Fallin’ for Alicia Keys

E’ l’ultima scoperta del genio di Clive Davis, uno che non ha mai sbagliato un colpo. Ha venduto in pochi mesi più di tre milioni di copie del disco d’esordio, Songs In A Minor. Ha solo vent’anni ma non è la nuova Britney Spears. Alicia Keys potrebbe essere invece quell’anello mancante con la grande tradizione della black music che mancava da troppo tempo. Le dedichiamo un ritratto.

La sua bellezza non comune deriva da un padre italiano e da una madre afroamericana; le sue capacità da anni di esercizio; il suo successo, oltre che dal talento, da un produttore di chiara fama. Non stiamo parlando di una nuova starlet da film hollywoodiano ma del caso discografico dell’anno.

D’accordo, qui alla periferia dell’impero Alicia Keys non è ancora molto conosciuta, ma non è una novità che il mercato della black music sia un po’ snobbato in Italia. In tutto il resto del mondo parlano le cifre: l’album d’esordio, Songs In A Minor, ha già venduto più di tre milioni di copie solo negli Stati Uniti in poco più di quattro mesi, rimanendo in cima alle classifiche per tre settimane consecutive. Neanche blockbuster annunciati, come gli ultimi lavori di Destiny’s Child, D12 (il side project di Eminem), Blink 182, P. Diddy & The Bad Boy Family, hanno potuto arrestare l’ascesa al numero uno di Songs In A Minor. A cinque mesi dalla pubblicazione rimane saldo nella Top 10 di Billboard e analogo successo sta avendo nelle classifiche britanniche ed europee. Senza contare che il primo singolo estratto dal disco, Fallin’, gode dei medesimi riscontri di pubblico ed è già candidato a diventare il singolo più venduto dell’anno sia in Europa sia oltreoceano.

Per Nesweek la Keys è uno fra i dieci personaggi più influenti nel mondo dello spettacolo del 2001, giudizio condiviso anche da Entertainment Weekly. Ma il sigillo definitivo viene dato come di consueto da Rolling Stone: per il prestigioso magazine Alicia è semplicemente “la prossima regina del soul” e se il valore critico della pubblicazione americana si è un po’ appannato durante gli anni, altrettanto non si può dire del suo ruolo di trendsetter.
Ma chi è Alicia Keys? E come è possibile che una debuttante ventenne (!) sia stata in grado di generare un tale clamore intorno a sé? È l’ennesima montatura di un mercato sforna divette (non ce ne voglia Jennifer Lopez) o un’artista che merita attenzione? Chiariamoci le idee…

Nata e cresciuta a New York, precisamente a Manhattan, Alicia Keys dimostra fin dalla tenera età di cinque anni un trasporto e un amore per la musica decisamente insolito per una ragazzina. Ha dichiarato a Rolling Stone: “La musica veniva prima di tutto. Semplicemente per me aveva un’importanza maggiore di qualsiasi altra cosa. Avrei messo a rischio tutto per questa passione. Sarei stata disposta a perder tempo fino ad essere cacciata da scuola e dalla casa di mia madre pur di coltivarla”.
Fortunatamente tutto questo non è stato necessario: a otto anni comincia a prendere lezioni di pianoforte, incoraggiata da una mamma che soleva ripeterle: “Puoi lasciar perdere qualsiasi cosa, ma non le tue lezioni di piano”.

Iscritta alla Professional Performance Arts School si diploma a soli sedici anni in virtù degli eccellenti voti (“Ero così coinvolta dalla musica da crescere lontano da tutte quelle combriccole perditempo”, ricorda) e quando la prestigiosa Columbia University le offre un posto tra le sue fila, Alicia declina l’offerta per dedicarsi anima e corpo alla musica, scrivendo le prime canzoni.

Nel ’97 le viene concessa la prima opportunità: partecipa con un brano all’album natalizio della So So Def Records e appare nella colonna sonora di Men In Black con il brano Da Dee Dah (Sexy Thing). Ma è durante il ’98 che avviene la svolta: il blasonato produttore discografico Clive Davis si accorge di lei e le fa firmare un contratto per la Arista Records. Alicia è raggiante riguardo alla collaborazione con lui, tanto da dichiarare: “È un onore e una gran fortuna. È un uomo incredibile… Prima di incontrarlo sapevo che aveva lavorato con Whitney Houston e Puff Daddy, ma ancora non ero a conoscenza che aveva fatto lo stesso con Earth, Wind & Fire, Miles Davis, Patti Smith e Janis Joplin. Questo mi ha mostrato per quanto tempo è stato un produttore autorevole, con una sensibilità che gli permetteva di non snaturare le persone con cui lavorava, in modo che rimanessero se stesse”.

Nel frattempo continua a dedicarsi con passione al suo album, concedendosi anche una collaborazione alla colonna sonora del remake del film Shaft, un classico della ‘blaxploitation’ anni 70. Verso la fine del ’99 Davis tenta il colpaccio: abbandona la Arista e fonda la sua etichetta, la J Records. Naturalmente non si lascia scappare Alicia, che viene prontamente inserita nella nuova realtà. La scommessa è riuscita: a metà giugno di quest’anno viene pubblicato Songs In A Minor, ed è delirio.

Il disco è interamente prodotto, oltre che da Clive Davis, dalla stessa Alicia, che firma quattordici dei sedici brani in scaletta, si occupa degli arrangiamenti, di voce e pianoforte. È lei stessa a spiegare il motivo di un titolo così insolito: “Il La minore (“A minor”, nda) è uno dei miei accordi preferiti. È un accordo molto triste e poi la A è la prima lettera del mio nome. Per come la vedo io raffigura le mie canzoni”.

Di fatto Songs In A Minor è un campionario di morbide ballate che si insinuano nella più nobile tradizione del soul dei Seventies, quando raffinatezza, stile, sensualità e un certo atteggiamento confidenziale la facevano da padroni, ma sarebbe riduttivo considerarlo un mero esercizio di variazioni sul tema. La Keys aggiunge alla ricetta spezie hip-hop che esaltano episodi come Girlfriend, scritta con Jermaine Dupri, e le sue straordinarie qualità vocali hanno modo di svelarsi nella cover di Prince How Come You Don’t Call Me.

Fallin’, il singolo che l’ha lanciata, è un soul corale dai toni gospel, punteggiato da un discreto quanto efficace fraseggio al pianoforte e se Why Do I Feel So Sad è semplicemente un brano da manuale, Butterflyz, scritta a quattordici anni, mette in luce influenze che arrivano fino alla sobrietà della Joni Mitchell di Blue, mentre in Never Felt This Way (scritta da Brian McKnight) sembra di ascoltare una versione di Tori Amos finalmente in pace con se stessa.
Negli arrangiamenti di Lovin U fa capolino la grande scuola targata Aretha Franklin e scommettiamo che A Woman’s Worth, il prossimo singolo, se avrà lo stesso airplay di Fallin’ potrà vendere ancora di più? Ma aldilà di considerazioni venali, ciò che colpisce di Alicia è la sua maturità, a soli vent’anni, come interprete, produttrice e arrangiatrice (per essere un disco di neo soul Songs In A Minor non è il solito profluvio di archi sdolcinati).

Il suo problema però è anche la sua carta vincente: la giovane età le permetterà in futuro, se vorrà e se ne avrà le capacità, di crearsi uno stile più maturo e soprattutto personale, che possa rilanciare a livello creativo un genere che a volte pecca un po’ troppo di auto-compiacimento e citazionismo. D’altronde dichiara quali sue influenze i classici come Curtis Mayfield, Aretha Franklin, R. Kelly, Mary J. Blige, Nina Simone, ma anche Mozart, Beethoven, Miles Davis e molti altri.

Non vuole classificare il suo album: “Penso che la gente possa tirare da sola le proprie conclusioni”. Parlando della sua volontà di essere allo stesso tempo autrice e produttrice delle sue canzoni dice: “Per me è la cosa più importante. Quando ho cominciato a lavorare al disco mi sono avvalsa dell’aiuto di produttori esterni. È stata un’esperienza che mi ha fatto capire molte cose, imparando anche ciò che non mi piaceva e ho capito che tutto funzionava alla perfezione solo quando mi sono immersa totalmente nel lavoro. Il risultato è esattamente ciò che sentivo nella mia testa”.

Lo straordinario successo del disco catapulta immediatamente Alicia Keys nello stardom americano, garantendole una partecipazione al supercast di artisti (da Bono a Fred Durst, da Eve agli N’SYNC, passando per Mary J. Blige, Britney Spears, Jennifer Lopez, Backstreet Boys e molti altri) che il 5 e 7 settembre ha registrato una cover del classico di Marvin Gaye What’s Going On, i cui proventi saranno destinati per metà alla lotta contro l’AIDS in Africa e per la restante metà al fondo per le vittime della strage del World Trade Center.

Da allora tutti hanno offerto ponti d’oro all’artista newyorchese: la serata telethon dedicata all’11 settembre l’ha vista protagonista in mezzo alle toccanti performance di Willie Nelson, U2 e Bruce Springsteen, che hanno permesso di raccogliere oltre 150 milioni di dollari destinati al World Trade Center Relief Fund; il 23 ottobre la sua versione a cappella di Respect ha illuminato la serata dedicata ai 2001 VH-1 Vogue Fashion Awards, mentre da applausi è risultata una Fallin’ per solo pianoforte e voce, in un evento che si è avvalso anche delle esibizioni di John Mellencamp, Lenny Kravitz, Macy Gray, Nelly Furtado e Moby; il 21 novembre ha partecipato al programma tv America: A Show Of Unity, insieme a Michael Jackson, U2, Stevie Wonder, Bruce Springsteen, Paul Simon e Sheryl Crow, trasmesso in diretta da tutti e quattro i network nazionali, ABC, NBC, CBS, FOX; il 12 dicembre farà parte del prestigioso cast (hanno già aderito Sting, Bon Jovi e Craig David) capitanato da Elton John che si esibirà all’Universal Amphitheatre di New York per finanziare l’AIDS Project L.A. e la Elton John’s AIDS Foundation, mentre il giorno seguente sarà in scena al Madison Square Garden per l’edizione annuale del concerto di beneficenza Jingle Ball, sponsorizzato dalla radio new-yorchese Z 100.

Da aggiungere poi le ospitate ai più famosi show americani e i riconoscimenti di MTV. Una tournée di venti date tra agosto e ottobre con Maxwell ha rafforzato ulteriormente la sua enorme popolarità. I maligni però cominciano a insinuare che il suo successo sia più opera dell’influenza del produttore Clive Davis che delle reali capacità di Alicia e che questo alla lunga le creerà problemi. Ma lei risponde in questo modo: “Devo solo continuare a fare ciò che ho sempre fatto, io sono fatta così ed è questo che apprezza la gente. Non c’è niente che derivi dal circuito mediatico. C’è solo Alicia. Mi piace stare sul palco, scrivere musica e produrla. Questo è il punto”.

Jeff Robinson, il suo manager, propende per una spiegazione più sociologica: “Quando tutti hanno cominciato a vestirsi Dolce & Gabbana, a guidare delle Bentley e ad atteggiarsi a divi con tutte quelle stronzate da 5mila dollari, ecco che si sono dimenticati di tutti quei ragazzi che quelle cose non possono permettersele. Li hanno lasciati orfani di un modello da seguire. Sapevo che se avessimo fatto un buon lavoro, Alicia Keys avrebbe potuto colmare quella lacuna. Era una ragazza semplice, bella senza essere favolosa, non ha tentato di darsi delle arie, ma è rimasta con i piedi per terra”.
Forse la verità sta nel mezzo. In ogni caso solo il tempo potrà dirci se Alicia Keys è solo una buona promessa o qualcosa di più.

Andrea Ian Galli, fonte JAM n. 77, 2001

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