La popolarità dei cantautori canadesi è un fatto ormai di dominio comune anche in Italia. Dopo Neil Young, Joni Mitchell, Leonard Cohen e la trionfale tournée di Cockburn, il personaggio cantautore viene naturalmente associato al Canada: è una semplice quanto logica associazione di idee. Infatti, più di ogni altro stato, il Canada ha prodotto e produce tuttora invidiabili talenti nel campo degli autori cantanti: se osserviamo il sottobosco, a parte i nomi succitati, troviamo decine di talenti, più o meno noti.
Uno dei personaggi più popolari negli States, ed in Canada, è Gordon Lightfoot, che al contrario di altri non è molto seguito e conosciuto qui in Italia. Ed è un peccato in quanto il menestrello canadese ha una gloriosa carriera sulle spalle, ed almeno una decina di album di grande valore (in totale ne ha incisi quattordici, più alcune antologie). Lightfoot è un musicista tranquillo, dallo stile meditato ed interiore, costruttore di melodie, tutte piuttosto simili, ma mai uguali l’una all’altra, parco nelle sue pubblicazioni. Il suo stile rilassante si rifà in modo particolare alla costruzione della melodia, basata sulla classica ballata melodica, e buona parte del suo successo è dovuto anche al particolare tono vocale, piuttosto caldo ed avvolgente.
Lightfoot è un autore classico, nel puro senso del termine: è un perfetto interprete delle sue stesse canzoni, e ben raramente si è cimentato in canzoni di altri autori; il fatto di essere parco nel pubblicare dischi dipende anche da questa situazione. Le sue radici di autore sono da ricercarsi nella tradizione dei menestrelli europei, soprattutto anglosassoni, in quel tipico modo di costruire le ballate su semplici arpeggi di chitarra, basando il fulcro della melodia sull’alternarsi delle inflessioni vocali, in contrappunto con la scarna strumentazione di base.
A livello testuale Lightfoot si è costruito un particolare autoritratto, nel corso degli anni, forse più di ogni altro cantautore; e questa sua particolare visione personale, senza dubbio maschilista, gli permette di avere un posto particolare nell’ambito di questa corrente musicale. Dream Street Rose è il suo quindicesimo album, e giunge ad oltre due anni di distanza da Endless Wire. Il disco non tradisce le premesse, è un album serio e ben fatto; le canzoni hanno una tematica melodica piuttosto simile, tesa a mettere in risalto il modo di cantare di Gordon, con le songs costruite attorno a pochi semplici accordi.
Tra le canzoni che preferisco scelgo l’acustica Ghosts Of Cape Horn, una melodia avvolgente nel classico stile di Lightfoot, quindi Dream Street Rose, un title tune veramente ricco di particolari sonorità, e concludo con l’unica canzone non firmata dall’autore del disco: The Auctioneer di Leroy Van Dyke, che Gordon interpreta con piglio personalissimo rifacendosi a certe vecchie ballads della tradizione anglosassone. Anche il resto dell’album mi piace molto, a partire da Sea Of Tranquillity, Whisper Of My Name per concludere con Hey You e Mister Rock Of Ages.
Nella ricca tradizione canadese Lightfoot merita certamente un posto di preminenza: in primo luogo quale precursore di questo stile, quindi come continuatore serio e preparato. Il suo lavoro è da anni ai vertici di una produzione qualitativamente superiore, e questo non è certamente un fatto trascurabile nell’ambito travagliato del business discografico. Tra i musicisti che lo accompagnano notiamo i fidi Rick Haynes, Pee Wee Charles, Terry Clements e Barry Keane; mentre con musical consultant appare il vecchio amico Red Shea, con Gordon fin dal lontano ’66.
Warner Brothers 3426 (Singer Songwriter, 1979)
Paolo Carù, fonte Mucchio Selvaggio n. 30, 1980
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