Questo è il classico disco comprato completamente ad occhi chiusi. A tentarmi è stato l’insolito nome della band, che impropriamente mi ha fatto venire in mente i gatti grassi, e mai curiosità è stata così ben premiata: questi Grass Cats sono veramente strepitosi.
Già dalle prime note del brano iniziale la potenza di suono davvero esplosiva e la grinta che ci mettono fanno entrare in una specie di ‘apnea’ che, salvo un paio di pezzi lenti in cui si può tirare il fiato, dura fino all’ultimo brano: tipico disco del quale è severamente sconsigliato l’ascolto ad alto volume quando si guida l’automobile…
Provengono dal North Carolina, e questo è il loro terzo lavoro, dopo Cattin’ Around del 1999 e By Request del 2000 che li hanno portati alla ribalta nazionale, incisi sempre per la New Time Records.
I componenti della band sono nomi abbastanza sconosciuti, ad eccezione di Russell Johnson, ex leader dei New Vintage con tre dischi all’attivo tra il 1995 ed il 1999. Suona il mandolino e canta lead e high tenor, oltre ad essere un apprezzato e stimato songwriter: molti suoi brani hanno raggiunto i primi posti delle classifiche.
Alla chitarra e voce lead e baritono troviamo Greg Miller, al banjo e voce Tim Woodall, mentre Chris Hill suona in modo molto tradizionale il fiddle. Completa l’organico la dolce Robin Crabtree al contrabbasso e voce, che curiosamente ha suonato anche un paio d’anni fa in una bluegrass band svizzera. Ospite al dobro Kim Gardner, anch’egli ex New Vintage.
Sei delle tredici tracce del disco sono composte da Russell Johnson e dagli altri componenti del gruppo. Il primo brano è irresistibile e va considerato una sincera testimonianza di appartenenza alla musica bluegrass: si intitola, naturalmente, Bluegrass Man.
E’ scritto da Russell Johnson, dalla moglie e da due amici da poco convertiti al nostro genere musicale, del quale sono rimasti entusiasti: un inizio folgorante con due fiddle che lascia letteralmente senza fiato.
Il secondo pezzo, The Blues Are Back In Town, nel titolo rifà un po’ il verso al successo della Nashville Bluegrass Band. Si prosegue con Oh Stephanie, dolce ma nel contempo pulsante, una canzone dedicata agli struggimenti d’amore.
L’incipit di dobro di Ain’t No Sunshine è esplosivo, e il dialogo con gli altri strumenti crea atmosfere a tratti misteriose.
Continuano i brani tirati con Love Is As Simple As This, stavolta con la voce femminile di Robin Crabtree.
Finalmente un pezzo lento per tirare il fiato: Johnson’s Love, scritto da Dwight Yoakam e qui trattato con un arrangiamento molto partecipato e intenso, ci culla dolcemente fino a We Can’t Go Wrong, con il quale si ricomincia a correre affannosamente. Un pezzo semplice ma efficace, reso con due ottime voci, e già inciso da Mark Newton e Rhonda Vincent in Follow Me Back To The Fold di due anni fa.
Si prosegue con la riproposta di un pezzo di Steve Earle, Copperhead Road, e quindi con Likes Of You, molto classico e molto allegro, anche se a volte il fiddle risulta un pochino invadente.
Ottimi i cori ed il lavoro del banjo nel gospel No One Knows, mentre le atmosfere molto particolari di Sixteen Tons possono spiazzare e fare irriverentemente tornare alla mente la musichetta della famiglia Addams.
Il trascinante Girl Of My Dream, pur nella sua impostazione tradizionale, anticipa un finale al fulmicotone: la conclusiva I’ve Lived A Lot in My Time è veramente mozzafiato.
Una curiosità: questo stesso pezzo è stato contemporaneamente inserito nel loro ultimo disco anche dai Longview. La versione dei Grass Cats però mi sembra più spensierata e grintosa.
Un disco strepitoso in tutti i sensi, dalla ritmica pulsante, suonato e cantato come si deve, una rivelazione che non fa rimpiangere i nomi più famosi. E poi, mi ripeto, il pezzo iniziale Bluegrass Man, è un vero e proprio proclama di fede bluegrass.
Vi propongo il ritornello, ringraziando la gentilezza degli autori:
I’m a Bluegrass Man, from head to toe,
I love to hear the songs of Flatt and Scruggs and Bill Monroe.
They could play so fast, they could sing so high
I’m a Bluegrass Man till the day I die.
Questo può diventare il nostro inno, l’inno di chi è ‘Bluegrass Man’ dalla testa ai piedi, di chi è ‘Bluegrass Man’ fino alla fine.
New Time 1006 (Bluegrass Moderno)
Claudio Pella, fonte Country Store n. 64, 2002