Dave Apollon - Mandolin Virtuoso cover album

Era una vergogna che di Dave Apollon (pron. con l’accento sulla prima vocale) fossero reperibili fino ad ieri solamente due brani inclusi nello Yazoo 1045 String Ragtime. Con mio sommo gaudio la medesima etichetta, grazie all’interessamento ed alla produzione di David Grisman, pubblica questo LP che raccoglie ben sedici titoli incisi dallo strabiliante mandolinista in un arco di tempo compreso tra il 1932 ed il 1956.

Dave Apollon (1898-1972), un ebreo russo di Kiev, emigrò in USA alla fine della prima guerra mondiale entrando subito di prepotenza nel circuito degli spettacoli vaudeville. La sua popolarità all’inizio non era dovuta all’abilità strumentale, ma al suo accento straniero che conquistava la simpatia del pubblico di lingua inglese in irresistibili sketch comici. A partire dal 1925 Dave iniziò a presentarsi sulla scena accompagnato da una string band filippina di sette elementi, la Manila Orchestra o Philippino Orchestra (c/o foto di copertina), conferendo così alle sue esibizioni un’impronta più spiccatamente musicale.
Con questo eccellente gruppo, composto di mandolini, mandole, chitarre, chitarre basse ed una fisarmonica, entrò negli studi Brunswick a New York l’8 giugno 1932 ed incise nel corso di una lunga seduta sei matrici (di cui quattro edite). Ricominciò a girare gli Stati Uniti con la sua troupe prendendo parte anche a svariati film musicali prodotti dalla Vitaphone Company o dalla Universal Pictures e finalmente si stabilì a New York aprendo un locale notturno nel quale si esibiva regolarmente con i suoi Apollonians, un’originale formazione in cui spiccavano tromba e clarinetto.

Negli anni ‘40 e ‘50 continuò infaticabile a suonare nei teatri, alla radio ed alla televisione modificando di frequente il numero e la combinazione degli strumenti della sua band. Fu durante questo periodo che affittò a più riprese una sala di registrazione e realizzò per puro piacere personale le sue cose migliori. Tra il 1956 ed il 1963 divenne l’attrazione principale delle feste private in Texas ed in California riuscendo persino ad incidere quattro album, ormai introvabili, per l’etichetta Coral. Quando mori, per volontà dello stesso artista, le sue spoglie vennero cremate insieme al compagno fedele, il suo primo vecchio strumento.
Si può senza dubbio affermare che Dave Apollon è stato per il mandolino quello che Django Reinhardt fu per la chitarra nel jazz: un genio ed un pioniere. Tutti i suoi brani sembrano ispirati, possiedono le caratteristiche delle cose irripetibili e rasentano la perfezione fino a confondersi con essa. L’incredibile manifesto virtuosismo di Two Guitars (1941), di St. Louis Blues (1943), di Spanish Fantasy (1943) o quello sottile e nascosto di Love Me Or Leave Me (1956) e di Dark Eyes (1941) non possono lasciare indifferenti da qualsiasi angolazione si accostino.

Una naturale predisposizione verso l’improvvisazione, un’irrefrenabile fantasia, anni di pratica, l’uso sistematico di nuovi strumenti (come il Gibson F-5 invece del comune napoletano bowl-back), accorgimenti tecnici originali, note impossibili e tutte udibili distintamente che cadono quando e dove nessuno immagina, scale acrobatiche e velocissime, la capacità ed il gusto di plasmare le partiture più umili e fluide (il tango di A Media Luz o di No Te Enganes Corazon) e quelle più nobili e meno malleabili (Gypsy Airs di Pablo De Sarasate e Russian Rag, variazioni su un celebre tema di Sergej V. Rachmaninoff), sono i marchi di fabbrica che contraddistinguono la produzione di un artista assolutamente fuori dalla norma.
Il suo repertorio comprendeva ogni genere di musica ed andava dal classico al jazz (Who, una jam-session alla moda di Benny Goodman), ai pop-tunes del giorno (Star Dust, Smoke Gets In Your Eyes), senza mai dimenticare il folklore della terra natale che cercò di inserire sempre nelle interpretazioni e nelle proprie composizioni. Mandolin Blues e Two Guitars, due tra i titoli più impegnativi dell’intera raccolta, contengono elementi di blues, di ragtime, e persino delle anticipazioni di bluegrass (per chi sa leggere tra le note), fusi senza traumi o rigetti con accenni di danze popolari russe.

A pari di altri musicisti suoi contemporanei e come lui padroni incontrastati del proprio strumento a plettro, come Harry Reser (banjo tenore), l’hawaiano Sol Hoopii (steel guitar) e soprattutto allo stesso modo di colui che a mio avviso più gli somiglia, il fantasioso polivalente Roy Smeck (Yazoo 1052), Apollon aveva infine una particolare attitudine per lo swing: valgano d’esempio gli impensabili ricami sulla melodia condotta dal pianoforte nel duetto centrale di Perfidia. Mi accorgo di aver speso una gamma completa di superlativi dando libero sfogo al mio entusiasmo ed alla mia gioia. Ma non a sproposito ed il tutto si può facilmente verificare: basta ascoltare l’album e scoprire cosi il padre di due generazioni di mandolinisti, dei vari Jethro Burns, Tiny Moore, David Grisman e Don Stierngerg. Vi pare poco?

Yazoo 1066 (Old Time Music, 1980)

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