Dopo un veloce e brillante inizio carriera (quattro album in quattro anni), nel 1998 la IBMA premia i Gibson Brothers come ‘Emerging Artist Of The Year’. Poi un contratto non andato a buon fine con la Ceili Records di Ricky Skaggs e nessuna notizia fino a questo Bona Fide per la Sugar Hill: un disco dal titolo eloquente, fatto veramente in buona fede, con sincerità, un disco che attesta la loro completa maturazione artistica.
I Gibson Brothers provengono dallo stato di New York e sono Leigh alla chitarra e voce ed Eric al banjo e voce, entrambi poco più che trentenni, e con loro altri giovani e validi musicisti: Marc MacGlashan al mandolino, sicuro e deciso, Mike Barber al basso, energico e potente, Jason Carter (vedi Del McCoury Band) o Luke Bulla (Kentucky Thunder) a rotazione al fiddle.
Il suono è chiaro e pulito, le armonizzazioni vocali sono ricercate, proprio (guarda caso) da duet-brother, e se proprio si vuole trovare un difetto, la voce di Eric quando canta lead è meno gradevole di quella del fratello.
Come nei precedenti dischi anche qui ben nove pezzi su tredici sono scritti, singolarmente o insieme, dai due fratelli, pezzi nuovi ma fortemente radicati nella tradizione. Merita ricordare Norma, freddo ma nel contempo dolce, oppure That Bluegrass Music, orecchiabile e dalle atmosfere lievemente newgrass, espressione del loro sviscerato amore per questa musica.
Tra i pezzi non scritti da loro citiamo Don’t Forget The Coffee, Billy Joe del prolifico e sempre ottimo Tom T. Hall, con un suo incitamento in ultimo ritornello, ed il classico di Earl Scruggs Shucking The Corn, con il banjo che sembra prendere fuoco, un pezzo che si riascolta sempre volentieri.
Un disco caldamente consigliato, bluegrass autentico e genuino ma moderno, magistralmente suonato e cantato, una riconciliazione con i fans, sperando di non dover di nuovo attendere cinque anni per il prossimo.
Sugar Hill 3965 (Bluegrass Tradizionale, Bluegrass Moderno, 2003)
Claudio Pella, fonte Country Store n. 66, 2003
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