Fabio Treves, un amore che dura da venticinque anni. Il pizzetto inconfondibile che gli copre il mento, lo sguardo furbo da bluesman navigato e il suono della sua armonica sono ormai diventati fedeli punti di riferimento per tutti gli amanti di questa musica in Italia. Ma come nasce la passione di Fabio Treves per la blues-harp e per il blues in generale? Sapevamo, per averlo letto in precedenti interviste, che un’influenza fu quella di suo padre, che ascoltava dischi di jazz tradizionale; che l’armonica l’aveva scelta perché funzionale (è comoda da trasportare…) e per ‘sfida’, per vedere se sarebbe riuscito a trasmettere sensazioni e ad entusiasmare il pubblico con uno strumento così piccolo, suonato da pochi musicisti.
Sapevamo anche che fra i suoi maestri indicava Paul Butterfield, Sonny Boy Williamson, Little Walter, Alan Wilson, Charlie Musselwhite (ed altri, che non citiamo solo per problemi di spazio). Sapevamo tutte queste cose, dunque gli abbiamo chiesto di raccontarcene una nuova, magari curiosa e poco nota.
E Fabio ci ha accontentati: “Un episodio curioso? Te ne posso dire uno che non racconto quasi mai. Nel 1965 al Palalido dovevano suonare gli Who, per la prima volta in Italia; ero curioso, non mi bastava vederli in concerto, volevo avvicinarli, conoscerli. Così, riuscii a farmi prestare un giubbetto di quelli che usano i venditori di bibite: mi sono fatto passare appunto per un ‘lavorante’, per avere la possibilità di avvicinarmi al back-stage!
E il bello fu che l’espediente riuscì! Mi ci vedi, con una scritta sulla schiena e vestito in quel modo buffo, andare a caccia di autografi e ‘reliquie’ fra i musicisti? Beh, andò proprio così. E non solo: quella sera, prima degli Who, suonava un gruppo chiamato Mal e i Primitives. Ora Mal è conosciuto per tutt’altre cose, ma all’epoca suonava rock e blues tradizionale, e si dava da fare soffiando nell’armonica!!!
Fu lì, ascoltando le versioni di Mojo Working, Walking, Walkin The Dog ed altri classici che sentii per la prima volta di voler suonare la blues-harp: ed è quello che ho fatto!”
Paolo Cagnoni, fonte Jamboree n. 1, 1995