Doyle Lawson & Quicksilver a Milano

Prima di cominciare a parlare del concerto milanese di questo storico gruppo, devo togliermi un grosso peso dalla coscienza, prendermi tutte le responsabilitá che mi spettano e chiedere scusa mille, anzi duemila volte alla redazione di Country Store ed a tutti i lettori per il mostruoso ritardo con cui mi accingo a raccontare lo svolgimento della serata in questione. Spero comunque di venire generosamente perdonato e per il ritardo e per tutte le mostruositá sintattico-grammaticali che, mio malgrado, sicuramente incontrerete.
Bene, tutto cominció una fredda mattina di gennaio in quel dell’aereoporto di Linate (Milano) quando una delegazione del ‘Comitato di Benvenuto’ della BCMAI si trovava, impaziente, nel salone degli arrivi internazionali pronta ad accogliere i nostri eroi in arrivo direttamente dagli Stati Uniti (con scalo a Zurigo).
Fra i componenti la delegazione serpeggiava un vivo sentimento come di eccitazione che, come spesso accade, si manifestava con un’infinita serie di tali freddure e battutacce da far sembrare addirittura primaverile il clima all’esterno dell’edificio.

Il presidente, Maurizio Faulisi si trascinava appresso la sua immancabile borsetta verde stracolma di carte, cartine e cartacce che costituivano l’organizzazione intera della serata e discuteva animatamente di concerti, festivals, bluegrass, SIAE, John Prine e Dwight Yoakam con il buon Claudio Romani che ascoltava attento, lasciandosi solo scappare di tanto in tanto un “…ma che tristezza…”.
I loro interessantissimi discorsi venivano peró regolarmente interrotti dagli avvisi di ritardo dell’atterraggio per cui il nostro Claudio Romani doveva correre a ‘regolarizzare’ il pagamento del parchimetro.
Il resto della delegazione era formato dalla ‘coppia piú bella del mondo’: Barbara Peres e Ruben Minuto, che, vestito in perfetto stile ‘Quicksilver’ (gli mancava solo la Bibbia sotto il braccio) continuava imperterrito a ‘distrarsi’ ad ogni passaggio di hostess e belle passeggere nonostante i continui richiami all’ordine da parte della ‘dolce’ Barbara (ombrellate, graffi, schiaffoni ed altri palliativi sui generis); cosí, fra un caffè, un panino, un caffè ed un un altro caffè, i nostri quattro si preparavano a dare il migliore, anche se forse un poco nervoso, dei benvenuti ai bravi musicisti americani.

Il primo colpo raggiunse la delegazione all’immediato arrivo della banda quando, all’aprirsi delle porte elettroniche che dividono i passeggeri dai comitati di benvenuto, si trovó a fronteggiare la figura del vecchio Doyle con l’ormai inseparabile cappello stile ‘peggiori Flatt & Scruggs’: difficilissimo fu per loro trattenersi dal ridere soprattutto visto che proprio dieci minuti prima si era vivacemente disquisito su questa nuova tendenza giá notata in precedenza su alcune videocassette giunte dall’America ‘di contrabbando’.
Il secondo shock non tardó certo a colpire la delegazione che, infatti rimase letteralmente di stucco alla vista dell’incredibile numero di bagagli che i cinque viaggiatori erano riusciti a portarsi dietro: probabilmente neanche la compagnia viaggiante di Wanda Osiris è mai arrivata a tanto, infatti ci si chiedeva se, timorosi di sentire la mancanza della ‘buona cucina’ americana, i nostri ospiti si fossero portati dietro qualche tonnellata di hamburghers e di pollo fritto…Puah!

Dopo le presentazioni di rito ed una session di sforzi logistici nel tentativo di trovare una sistemazione allo stock di bagagli, si decise di chiamare un taxi e ci si tuffó nel caotico traffico del lunedi mattina milanese.
Accompagnati gli artisti ai loro alloggi, la delegazione si impiegó completamente agli ultimi aggiustamenti organizzativi ed agli ultimi acquisti nell’attesa di recuperare le ‘stars’ e di accompagnarle al teatro dove dovevano esibirsi.
Durante i vari spostamenti cittadini Ruben Minuto, anche sforzandosi, non riuscí a trattenersi dal fare centinaia di domande ai vari musicisti fino a quando non ottenne la risposta che gli fece perdere l’uso della ragione per alcune decine di minuti in cui costrinse la povera Barbara ad asciugargli, con un fazzolettino profumato, la bava che colava copiosa dagli angoli contratti della sua bocca. Domandó a Dale Perry che cosa avesse fatto nel periodo di tempo compreso fra la sua dipartita dai Bluegrass Cardinals e l”entrata’ a far parte dei Quicksilver (Fanatico, vero?!?), ed ottenne come risposta: “Beh, ho suonato il basso come session man in alcuni gruppi per un certo periodo, dopodichè sono entrato come banjoista nella Lonesome River Band”…

Al teatro era tutto pronto: Marcello Scotto aveva giá montato l’impianto e fatto i suoni a tutti e due i gruppi d’apertura della serata, (seratona). La o I, non l’ho mai capito, Red Wine da Genova e gli Alti e Bassi da Milano, gruppo vocale che sta riscuotendo un grandissimo e meritatissimo successo in tutta Italia, radio e TV comprese e che ci ha divertito in una seppur breve apertura di serata in cui è sicuramente spiccato un omaggio alla Associazione sotto forma di una versione ‘a Cappella’ del celebre brano ‘Dueling Banjos’ piú tardi ribattezzata da Doyle Lawson come ‘Dueling Voices’; molto bravi e divertenti.
Agli Alti e Bassi sono dunque seguiti, come ho giá scritto, I Red Wine o La Red Wine String Band (…Per favore toglietemi questo dubbio!!!) con la loro professionalitá e bravura che ormai tutti conosciamo e ci hanno proposto alcuni brani del loro repertorio fra cui spicca sicuramente il riarrangiamento di Amarillo By Morning di George Strait, cantato da Martino come solo Martino puó fare ed accompagnato egregiamente da Dino, Grazia e Silvio ‘CazzporcvaffCrist’ Ferretti.

Ma il momento che tutti aspettavano con tanto ardore, il motivo che ha spinto tutti gli spettatori ad uscire di casa in una fredda sera di gennaio, e di lunedi per giunta, non ha tardato a manifestarsi: presentati dal Pippo Mike dell’Associazione, il bravo presentatore Nirvano Barbon, sono saliti sul palco del teatro Delfino Doyle Lawson e Quicksilver perfettamente vestiti ‘american style’ (leggi abbinamenti di colore osceni).
Hanno subito iniziato con uno strumentale ‘hard driving’ di cui ora non ricordo il titolo, seguito poi da una selezione di brani tratti dai due ultimi lavori alternati a strumentali provenienti dalla miglior tradizione bluegrass a sottolineare le capacitá di tutti quanti i musicisti mentre, per quanto riguarda i cori oltre che ad un grande numero di canzoni vecchie e nuove, il compito di porre l’accento sulle qualitá vocali del quintetto, è stato affidato ad un bel pó di brani gospel eseguiti ‘a Cappella’; tutto questo, lo garantisco, in poco piú di dieci minuti ha provocato agli astanti ripetute crisi di quella malattia conosciuta col nome di ‘Pelle d’anitra’, e, per quanto riguarda Ruben Minuto, posso garantire anche questo, che prima della fine del primo set, aveva giá la pelle di cappone su entrambi gli stivali.

A questo punto della serata, la delegazione, a facce assolutamente inebetite, nuovamente riunitasi a scambiarsi i primi commenti della serata, giunse alla conclusione che forse, a furia di sentirsi dedicare canzoni su canzoni, il buon Dio abbia deciso di fornire di attributi celesti e le voci e le mani di ‘sti cinque bigotti maledetti; ma la domanda che sorse a quel punto spontanea fu: “ma adesso che cazsp… vogliono ancora?”…
La seconda parte del concerto proseguí confermando l’idea che ci si era fatti riguardo alle capacitá di questa formazione che alla bravura semplicemente tecnica ed emotiva, aggiunge la scelta di esibirsi facendo uso di un solo microfono piazzato al centro del palco, alla ‘vecchia’ come direbbe un mio amico (fra l’altro presente al concerto), volteggiando e spostandosi con perizia millimetrica attorno all’asta del microfono (il cui nome suona ostico al bravo presentatore…) e fornendo cosí uno spettacolo bellissimo anche dal punto di vista coreografico.

A questo punto una seconda domanda a carattere religioso sorse spontanea alla delegazione sempre piú sbigottita: “Visto che tutto suona giusto, si sente tutto, anche il contrabbasso non amplificato, vuoi vedere che sotto sotto c’è lo zampino di Lui anche qui???”.
Tecnicamente parlando c’è ben poco da dire, forse si puó notare un ‘insporchimento’ del suono del mandolino di Mr. Duilio Figliodellalegge (Traduzione) una volta conosciuto come uno dei mandolinisti piú puliti in commercio, ma, si sa, Bill Monroe Docet.
La voce di Steve Gulley è qualcosa di incredibilmente pulito, cristallino ed acuto ed il suo modo di accompagnare alla chitarra, molto essenziale è sempre dove dovrebbe essere a supportare il ‘banjoismo’ di Barry Abernaty, ottimo strumentista giá ascoltato con i III Tyme Out ed il ‘violinismo’ di Owen Saunders, personaggio rivelazione del gruppo che sembra uscito pari pari da un libro di istruzioni di violino old-style: suona infatti molto Kenny Baker o Clarence Tater Tatey o simili.
Dale Perry suona il basso ed il contrabbasso professionalmente da quando aveva quattordici anni dunque… Le voci, cinque, sembrano rasentare ed a volte superare la perfezione, una formazione, quindi, fra le migliori che Doyle abbia mai avuto e sicuramente la migliore da un lustro a questa parte.

Il concerto finí lasciando tutti quanti ampiamente soddisfatti e dalla musica e dallo spettacolo. La serata vide la sua piú naturale ed appropriata conclusione in un ristorante-pizzeria dove i musicisti, incuranti di stanchezza e jet-lags, si rimpinzarono a dovere di manicaretti italiani e si pentirono amaramente di essersi portati dietro le due tonnellate di hamburger e pollo fritto.
…E vissero felici e contenti.

Ruben Minuto, fonte Country Store n. 33, 1996

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