Formatisi ad Ithaca, New York, nel ’87, Donna The Buffalo sono un sestetto che unisce nel proprio dance-roots-rock sound le più svariate influenze della musica americana.
La lista degli ingredienti è lunga: old-time string band music, zydeco, rock & roll classico, tex-mex, cajun, country, blues, folk, reggae. Unendo tanti elementi si rischia di combinare un disastro in qualunque cucina oppure un piatto che ha pochi uguali.
The Ones You Love, pubblicato nel ’96, lasciava intravedere che la seconda ipotesi era più che valida, non conosciamo purtroppo l’omonimo album datato ’93. L’incredibile successo di pubblico delle loro performances live e gli apprezzamenti della stampa specializzata USA li ha portati ad un contratto discografico con la Sugar Hill che pubblica a livello internazionale questo Rockin In A Weary Land.
Vorrei consigliare, a coloro che non hanno avuto un impatto positivo con questo gruppo, e sono molti tra gli addetti ai lavori che conosco, di offrire una seconda possibilità ai Donna The Buffalo. Forse non potranno più vantarsi di essere stati dei fans della prima ora, ma eviteranno di perdere contato con una delle roots-band più genuine, creative e geniali della scena USA che, ormai, non si può più definire alternativa. L’alchimia è riuscita, il piatto è squisito, l’insieme è perfettamente amalgamato eppure si riescono a distinguere le singole componenti. La band di Tara Nevins, dolcissima vocalist che suona accordion, chitarre, violino, rubboard, Jeb Puryear, chitarre e voce, Joe Thrift, tastiere e voce, Jim Miller, chitarre e voce, Jed Greenberg, basso, e Tom Gilbert, batteria, funziona e fa di semplicità e già sentito un proprio punto di forza. Vi è qualcosa di contagioso, di familiare, quasi ci trovassimo di fronte al sound di molte bands del passato riunito in quello di una sola.
La scrittura di Tara, autrice di gran parte del repertorio, e Jeb, autore o co-autore di diversi brani, è incredibile: libera, solare, facilmente fruibile.
Il tutto viene esaltato in Rockin’ In The Weary Land dagli arrangiamenti di disarmante freschezza, aperti alle più inusuali soluzioni strumentali come alle più scontate, in mirabile equilibrio tra acustico ed elettrico.
Come non chiamare in causa maestri di psichedelia come i Dead, ma qui non si tratta di una fusione acida, ci troviamo di fronte più ad una fusione roots in nome della dolcezza e dell’armonia, di fluttuanti o cullanti songs che sembrano venirti incontro come una languida marea. Si ritira sempre, ma lascia sempre qualcosa dietro di sé, ascolto dopo ascolto. Un gruppo che non proviene certo dall’area dei bufali e che non ha nessuna Donna tra i suoi componenti, ma il cui nome sembra calzare alla perfezione per la contagiosa e vibrante musica che esprime.
Dalla leggenda indiana sembra trarre le sue magie sonore, l’ispirazione, le sinuose ed affascinanti armonie create.
Tra le tante cose che ho letto per documentarmi sul loro conto una descrizione mi è rimasta particolarmente impressa, e viene proprio da un piccolo giornale di Ithaca: “Come il bufalo, la band è qualcosa di grande e pieno di forza, misterioso e toccante, e più importante di tutto, americano. Così originale ed inusuale come The Band era ai suoi tempi, Donna The Buffalo fanno musica che è riconoscibile ma anche rara… Come le tracce della mandria nella prateria, DTB lasceranno il loro marchio nel vostro cuore.”
E non dubitiamo che le loro ballads, dove la pulita e dolce voce di Tara Nevins si circonda dei caldi suoni di accordion, organo, violino, dei ritmi di ogni sorta di percussione, abbiano lo stesso impatto, la stessa forza espressiva, la carica emotiva delle più rinomate rock-bands.
Di loro ho letto che coniugano, personalizzandolo nella originale strumentazione, un pò di tutto: qualcosa dei loro vicini di casa Rusted Root, i Los Lobos, Paul Simon, Cockburn, Marley e Tish Hinojosa.
Ascoltando i dieci minuti finali di Let Love Move Me, strepitosa guitar-ballad di Jeb Puryear in cui si inseriscono gli altri strumenti in un lento ed affascinante crescendo, non si può dar torto a nessuno.
Ma Rockin’ In The Weary Land sembra essere la consacrazione di una delle potenziali grandi bands americane del nuovo secolo. Che lo spirito del bufalo non li abbandoni.
Sugar Hill SH 3877 (Cajun, Conjunto, Folk, Old Time Music, 1998)
Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 27, 1998
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