Ecco finalmente riunite in un unico LP tutte e dodici le matrici che Dock Boggs incise nel 1927 a New York per la Brunswick e nel 1929 a Chicago per la Lonesome Ace, una delle primissime etichette indipendenti americane. L’intera operazione – un miracolo se si tiene conto dell’estrema rarità dei 78rpm impiegati – è dovuta a Barry O’Connell e a Mike Seeger che la annunciò più di dieci anni fa (!) quale doveroso omaggio postumo all’artista (scomparso nel 1971 il giorno stesso del suo settantatreesimo compleanno).
Con l’eccezione di tre brani, apparsi in varie antologie, il materiale si può ascoltare qui per la prima volta dopo mezzo secolo e l’esperienza, ve lo assicuro, è di quelle che non si dimenticano tanto facilmente.
La musica tradizionale nordamericana può contare pochi, pochissimi artisti che sono riusciti, in modo consapevole o meno, a modificare, se non addirittura a rivoluzionare, il suo corso, ad intaccare il suo conservatorismo ad oltranza. Moran Lee ‘Dock’ Boggs rientra a buon diritto in questa categoria ed ha lasciato un’impronta indelebile di stile strumentale e vocale, di repertorio popolare e composizioni originali non con voluminosi ‘songbooks’ e montagne di dischi, semplicemente incidendo una manciata di motivi. E tutto ciò in un’epoca in cui il musicista solista, salvo sporadiche eccezioni, si vedeva costretto a cedere il passo alle sempre più esuberanti string-bands.
Intendiamoci, il banjoista virginiano, minatore e sindacalista ante-litteram, non ha inventato nulla, ma ha avuto una grande intuizione: l’aver capito che la bellezza intrinseca, la poesia e la semplicità delle ballate, importate o native, con o senza accompagnamento strumentale, potevano essere non solo preservate intatte ma perfino accentuate se sposate alla forza evocativa ruvida, essenziale ed immediata del blues delle origini. Le ‘blues-ballads’ di Boggs – tutte costruite su un unico accordo dominante con trascurabili variazioni – rivelano due precisi punti di partenza: il repertorio raccolto dal canto occasionale della madre e delle sorelle e l’amicizia stretta col vicinato di colore, soprattutto con due chitarristi, tali Go Lightening e Jim White. La sintesi di ambedue queste espressioni musicali, il collage di frammenti di brani tradizionali bianchi e l’uso di accordature modali particolarissime, attraverso le quali il banjo sembra imitare la chitarra blues, hanno dato origine a Down South Blues, a Sugar Baby, a Pretty Polly, al capolavoro di Country Blues (il tradizionale Hustlin’ Gambler avvolto in un sudario blues), vero e proprio manifesto sonoro di uno stile.
Da non sottovalutare infine, in queste primitive incisioni, l’apporto chitarristico, discreto ed efficace, di Hub Mahaffey e del misterioso quanto impareggiabile Emry Arthur.
I lettori che conoscono il Boggs del ‘dopo riscoperta’, vale a dire grazie ai quattro album registrati sul campo tra il 1963 ed il 1966 dal solito Mike Seeger per la Folkways, sappiano che, a parte i segni lasciati dal tempo sui 78 giri, non c’è sostanziale differenza nell’interpretazione dei brani: stessa tensione, identiche le emozioni, uguale la lucidità strumentale e la partecipazione vocale. Una costanza ed una coerenza artistiche durate quasi cinquant’anni.
Opera inestimabile per valore storico e livello artistico.
Folkways 654 (Old Time Music, 1983)
Pierangelo Valenti, fonte Hi, Folks! n. 5, 1984