Front Range - Back To Red River cover album

Seconda prova per i Front Range, giovane band del Colorado prodotta e sostenuta da Charles Sawtelle. Il primo album dei quattro non mi aveva troppo entusiasmato, anche se gli elementi per un giudizio positivo c’erano (se non ricordo male).
La seconda puntata trova il mio giudizio immutevole come la Rocca di Gibilterra, ma con punte lievemente più estreme, e credo di dovermi spiegare meglio. Resto convinto che i quattro giovani montanari siano in possesso di belle voci, specialmente il chitarrista /lead singer /presumibilmente leader Bob Amos, e le sappiano usare nel modo migliore.
Resto parimenti convinto che strumentalmente la band sia molto adeguata, uniforme e valida, ma anche che potrei vivere benissimo senza il banjo di Ron Lynam: non so se sono tarato male io, ma quando uno suona come avrebbe potuto fare chiunque, e dico chiunque, circa quindi anni fa, dopo un ascolto eccessivo dell’avanguardia bandistica di allora (Keith, Trischka, Arnold, Munde, un giovane Fleck, magari anche Robins) e dopo troppi spinelli, allora quel banjoista a me (ripeto: a me) non piace.

Se qualcuno si identifica ancora con quel modo scaloso e sbrodoloso di suonare allora okay, Ron Lynam è il suo possibile idolo per gli anni ’90: not for me, though… E a Ron suggerirei un ascolto/studio di gente dotata di timing di quello tosto (specie nei pezzi medio-lenti), tipo i soliti banjoisti dei Quicksilver, o Sammy Shelor, o chiunque abbia ben chiaro che esistono solo due tipi di timing: giusto e sbagliato.
Tiremm innanz: Bob Amos scrive belle canzoni, e lo fa tanto (6 pezzi su 13 non sono male), e lo fa basandosi un po’ tanto sul lavoro di Tim O’Brien, il che va bene in qualche misura (ho detto Tim O’Brien, mica Felix Pappalardi!), ma a tratti rischia di sconfinare nell’imitazione, soprattutto se alla somiglianza compositiva si somma un po’ di affinità interpretativa, know what I mean?
E anche qui mi riconfermo, tenace. Ma in questo continuo darmi ragione trovo anche le ragioni per un giudizio positivo: alcuni pezzi, come The Hills That I Call Home o So Many Pathways (chissà perché una canzone così bella è messa alla fine?) di Bob Amos, o Cold North Winds sono ottimi esempi di bluegrass contemporaneo, e gli arrangiamenti di Over In The Gloryland (a capella, senza il solito andazzo tipo marcetta) o Sunny Side Ot Life sono originali e gradevoli.
Ron Lynam penserà forse che ho qualcosa contro di lui, ma False Summit, strumentale da lui scritto, e Plains Of The Buffalo, che lui canta e che avrei lasciato volentieri ai vecchi album Folkways di Pete Seeger, sono le uniche due cose che preferisco saltare (ah, il telecomando!). Il resto dei pezzi è adeguato, come più che adeguato è in fondo tutto l’album. Non proprio da raccomandare, ma nemmeno da sconsigliare, santoddio: se tutti i gruppi bluegrass di oggi fossero come Front Range non saremmo messi male, complessivamente. Certo che quel Lynam… Mah!

Red River Valley – Back To Red River /The Hills That I Call Home /Maybe This Time /Two Empty Arms (And One Broken Heart) /False Summit /I’ve Always Been A Rambler /Over In The Gloryland /Forever By My Side /Cold North Wind /Sunny Side Of Life /Plains Of The Buffalo /Please Joanna /So Many Pathways

Sugar Hill CD 3811 (Bluegrass Moderno, 1993)

Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 21, 1993

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