Gene Wooten al dobro e Randy Howard al fiddle.
Svolgono tutti un lavoro eccellente, come ci si aspetta da tali professionisti: ciò non toglie che l’album sia e rimanga un album vocale e non strumentale.
Decisamente più ‘grassy’ è il suono che esce da buona parte di Our Point Of View. A parte il già citato Danny Boy, Who Will Pray For Me e Clinging To A Saving Hand, che sono nella stessa vena intimista di East Kentucky Morning, il resto dell’album è definitivamente bluegrass, a tratti con sfumature blues, come in Caught In The Middle, di Simmons e Bradley, e a volte anche divertente, come nel Sassafrass di Si Kahn.
Se nella vostra collezione manca ancora un album delle Coon, e in attesa che la nuova formazione mista pubblichi un suo lavoro (ma non sarà mai la stessa cosa), direi che Our Point Of View rappresenta un ottimo punto di partenza, anche perché si tratta di una specie di canto del cigno di una delle più importanti, se non la più importante, bluegrass band femminile (ma non si può mai dire: Pam Perry, ad esempio, ha lasciato il gruppo e ci è rientrata una mezza dozzina di volte).
Ed in ogni caso, a meno che non siate del tipo banjo – suonato – a – martello – e – poi – più, direi che gli album di Dale Ann, quelli che ha pubblicato e quelli che pubblicherà, sono ‘necessari’ nella discoteca di qualsiasi serio cultore di musica non solo bluegrass, ma country in generale.
Un’ultima annotazione: ho osservato che Dale Ann ha un’ottima dizione, e l’articolazione farebbe pensare ad una cantante che, come si dice, “ha studiato”: non è particolarmente difficile afferrare almeno il senso delle sue canzoni, e, con un minimo impegno, si comprende il significato esatto di intere frasi, parola per parola.
Il che, tra i cantanti ‘sudisti’, rappresenta più l’eccezione che la regola.
Ma questo non impedisce a Dale Ann Bradley di essere una vera figlia del(l’est) Kentucky.
Aldo Marchioni, fonte Country Store n. 48, 1999