Dolly Parton

“Dolly Parton? Ah si, quella che ha inventato il silicone e la messa in piega. Ho sentito dire che ha inciso uno dei dischi bluegrass piú belli degli ultimi anni. L’ho letto sulle piú autorevoli riviste di musica. Sará vero, eppure stento a crederlo. In fondo l’opinione che mi sono fatto di lei giá vent’anni fa era comune a quella di molti miei coetanei che per un certo periodo prestarono un pó di attenzione verso la country music. E vedere i suoi dischi, con quelle copertine in cui si evidenziavano il suo aspetto esuberante, decisamente fuori moda da queste parti, poco rappresentativo delle radici folk americane ma piuttosto di una industria musicale che a me sembrava piú pop che country, dischi che ho visto anche sugli scaffali dei supermercati, ha in qualche maniera confermato il mio punto di vista”

Vero, tutto vero. Aggiungi anche, amico, che quell’immagine è finita pure su pellicola a 35 mm al fianco di Stallone e tanti altri attori hollywoodiani e che ad essa è legata un parco divertimenti di vaste dimensioni che solo il nome, ‘Dollywood’, lascia intendere che taglia abbiano le manie di grandezza della prosperosa signora.

Tutti aspetti evidentemente negativi per coloro che sono alla continua ricerca delle produzioni musicali piú genuine e sincere. Stando infatti a questo triste luogo comune pare che ‘business, soldi & successo’ non possano andare d’accordo con la buona musica country.

No, non ci siamo. Quelli che seguono il jazz e il blues lo hanno capito, altrimenti non si spiegherebbe la loro ammirazione nei confronti di artisti quali Liza Minnelli o B.B. King, personaggi di valore artistico enorme, almeno quanto il loro conto in banca.

Invece gli artisti folk e country non possono indossare smoking e comprarsi grosse auto, perchè questo svelerebbe la loro intenzione di tagliare definitivamente il cordone ombelicale che li lega alla tradizione popolare, e di voler portare al macello il mulo che, a sentir dire i puristi, ogni onesto musicista country dovrebbe avere nell’aia di casa propria.

The Grass Is Blue (Sugar Hill CD 3900) di Dolly Parton non è certo il primo disco che contraddice con successo questo ottuso punto di vista, ma mi sembrava tuttavia opportuno fare spazio cestinando certi clichè a cui è tuttora legata questa musica in generale e Mrs. Parton in particolare.

Detto questo passiamo al disco. E’ bellissimo. Ha ragione il nostro amico di cui sopra e spero che quelle ipotetiche recensioni positive alle quali faceva riferimento siano o diventino reali.

Perchè The Grass Is Blue non puó passare inosservato, merita anche da noi almeno parte dello scontato successo che raccoglierá negli Stati Uniti e in certa Europa.

Alla Sugar Hill Records non ci è arrivata perchè ha perso il contratto con una major (Universal), la sua casa le ha concesso di pubblicare questo disco con l’etichetta di Durham, North Carolina, alla quale sono legati tra l’altro parecchi dei musicisti coinvolti nelle registrazioni.

Jerry Douglas (dobro), Sam Bush (mandolino) e Stuart Duncan (fiddle) non hanno bisogno di alcuna presentazione, gli altri sono Jim Mills (banjo) una volta con Doyle Lawson & Quicksilver oggi nei Kentucky Thunder di Ricky Skaggs, Barry Bales (contrabbasso) degli Union Station di Alison Krauss e Brian Sutton giovanissimo chitarrista che si è rivelato essere tra i piú promettenti nuovi talenti in questo campo.

Ospiti di fama internazionale li troviamo impegnati alle armonizzazioni vocali. Patty Loveless, Alison Krauss e Rhonda Vincent. A ricoprire il ruolo di harmony vocalist altri nomi, tutti provenienti dal bluegrass, cioè Alan O’Bryant (Nashville Bluegrass Band), Claire Lynch, Keith Little (Kentucky Thunders), Darrin Vincent e Dan Tyminski (Union Station).

Quindi un cast stellare composto nella maggior parte dai soliti grandi nomi con l’aggiunta, per fortuna, di un paio di musicisti meno inflazionati in qualitá di session men. La voce di Dolly non è forse quella di un tempo, ma continua a raggiungere registri proibitivi per molte sue colleghe, e in quanto a versatilitá, modulazione e interpretazione, ancora una volta, e particolarmente con questo disco proprio perchè completamente acustico, la sua figura di cantante si conferma tra le migliori in assoluto, al pari delle tanto celebrate vocalist pop e jazz di questo secolo.

Con la scelta dei brani, felicemente, non si è tenuto conto del solo repertorio bluegrass, si spazia dalla esplosiva Travelin’ Prayer di Billy Joel (!) a I’m Gonna Sleep With One Eye Open uno standard di Flatt & Scruggs, dalla vecchia I Wonder Where You Are Tonight di Johnny Bond, dimenticata dai cantanti country ma spesso eseguita in versione bluegrass (Bill Monroe, Tony Rice, Del McCoury, ecc..), alla toccante A Few Old Memories di Hazel Dickens, via via attraverso il country dei Louvin Brothers (Cash On The Barrelhead) e Johnny Cash (I Still Miss Someone), oltre alla conclusiva I Am Ready cantata magistralmente a cappella.

Gli assoli, il back-up e gli arrangiamenti  strumentali di tutte le canzoni sono quanto di meglio ci si possa attendere dai musicisti presenti e dal produttore Steve Buckingham. Il ritmo e l’origine stilistica delle canzoni che compongono l’album, come si è detto, è particolarmente vario, e ció rende The Grass Is Blue piacevole anche se ascoltato ripetutamente.

Quindi un disco importante, uno di quelli che presumibilmente il tempo a fatica sará in grado di cancellare. I libri dedicati al genere scritti nel futuro lo menzioneranno come fondamentale e la Sugar Hill Records ne fará sempre bella mostra mantenendolo disponibile nel suo catalogo.

Tutti i musicisti coinvolti hanno firmato una breve testimonianza all’interno della copertina.

C’è chi dice che Dolly “has the power”, c’è chi la ritiene ” a true American genius”. Jim Mills pensa che “questo disco sia la miglior cosa successa al bluegrass da molto tempo a questa parte”. Mi Associo

P.S.: la nuova acconciatura di Dolly, moderna e decisamente discreta rispetto a quelle passate, è a cura di Cheryl Riddle (nei crediti), un applauso anche a lei please.

Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 50, 1999

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