Don McCalister Jr. - Born In The Hurricane cover album

Secondo album su Appaloosa, dopo il precedente Down In Texas e quarto nella discografia di Don McCalister, songwriter texano che aveva iniziato la sua carriera esordendo nel 1994 su Dejadisc, con l’album Brand New Ways, seguito da Love Gone Right inciso per la sua etichetta Biscuit Boy Records. Dopo il primo ottimo lavoro su Appaloosa, McCalister si era guadagnato una certa notorietà nel nostro paese, grazie a numerosi concerti tenuti tra il 1999 ed il 2000 ed alla partecipazione a Chicken Mambo, l’album del bravo Fabrizio Poggi, che riuniva, oltre a McCalister, numerosi altri artisti texani.
Questo Born In The Hurricane, prosegue sulla strada dei precedenti lavori, confermando quanto di buono si è sempre detto di questo musicista che, già dal primo album, la critica più attenta aveva indicato come uno dei new traditionalist più interessanti, accostando il suo nome a quello di artisti già noti, primo tra tutti Lyle Lovett, con il quale aveva dimostrato di avere molti tratti in comune, soprattutto la spiccata propensione allo swing ed alle atmosfere jazzate che i due condividevano.
Il richiamo ad un gigante come Lyle Lovett è ancora molto forte anche se con il passare degli anni, McCalister ha segnato il proprio stile con un più deciso recupero delle radici folk texane e, se proprio vogliamo trovare dei riferimenti, oggi mi sembrerebbe più adatto il nome di Hal Ketchum, un altro gigante del new country, ma anche dell’indimenticabile Townes Van Zandt.
Brani come Clay Pigeons o The Devil In Me, sono espressione della tipica musicalità semplice e lineare propria dei grandi compositori, ai quali bastano poche righe del pentagramma ed un paio di strumenti per arrivare al cuore.

Un ruolo importante nella sua crescita artistica deve averlo giocato anche la professione alternativa di sound engineer, che McCalister svolge nello studio aperto ad Austin, dove ospita spesso musicisti di vaglia, ai quali un artista attento ed intelligente come lui, non perde occasione di rubare qualche segreto, utile ad arricchire un bagaglio musicale che, già oggi, dimostra una notevole maturità non solo in fase di arrangiamento, ma anche nella composizione, come dimostra il fatto che dei brani presenti sul CD, ben sei portano la sua firma.
Proprio pescando tra i musicisti che frequentano il suo studio, McCalister ha messo insieme la straordinaria band utilizzata per l’incisione di Born In The Hurricane. Tra gli altri spiccano i nomi del grande Jesse Taylor, eccelso chitarrista che ha visto addirittura promuovere il suo soprannome da semplice ‘guitar’ ad addirittura ‘Lord of the strings’. Insieme a lui, un altro genio delle sei corde, lo strepitoso chitarrista di flamenco Teje, anch’egli, come il vecchio amico Jesse, provenienti dalla corte dell’amatissimo Joe Ely.
Con il loro talento ed un profondo coinvolgimento, danno vita forse ai 2 pezzi migliori dell’album, Mortgages And Dust e Quiet Flows The Rio nei quali il lavoro delle chitarre caratterizza con tale decisione i pezzi da permettere al cittadino texano McCalister di trasformarsi in musicista di confine per dipingere, con toni splendidamente malinconici, un quadro di musica tex mex: momenti di grande intensità che pongono il lavoro dì McCalister ai primi posti della classifica della musica texana, anche senza l’aiuto del nume tutelare Lloyd Maines.

Senza arrivare al senso del tragico, che insieme all’alcool ha rovinato gli ultimi anni della sua carriera, Van Zandt sembra aver insegnato a McCalister a vestire l’atmosfera delle sue ballate di una intima tristezza accattivante ancor più della stessa melodia, anche se, quando decide di cambiare passo, si ricorda di saper usare le maniere forti. Il suo incedere diventa allora vigoroso e brani come la title track Born In The Hurricane, come Live For The Moment o, ancora di più, come Let Me Ride, diventano esempi di Texas rock al quale, ancora una volta, un Jesse Taylor in grande spolvero offre il suo inimitabile contributo.
Prima di chiudere, merita un cenno particolare la cover di Ooh Las Vegas, di Gram Parsons con tutti i musicisti chiamati a far festa, dal solito Taylor, al bravissimo steel guitarist Marty Muse, al violinista Eamon McLoughlin e, per finire, al batterista Ron Erwin ed al bassista Glenn Fukunaga; grande il loro lavoro.

Appaloosa API 142 (Country Rock, 2001)

Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 39, 2002

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