I Dillards festeggiano un compleanno, una ricorrenza particolare, non quella della loro fondazione, bensì il decennale della loro svolta musicale, del passaggio dal bluegrass delle origini al suono elettrico d’ispirazione rock, country, folk e gospel. E sono passati dieci anni anche dall’ingresso nel gruppo di Herb Pedersen (a rimpiazzare Doug Dillard) che vi rientra proprio in questa occasione (aveva lasciato nel ’71 intraprendendo la carriera solista) per assumere la veste di protagonista d’eccezione quindi.
Ed il buon Herb, la cui seconda prova solista (anche l’ultima in ordine di tempo) non aveva troppo convinto per via della presenza di alcune atmosfere troppo pretenziose, non si tira indietro. Ma non strafa, anzi la sua prestazione è meno appariscente di quanto si potrebbe immaginare avendo egli preferito lavorare più a livello di accompagnamento, coordinamento e produzione (quest’ultima insieme a Rodney) che non di composizione. Questo per un equilibrato senso di responsabilità, perché il suo ritorno non andasse a prevaricare le posizioni degli altri in seno al gruppo e non deformasse la rassicurante immagine dello stesso.
Così i Dillards non cambiano, si confermano, cercando soltanto di migliorare e la loro prova celebrativa, intitolata Decade Waltz con un evidente richiamo al famoso successo della Band, appare decisamente buona, seria ed accurata. Evidentemente, ma anche fortunatamente, pare non si siano proposti ambiziosi programmi di nuove aggregazioni ma si ritengano soddisfatti dell’attuale dimensione del pubblico, che li segue comunque sempre con molto calore (una loro recente esibizione al Cellar Door di Washington sulla costa atlantica è stata sold out per due sere consecutive).
Un nuovo album dunque positivo, sulla scia del precedente V.S. The incredibile L.A. Time Machine. Tra i migliori sei realizzati dal gruppo in questo decennio, probabilmente secondo solo a Wheatstraw Suite del ’68 del quale forse non ha lo stesso trascinante entusiasmo (ma gli anni passano per tutti…). Un’altra sorpresa del disco è la presenza di un nuovo membro tra le file del gruppo, Douglas Baunsall, pluristrumentista (chitarra, mandolino e violino) e vocalist, sostituto del banjoista Billy Ray Latham che ha lasciato la band lo scorso anno ritirandosi dalle scene. Il nuovo arrivato, che è l’autore del brano strumentale 10 Years Waltz che ispira il titolo, promette bene.
Gli altri pezzi incisi portano firme dei componenti del gruppo, su tutti quella di Jeff Gilkinson, e di autori più o meno noti che ruotano solitamente intorno al gruppo, come Larry Murray, Ray Park, Jerry Reed. Tra questi spiccano Greenback Dollar (niente a che fare col famoso pezzo western omonimo) sostenuto dall’intraprendente mandolino di Dean Webb, Easy Ride l’unico firmato da Pedersen, tipico del suo repertorio melodico-romantico, Turn It Around di Jerry Reed con Rodney perfetto protagonista, Lights Of Magdella eccellente ballata di Larry Murray (di cui viene interpretato anche il vecchio motivo Headed For The Country), Mason Dixon di Jeff Gilkinson cantata con un caratteristico sapore rurale.
Da ricordare infine una versione un po’ honky tonk, bellina, del famosissimo brano dei Beatles We Can Work It Out; ciò a riprendere la tradizione, cara a Pedersen, di inserire un pezzo del quartetto di Liverpool in ogni album fin dove possibile.
In conclusione, un album riuscito che dovrebbe dare giusta soddisfazione al rinnovato gruppo.
Flying Fish 082 (Country Rock, 1979)
Raffaele Galli, fonte Mucchio Selvaggio n. 23, 1979
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