Mettete insieme l’eleganza compositiva di Paul Brady, il gusto per gli arrangiamenti fantasiosi di Donal Lunny, il virtuosismo dei migliori strumentisti di celtica o newgrass, l’espressività vocale delle Indigo Girls, la freschezza di Ani DiFranco. Il mix di questi fattori si chiama The Duhks (pronuncia “dacs”, proprio come “anatroccoli”), un quintetto, tre maschi e due femmine, di giovani, brillanti e dinamici ragazzi di Winnipeg, Canada, che mi piacerebbe definire la più entusiasmante novità dell’attuale arcipelago neofolk.
Prodotto da Bela Fleck (altra garanzia di qualità) quest’album di debutto (in realtà i Duhks hanno pubblicato in patria…) è davvero notevole. Bravissimi nel mescolare tradizione con innovazione, furbi nell’alternare brani di loro composizione con cover di classici (Leonard Cohen, Sting, Paul Brady), addirittura magistrali nel mescolare il celtico con l’old time (la lezione di Tim O’Brien, ancora una volta, è esemplare al proposito) The Duhks fanno subito capire di che pasta sono fatti.
La bellissima opening track Death Came A Knockin’, un traditional riarrangiato benissimo con la vocalità della frizzante Jessica Havey a condurre le danze, è infatti emblematica: neppure la miglior Michelle Shocked (quella di Arkansas Traveler, per intenderci) avrebbe saputo fare di meglio. Appassionano anche la fresca versione di un vecchio standard roots come Wagoner’s Lad e uno strepitoso True Religion (blues/gospel reso popolare agli appassionati di rock da Jorma Kaukonen e dagli Hot Tuna).
Altalenanti nel rendere personali brani di altri (alla eccellente You And I del Paul Brady di Trick Or Treat, con lo stesso rosso irlandese ad armonizzare sul finale del pezzo, si contrappone una curiosa versione di Everybody Knows di Cohen, in chiave string band, o una Love Is The Seven Wave di Sting, bonus track che non rende come nelle aspettative), i cinque paperotti sono assolutamente formidabili nei medley strumentali. Lì, la sapiente regia del banjo old time di Leonard Podolak (mente musicale del gruppo) riesce a fondere la scintillante chitarra acustica di Jordan McConnel con il violino cosmico della prodigiosa Tana Elizabeth mentre le percussioni afrocubane di Scott Senior danno al tutto un tocco di unicità assoluta. Una rivelazione.
Sugar Hill 3997 (New Acoustic Music, Bluegrass Progressivo, 2005)
Ezio Guaitamacchi, fonte JAM n. 111, 2005
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