Dave Alvin - Public Domain cover album

Perché cantare vecchie canzoni, folk songs che sono di dominio pubblico? Le note di copertina dello steso David le identificano come ‘spiriti’. Questi ‘spiriti’ continuano a vivere, fanno parte della storia del ‘grande paese’. Trattano i temi più vari: l’amore, i sentimenti più diversi, la vita e la morte, la rassegnazione e la speranza, la gioia ed il dolore, la lotta stessa per l’esistenza. Sono canzoni folk che vivono nelle selvaggia terra del nostro cuore. Non sono reliquie sentimentali ed idealizzate del passato. Sono 15 immagini prese dal passato per ricordarci da dove veniamo, quello che siamo diventati, come e perché siamo qui.
Come sottolinea lo stesso David, vi è molto di buono, come di cattivo, sul nostro conto in queste canzoni. Sono di pubblico dominio. Non appartenendo a nessuno, sono di tutti noi.
“Sono così vecchie che nessuno sa chi le abbia scritte, nessuno ne reclamerà i diritti. Lo so, si tratta di un progetto strano, ma l’ho realizzato esattamente come lo desideravo, lo volevo realizzare da molti anni, il momento è finalmente arrivato.”

Public Domain non è frutto della crisi del settimo album, è una scelta accurata, voluta e meditata per cantare “le canzoni dalla terra selvaggia”, come dice il sottotitolo. Che questa sia il cuore, il grande paese o, forse, meglio ancora, sia metaforicamente riferito ad entrambe, decidetelo voi. Public Domain: The Songs From The Wild Land prosegue il discorso folk-roots cantautorale in prevalenza acustico di Blackjack David. L’ultimo capitolo di una trilogia iniziata con il celebre King Of California e proseguita appunto con il citato album del ’98.
Uno dei padrini dell’attuale fenomeno roots-rock, di cui è stato pioniere, rivisita in Public Domain 15 classici della tradizione folk americana dalle origini più diverse per farli suoi, personalizzarli grazie al suo carisma espressivo. Dave Alvin inietta nuova vita in queste canzoni che rappresentano il blues, il folk, il country-roots e la tradizione tutta della mitologia musicale dell’America. La sua immaginazione ha evocato, con una sensibilità intrisa di profondo realismo, tanto il bene che, più spesso, grazie a storie di omicidi, rapine ai treni, e altre dark-stories, il male della storia collettiva del grande paese.
Piccoli episodi isolati che, riuniti, ci offrono uno spaccato, visto da diverse angolature, della ‘wild land’. Un multiforme ‘come eravamo’, storico, poetico e musicale, che aiuta ad illuminarci sul presente, per capire quello che siamo oggi, l’evoluzione politica e sociale di un intero paese attraverso la cronaca del quotidiano che la musica popolare può offrire. Il tutto senza voler trascurare il discorso musicale di Dave Alvin che rivisita questo ricchissimo materiale con rigore stilistico pari alla partecipazione emotiva.

Il personale stile del folk-singer californiano è arricchito da pregevoli arrangiamenti strumentali, ancora prevalentemente acustici, ma più vari e corposi rispetto a Blackjack David.
I musicisti e i coristi coinvolti sono quelli della sua touring band: Gregory Boaz o David Jackson, basso, Bobby Lloyd Hicks, batteria, Joe Terry, tastiere ed accordion, e Rick Shea, chitarre, steel guitar e mandolino. Con pochi ospiti, che citeremo più avanti, esaltano le doti espressive del protagonista, ne enfatizzano lo spirito di ricercatore serio e in continua evoluzione, fanno ancor più risaltare, in contesti spesso familiari, la calda, piena di pathos e personale voce.
Non è il cantautore, il chitarrista o il rocker ad essere sotto i riflettori, è l’interprete. E quest’ultimo sembra saper collocare geograficamente e storicamente ogni brano per trasformarlo in un genere musicale ogni volta diverso. Ci troviamo di fronte a qualcosa di più di un’evocazione del passato del grande paese, dell’oscura vita dei suoi immigrati che, ferrovieri, mandriani, coltivatori, pescatori, cacciatori, tutori della legge e non, hanno creato la storia, così vicina, ma ricca di momenti di tale intensità e di suggestione collettiva, dall’essere già mitizzata, dell’America.

Nel ‘pubblico dominio’ non c’è autocompiacimento per le immagini del Wild West, delle tante conquiste dell’uomo bianco, si sa che tutto è stato ottenuto con il dolore, con il sudore e, spesso, con il sangue; impercettibili tocchi creano un luogo, un’atmosfera, un’epoca, attorno ad ogni storia, ne delimitano la portata con uno squisito e sempre centrato senso della scenografia di ogni singolo quadro-canzone. Dave Alvin apre con Shenandoah, per quanto evocativa, nostalgica e ricca di suggestioni, la sua rivisitazione, fondata su organo e chitarra elettrica, asciuga da ogni retorica questa grande ballata.
Maggie Campbell è un veloce tema country-blues dal repertorio di Tommy Johnson con gli strumenti a corda in scintillante spolvero, l’armonica John ‘Juke’ Logan e un bell’assolo di bottleneck slide di Alvin nella parte centrale su una ritmica incalzante.
Short Life Of Trouble è un’ariosa ballata acustica che nasce da un bell’arpeggio di chitarra e cresce con un intrigante guitar-sound acustico a sottolineare l’ispirato canto del protagonista.
What Did The Deep Sea Say? è un ritmato brano bluegrass con il violino di Brantley Kearns (Dwight Yoakam) e il piano di Terry in bella evidenza.
Engine 143 è un’acustica old-time folk-song cantata da David in duetto con Brantley Kearns, bravissimo anche al violino a caratterizzare questo brano.
Delia è un altro brano della tradizione popolare cantato con leggiadra delicatezza da Alvin su un brioso string-sound con un eccellente Greg Leisz al mandolino.
Dark Eyes è un veloce country, belle parti corali, violino, pedal steel, un notevole assolo di Rick Shea alla chitarra elettrica e un honky tonk Alvin in bella evidenza.
Walk Right In, dal repertorio di Gus Cannon, ci riporta ad atmosfere old-time di una jug band, ancora David, in duetto con Lloyd Hick in evidenza con l’armonica, Logan, ed il violino di Kearns.

Murder Of The  Lawson Family, ripresa da Walter Smith, è una folk-song altamente emotiva cantata con passione e sentimento da Alvin, mandolino e harmonium in primo piano nel prezioso ensemble acustico.
Don’t Let Your Deal Go Down è uno scatenato boogie-blues, ancora piano ed armonica a distinguersi nel brano più elettrico, nero e scatenato dell’intero album.
Railroad Bill è un vivace e swingante brano country & western con ancora l’armonica di Logan in evidenza accanto al dobro di Greg Leisz e a David nei panni del cow-boy confermandosi anche country-singer d’eccezione.
Texas Rangers è una popolare folk-ballad texana che David rivisita con sonorità essenziali e di gran presa e la chitarra acustica in bella evidenza, un altro brano nello spirito di Blackjack David.
Chiudono Mama Taint Long For A Day, dal repertorio di Blind Willie McTell, maestosa blues-ballad elettro-acustica con Leisz alla slide e un bianco e godibile nuovo arrangiamento di Alvin, la scintillante East Virginia Blues, tra early rockabilly e western swing sul tema della celeberrima Greenback Dollar di Ray Harris, e Sign Of Judgment, ballata piana e delicata con il protagonista che tocca le corde dei sentimenti con un’altra performance vocale di classe e sensibilità espressiva sottolineata dalla chitarra slide di Greg Leisz.
Una ghost-tracks strumentale chiude il tutto con uno sfavillante guitar sound acustico in chiave old timey.

Una trilogia, legata alla canzone popolare americana in ogni sua forma, non poteva chiudersi in modo migliore. Se le virtù di questo autore e interprete nell’ambito della musica ‘americana’ sono di dominio pubblico, l’ex Blasters ratifica il tutto per divenire parte di quella stessa leggenda, di quella tradizione musicale bianca e nera, che, con tanto amore e passione, da anni contribuisce a tenere in vita.

Hightone 8122 (Singer Songwriter, Roots Rock, 2000)

Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 36, 2000

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