Fabio Treves picture articolo

Lo devo confessare: ero un po’ emozionato all’idea di incontrare Fabio Treves. Fabio è uno dei padri indiscussi del blues italiano, nonché uno dei migliori armonicisti oggi in circolazione. Da tanti anni sulle scene, ha suonato con alcuni dei mostri sacri del blues ed altri ne ha conosciuti, imparando ad apprezzare una filosofia di musica e di vita che pure era già profondamente sua: in queste pagine pubblichiamo alcune foto del suo ‘album dei ricordi’, nelle quali compaiono personaggi del calibro dell’armonicista Snooky Pryor, di John Mayall, Frank Zappa, John Hammond, Cooper Terry ed Eddie Boyd.

Tutti musicisti ed autori dai quali Fabio Treves, come lui stesso afferma, ha imparato l’importanza di alcuni valori fondamentali: amicizia ed umiltà, innanzi tutto. Così, quando Fabio Treves mi ha aperto la porta della sua casa, ero un po’ in imbarazzo, come qualsiasi appassionato di blues nonché principiante dell’armonica a bocca sarebbe stato.

Fabio zoppicava, come conseguenza di una recente operazione alla schiena, ma la sua gentilezza e la voglia di parlare della musica che ama erano intatte, anche se “speravo di ricevere qualche telefonata in più, specialmente da quei ragazzi che in passato mi hanno chiesto (e ottenuto, Ndr) un aiuto per la loro carriera di musicisti”. È una nota triste, dettata da un sincero dispiacere e non da intenti polemici; è un vero peccato che proprio nel mondo della musica, che ci piacerebbe immaginare ricco di sensibilità e ideali, ci si trovi di fronte a comportamenti discutibili e poco simpatici. Ma anche questo è blues…

Ci accomodiamo in salotto, davanti ad una tazza di caffé ‘americano’ caldo, particolarmente gradito visto che fuori piove e fa freddo; mi guardo intorno e mi accorgo che poco distante c’è un piccolo gioiello, un organo Hammond originale, del quale Fabio va molto fiero. Subito, gli domando qualcosa del suo ultimo disco, Jumpin, un lavoro un po’ particolare…
“Infatti – dice – Jumpin è un disco che raccoglie in sé molti stili, anche se su tutti spicca il jazz; questo album nasce dal ‘recupero’ di materiale registrato fra l’86 ed oggi, nastri inutilizzati ma a mio parere validi, che mi spiaceva perdere. Così li abbiamo proposti alla DDD, che aveva già l’idea di fare un disco jazz da aggiungere alla propria collana”.

Non ti sarai stancato del blues…?
Fabio sorride. “Assolutamente no! Sai, io amo tutto il blues, dallo stile country acustico all’elettrico di Chicago, dal british revival degli anni 60 alle tendenze più moderne: mi considero fortunato, perché anche se il blues è la mia musica ho sempre ascoltato anche altri generi, e ho suonato in molti dischi di artisti che facevano cose diverse. Credo che questo mi abbia aiutato a non stufarmi mai”.

Nel corso degli anni Fabio Treves ha suonato, per citare solo gli Italiani, con Branduardi, Mina, Cocciante, Finardi, Bertoli, Tino Scotto, Ivan Graziani e molti altri. “Tutte esperienze che mi hanno molto soddisfatto”, afferma convinto. Inoltre, dal 1974, lavora con una band tutta sua, la TBB, con la quale ha inciso anche diversi dischi.

Se ti chiedessi perché nei dischi in studio non sei (a mio parere) ancora riuscito ad esprimere le tue reali potenzialità, che appaiono invece straordinarie dal vivo, cosa mi risponderesti?
“Ti risponderei che hai ragione: nemmeno io sono soddisfatto dei miei dischi, con l’esclusione di Red & Black, un lavoro acustico registrato dal vivo con il mio grande amico Cooper Terry. Per il resto, devo ammettere di essere un po’ allergico agli studi di registrazione; dal vivo mi entusiasmo, come dimostrano i venticinque anni di musica che ho alle spalle, mentre nelle salette di incisione mi sento poco a mio agio. Se fosse per me, registrerei solo dischi dal vivo: d’altronde, la vera dimensione del blues è il live, con il pubblico davanti che riceve le tue sensazioni e ti trasmette le sue. Comunque, ora ho delle grosse novità per quanto riguarda la mia carriera, che certamente influenzeranno positivamente il nuovo cd che sto preparando”.

Questa affermazione ci incuriosisce non poco: intanto perché ci rivela che un nuovo lavoro è in preparazione, e poi perché Fabio sorride sotto i baffi, con un’aria furba, da bluesman navigato…

Allora, quali sono queste novità?
“Eh… Ho una nuova band! Anzi, guarda, prima ancora di parlare di quello che faremo voglio ringraziare i ragazzi: Renato Scognamiglio alla chitarra e alla voce, Luigi Di Lorenzo al basso e Andrea Costanzo alla batteria. Sono le persone che mi hanno fatto capire che sono sulla strada giusta, e con le quali sto per registrare un disco in diretta: sarà un disco rigorosamente blues, con qualche pezzo nuovo ma soprattutto cover di brani famosi”.

Questo progetto a quanto pare ti entusiasma!
“Puoi dirlo forte! Il blues è la mia musica, anzi, non è solo una musica, ma è uno stile di vita: vuol dire non fermarsi mai, non sentirsi mai arrivati. Vuol dire essere curiosi, saper ascoltare, non sentirsi né meglio né peggio degli altri, ma solo se stessi: tanto, nella vita ti capiterà sempre di trovare qualcuno che sa fare qualcosa meglio di te, e qualcuno peggio. È assurdo perdere il proprio tempo e le proprie forze invidiando gli altri o angosciandosi per qualsiasi cosa: penso che la vita si debba accettare partecipandovi”.

Aspettiamo ansiosi di ascoltare il tuo nuovo lavoro! A proposito, il fatto che sarà registrato in diretta e la filosofia che lo anima mi ha subito fatto pensare a ln The Craddle, l’ultimo album di Eric Clapton…
Fabio sorride ancora: evidentemente l’accostamento non gli dispiace! “Clapton è un genio perché ha fatto, nel ’94, un disco di classici del blues ‘in diretta’: uno, due, tre e via… ln un’epoca in cui la tecnologia, anche nella musica, molte volte sembra voler sostituire il feeling (senza riuscirci), è un gesto di grande coraggio che dimostra la classe e lo spirito di questo grande della musica”.

Eppure in Italia c’è chi ha criticato il disco; qualcuno ha detto che si sente che è blues fatto da un bianco.
“Te lo ripeto: questo disco di Clapton è uno dei più bei dischi di blues uscito negli ultimi anni. È vero, c’è chi ha sputato su questo prodotto che invece è formidabile…”

Treves non sembra stupito da certi comportamenti della critica musicale italiana, e neanche noi lo siamo. Resta indigesto il fatto che si debba parlare di lavori così importanti usando stereotipi, che rivelano solamente una profonda ignoranza nei confronti della musica in generale e del blues in particolare.
“È vero – conferma Fabio -; guarda, io penso che non si possa parlare di blues nero e blues bianco. Questa musica, se è sentita, esprime semplicemente le emozioni di chi la suona e la canta; ognuno ha un suo modo, e poi dipende dai momenti. Nel blues coesistono tristezza ed allegria, dolore e felicità: libertà, soprattutto”!

So che il discorso non è di quelli più esaltanti, ma come ti sembra che vadano le cose in Italia, nel settore musica, dal tuo punto di vista? ln venticinque anni ne avrai viste e sentite parecchie…
“Mah… Cosa devo dirti? ln Italia la situazione è quella che è, in campo musicale siamo sempre stati un po’ ai margini. Si parla sempre della musica italiana ma, sfiorito il periodo storico dei grandi cantautori, non si capisce bene cosa sia… I discografici, poi, sono quasi sempre persone che non si intendono di musica ma di mercato: e in questa loro smania di vendere non capiscono che le cose vanno anche promosse. Se fossero stati attenti, se avessero seguito quelli che, ad esempio, hanno portato per primi il blues in Italia, dopo avrebbero venduto molti più dischi di John Lee Hooker, Buddy Guy, dello stesso Clapton e di molti altri ancora”.

Hai parlato degli ‘iniziatori’ del blues in Italia: vuoi farci qualche nome…
“Beh, i primi che mi vengono in mente sono Tolo Marton e Roberto Ciotti oltre a… Fabio Treves! Scherzi a parte, ce ne sono parecchi, e non li potrei citare tutti. Però posso dirti che nel 1975 molti anni prima che uscisse il film ‘Blues Brothers’, noi suonavamo Sweet Home Chicago nei nostri concerti. L’uscita del film, e il grande successo della colonna sonora hanno dimostrato che non è vero che il pubblico italiano non apprezza un certo tipo di musica. Però bisogna proporgliela, fargliela conoscere, altrimenti…”

Fabio ha toccato un tasto molto delicato; ad intervista finita, abbiamo riflettuto sulla cecità del mercato discografico italiano, convenendo che c’è un gran numero di ragazzi che si rivolge al mercato estero, comprando dischi stranieri di rock, funky, blues, soul, heavy metal e molti altri ancora; questo perché i tempi sono cambiati, mentre i produttori nostrani, almeno per la maggior parte, ragionano ancora come se fossimo negli anni trenta. E la cosa più assurda è che così facendo perdono occasioni e guadagni!

Tu hai citato prima, come tuo disco più soddisfacente, un lavoro acustico registrato assieme a Cooper Terry. Cooper è un personaggio che ci sta molto a cuore, e ne abbiamo parlato a lungo nello scorso numero della nostra rivista. Vuoi dirci qualcosa di lui?
“Cooper, oltre ad essere un grande bluesman, era un grande amico. Abbiamo suonato insieme per vent’anni, incidendo fra l’altro Red & Black, dal vivo, a Casale, nel 1990: è un disco che mi piace moltissimo, ricco di spirito e di feeling. Cosa posso dirti? Cooper Terry è stato uno di quegli artisti che hanno sofferto di più la cecità di certa critica musicale. Quando è morto, mi è mancato ‘un braccio’, una parte di me: non ho più suonato blues acustico, da allora”.

Siamo d’accordo sia sul valore del disco che hai citato, sia sulla grandezza di Cooper Terry. Tu hai suonato, o hai conosciuto, alcuni ‘mostri sacri’ del blues (e non solo). Cosa ricordi con più piacere di questi incontri?
“Innanzitutto l’umanità e la disponibilità dei personaggi. Devo ringraziare Claudio Trotta, il promoter che ha portato in Italia molti nomi eccezionali, perché è anche grazie al suo lavoro che ho avuto l’opportunità di conoscere artisti così importanti: ho suonato con Frank Zappa, Son Seals a Chicago, Homesick James, Alexis Korner (il padre fondatore del British Blues), Mike Bloomfield (un mito!), Huey Lewis, Dave Kelly.

Dave, ad esempio, è un mostro di simpatia e di bravura; tecnicamente, è uno dei migliori suonatori di slide che ci siano in circolazione. Inoltre ho conosciuto musicisti straordinari, ti posso citare Snooky Pryor per parlare di un armonicista, oppure John Mayall, Eddie Boyd (uno dei più grandi pianisti di tutti i tempi!): non ti dico poi quando ho suonato al ‘Beale street music festival’ di Memphis e mi sono trovato a dividere il camerino con gente come Son Seals, Koko Taylor, Rufus Thomas, Albert King, James Cotton… É un’emozione incredibile, una soddisfazione enorme”.

Qual’è la cosa più importante, a tuo parere, fra quelle che ti hanno detto questi personaggi?
“Te l’ho detto: l’umanità, la disponibilità, il modo di vivere la musica e la vita, con umiltà e rispettando il valore più importante: l’amicizia. Quasi tutti mi hanno detto “vivi la tua vita e vai avanti”, mi hanno detto di fare quello che sentivo, sempre. Credo sia questa la cosa più importante”.

Chiacchierando, Fabio ci ha raccontato anche qualcosa della sua vita di tutti i giorni; da sempre impegnato in campo sociale, ha suonato più di cinquanta concerti nelle carceri di tutta Italia. Ora lavora come insegnante di sostegno per ragazzi disabili.
“Sono tutte esperienze che ti arricchiscono, ti fanno rendere conto di quanto sei fortunato e nello stesso tempo ti mettono a confronto con te stesso e col mondo. lo ho capito di essere un privilegiato, le sensazioni che ho provato nelle carceri, beh, non basterebbero dieci pagine per descriverle! Sono tutte grandi soddisfazioni per me, come lo è, in un campo differente, sentirmi un po’ guida per i giovani musicisti che mi cercano. Si, sono un uomo fortunato, e sono felice”.

Avrei voglia di parlare con Fabio Treves per altre due ore, ma “già calano le prime ombre della sera” la moglie Susanna reclama la compagnia del marito, il lavoro implacabile chiama… Posso consigliarvi di andare a vedere Treves e la sua band dal vivo, non appena la salute gli permetterà di riprendere a suonare; il 10 Dicembre saranno allo ‘Spazio Musica’ di Pavia. Ovviamente, aspettiamo tutti che esca il suo prossimo CD, che si preannuncia straordinario. Nel frattempo… Grazie di tutto, Fabio Treves!
(Intervista a Fabio Treves pubblicata sull’ultimo numero di Spazio Musica dicembre 1994)

Paolo Cagnoni, fonte Jamboree n. 1, 1995

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