Gram Parsons è oggi un eroe, diciamo pure anche abbastanza popolare, della country music. Il suo contributo innovativo e per molti aspetti rivoluzionario a questo genere musicale è da tutti riconosciuto. Oggi, a distanza di sei anni dalla sua tragica scomparsa nel deserto californiano di Joshua Tree, siamo qui ancora pronti a celebrarlo. E non possiamo fare a meno di domandarci che cosa ci avrebbe dato in tutto questo tempo il suo ingegno e la sua sensibilità se fosse stato ancora in vita. Non vogliamo credere e nemmeno pensare che si sarebbe fermato e fatto prendere dall’onda del riflusso come molti nostri eroi dei sixties.
Perché Gram era diverso, anche troppo diverso, e proprio per questo forse la morte non lo ha risparmiato. Quello che le sue canzoni riuscivano a trasmetterci sono emozioni difficili da trasferire sulla carta stampata, tale era il loro grado di intensità e di coinvolgimento. Questa la ragione per cui il personaggio non è stato dimenticato a dispetto di uno scarso o inesistente successo commerciale, ma la ricerca delle sue opere, anche le più lontane nel tempo, non si è fermata. Perciò è sempre stato vivo il desiderio di spingersi fin agli inizi della sua straordinaria carriera per capire e interpretare.
Ecco finalmente lo sforzo di John Delgatto e dei suoi amici della Sierra/Briar di presentarcelo come leader di un gruppo sconosciuto del Sud, gli Shiloh, in un’esperienza addirittura precedente l’lnternational Submarine Band. Risulta pertanto molto opportuno il titolo scelto per l’LP The Early Years 1963-1965, per non trarre in inganno gli appassionati e gli ammiratori. Perché si tratta di qualcosa che risale a ben quindici anni fa, il che non è poco. Il materiale presentato è infatti chiaramente datato e il suo valore è prevalentemente storicodocumentaristico.
È un tuffo nel folk acustico delle Coffee Houses, delle feste studentesche, delle manifestazioni di beneficenza, dei primi concerti all’aperto, delle prime apparizioni all’Ed Sullivan Show e al Bitter End e al Folk City di New York. Gli Shiloh, composti da Paul Surratt, chitarrista e banjoista, George Wrigley altro chitarrista e Joe Kelly bassista oltre Gram s’intende, non ebbero mai una concreta possibilità di incidere un disco anche se questa opera postuma ne avrebbe loro conferito pieno diritto. Il loro sound si poggia su due chitarre, basso e banjo, la voce solista di Gram e i cori di gruppo che ricordano il Kingston Trio, i Journeyman e perché no persino i Minstrels. Gram pone già qui le premesse per farsi considerare un vocalist d’avvenire e la sua voce contiene già quel senso di disperazione che caratterizzerà le sue prove successive.
Tra i titoli inseriti farà piacere a molti trovare una lunga e lenta versione di The Bells Of Rhymney, la tragica canzone di morte in miniera, come anche il traditional, certo meno noto, Didn’t They Crucify My Lord, cantato con qualche influenza gospel. Due pezzi sono originali di Gram, il lungo e lamentoso blues Zah’s Blues dedicato a una folk singer del Greenwich Village e Surfinanny, un pezzo registrato come per caso visto che Gram si dimentica una strofa che poi riprende. Tra gli altri vorrei ancora segnalare il delizioso Gone Away Don’t You Wanna Go con Gram che fa l’assolo di chitarra solista e They Still Go Down ancora con il tema della vita in miniera.
C’è molta innocenza e candore giovanile in questo disco (nessuno dei quattro Shiloh superava i diciotto anni allora) insieme anche ad una buona dose di speranza, assolutamente legittima per quei tempi, che diventa per molti di noi una (amara?) ventata di nostalgia. Ho detto tutto a questo punto; chiudo con due altre considerazioni soltanto: che degli Shiloh non si saprà più niente dopo l’abbandono di Gram (si rifà vivo il solo Paul Surratt proprio in questa circostanza per produrre il disco) e che all’album si accompagna un booklet di dodici pagine ricco di testimonianze molto interessanti sulla loro esistenza. Come ho già avuto modo di sostenere vale la pena di incoraggiare simili iniziative.
Sierra/Briar 4702 (Folk, 1979)
Raffaele Galli, fonte Mucchio Selvaggio n. 21, 1979
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