Country Night Gstaad

“Personaggi come Michael Jackson, Tina Turner, Roger Moore o Elizabeth Taylor vengono spesso e volentieri a Gstaad perché qui nessuno li ferma per strada per chiedere autografi o scattare fotografie: la gente è così abituata a vederli in giro che non ci fa più caso”. Così mi confessa Mr. Ed Bouchard (responsabile dei rapporti con la stampa ed i media e, grazie alla sua cordiale disponibilità, da sempre il nostro punto di riferimento all’interno dell’organizzazione del festival) nel tentativo di spiegarmi il perché questo paesino delle Alpi svizzere, a circa un’ora di macchina da Martigny, sia ormai da molti anni una delle località montane e mondane più famose al mondo.
Ma per un appassionato di country music che si trovi a Gstaad durante il terzo week-end di settembre ciò può significare doversi trattenere dalla tentazione di sedersi a mangiare una pizza in compagnia di Emmylou Harris e Dwight Yoakam oppure di invitare al bar per un caffè Buck Owens e George Jones. Gstaad è infatti divenuta anche la spettacolare cornice per l’appuntamento country più importante ‘this side of the pond’, ove tutti gli appassionati del vecchio continente si danno appuntamento incuranti delle ore di autostrada, dei trafori, dei valichi, dei doganieri e delle improvvise apparizioni di mucche e trattori sulla strada.

Giunto alla sua ottava edizione, fortemente voluto e saggiamente amministrato da un intraprendente agente immobiliare locale che si occupa personalmente anche del casting degli artisti (Mr. Marcel Bach), Gstaad Country Night rappresenta senza dubbio l’evento clou per la musica country in Europa, sia per quanto riguarda il livello e la varietà delle proposte musicali che per la qualità della precisa ed inappuntabile organizzazione svizzera. Grazie anche, occorre sottolinearlo, ad una serie impressionante di sponsor (tra i quali Nissan, Coca Cola e persino il patron della formula uno Bernie Ecclestone) poche sono le star americane che non si sono ancora esibite sul palco dell’Alpengala, l’accogliente tensostruttura riscaldata con oltre 2.800 posti numerati che, nel corso dell’estate, ospita numerose altre manifestazioni di grande richiamo internazionale (basti ricordare che il grande violinista Yehudi Menuhin l’ha prescelta come sede stabile per il suo annuale festival di musica classica). Nell’album dei ricordi delle passate edizioni si possono infatti annoverare tra i principali protagonisti Loretta Lynn, Buck Owens, Nitty Gritty Dirt Band, Emmylou Harris, Travis Tritt, Dwight Yoakam, George Jones, Tanya Tucker, Higway 101, Little Texas, Exile, Texas Tornados, Trisha Yearwood, Ricky Van Shelton e Sweethearts Of The Rodeo.
Ed anche quest’anno la line-up era assai invitante: Mary Chapin Carpenter, Lyle Lovett & his Large Band, David Ball e i Perfect Stranger (questi ultimi due alla loro prima apparizione europea). Il venerdì 21 mattina, appena vomitati da un traghetto di ritorno dalla Sardegna, ci fiondiamo quindi sull’autostrada e, recuperati in Val d’Aosta i soliti amici di pellegrinaggio provenienti da Bologna e Torino, arriviamo a Gstaad nel pomeriggio, in tempo per vagolare un pò tra i numerosi stand di artigianato indiano, abbigliamento country e soprattutto dischi, dove iniziamo ad ‘investire’ i nostri risparmi in attesa che la prima serata abbia inizio.

Il tendone è ancora mezzo vuoto quando sul palco, alle 19 in punto, l’impeccabile presentatore Jurg Hofer (un’istituzione del festival) annuncia i Perfect Stranger. Confesso che questi quattro texani (oltre ai tre session man che completano la band) mi sono effettivamente sconosciuti, ma dalle prime note si rendono subito familiari con un sound corposo da New Country contemporaneo, impasto vocale accattivante ed un lead vocalist (naturalmente con cappello sulla testa) di buon livello. Il repertorio, tratto in massima parte dal loro primo album, non si impone forse per originalità: spiccano comunque la title track You Have The Right To Remain Silent, ballata lenta che li ha catapultati nelle classifiche, una cover di Ridin’ The Rodeo di Vince Gill, una versione pompata del classico cajun Big Mamou ed un bis come Sittin’ On The Docks Of The Bay (banale ma di sicuro effetto nella versione degli Stranger).
Il tempo di travasare nello stomaco una vaschetta di chili con carne ed un barilotto di birra e rientriamo nel tendone, che a questo punto è al completo. Il palco è stato stravolto per ospitare Lyle Lovett & his Large Band: a destra in alto la sezione fiati (quasi interamente importata da Muscle Shoals, Alabama), più in basso la sezione archi, composta da violoncello e violino (dove troviamo Andrea Zonn, già nella band di Vince Gill), a sinistra tre simpaticissimi e bravissimi coristi di colore, due uomini ed una donna, dietro di loro percussioni, contrabbasso (Victor Krauss, fratellino della bluegrass superstar Alison) batteria e pedal steel, oltre ad un chitarrista elettrico: in tutto quattordici elementi, oltre naturalmente al boss.

Il suono è perfetto sin dalle prime note e si capisce che questa è gente in grado di suonare qualsiasi cosa, tanto è la disinvoltura con cui passa dal country allo western swing, dal jazz al folk, dal pop al blues e persino alla musica classica. La voce di Lyle è grande nella sua semplicità e naturalezza: ti rilassa e ti accarezza e tutto sembra cosi facile. Le atmosfere si alternano di continuo sul palco come i musicisti che escono ed entrano in scena a seconda degli arrangiamenti, tutti molto curati.
Viene proposto quasi integralmente l’ultimo bellissimo album Road To Ensenada oltre a vecchi cavalli di battaglia tra i quali If I Had A Pony, I Can’t Resist (con un suggestivo intermezzo per solo violoncello) e Here I Am.
Forse lo show è un pò troppo raffinato per chi si aspetta del sanguigno country ma… niente paura, ci pensa David Ball a ristabilire l’equilibrio. Con un sound volutamente scarno e martellante, una voce potente e nasale quanto basta, melodie semplici e ritmo incalzante, quella di Ball è una performance tosta in puro stile honky tonk anni ’90 e dispiace quasi che davanti al palco non ci sia spazio a sufficienza per ballare. Forse non tutta la band è all’altezza del leader, ma il violinista con lunga coda di capelli si lascia apprezzare in più occasioni.

Tra le cose migliori il suo primo grande successo I’ve Got A Thinkin’ Problem (che lo ha lanciato nelle charts) ed una struggente Texas Echo, ballata autobiografica per sola chitarra e violino nella quale Ball si esibisce in un perfetto ‘yodel’ da fare impallidire anche il nonno di Heidi.
E giunge quindi il momento dell’ultimo set, il più atteso, quello che ci schioda dalle nostre comode poltroncine per farci sedere in terra, sotto il palco, incuranti dei cavi e delle telecamere di MTV (che riprende entrambe le serate, forse in vista di uno special), totalmente rapiti dalle melodie e dalle storie delle canzoni di questa piccola grande signora della musica che è Mary Chapin Carpenter. Si inizia con Shut Up And Kiss Me per continuare con The Hard Way, He Thinks He’ll Keep Her, John Doe N° 24 (suonata con sole due chitarre ed accordion), Why Walk When You Can Fly (cantata a cinque voci senza accompagnamento), I Feel Lucky, Passionate Kisses, Jubilee, sino a finire con il bis Down At the Twist & Shout.
Vengono anche presentati alcuni nuovi brani del prossimo disco in uscita a fine ottobre che s’intitola A Place In The World e che, a giudicare da queste anticipazioni, non sarà inferiore a nessuno dei precedenti.
Passione, solitudine, amore, rabbia e magia sono tra gli ingredienti principali delle canzoni della Carpenter, vincitrice di ben 5 Grammy per la musica negli ultimi anni, acuta e sensibile osservatrice della realtà di tutti i giorni (in particolare quella femminile) che riesce a decodificare e descrivere usando le parole più semplici e dirette, quelle che ai comuni mortali rimangono sulla punta della lingua. La sua voce è grintosa, melanconica o vellutata a seconda delle atmosfere, e si capisce che sul palco non si risparmia. La band respira all’unisono: alle chitarre elettriche ed acustiche duellano alla pari l’inseparabile amico e coproduttore John Jennings e Duke Levine, al piano, tastiere e accordion c’è un altro amico, Jon Carroll, mentre la sezione ritmica è formata da Robbie Magruder alla batteria (forse qualcuno lo ricorda nei dischi dei Seldom Scene) e J.T. Brown al basso.

Alla fine del concerto (più o meno l’una di notte) nei camerini riusciamo a scambiare due parole con Mary Chapin. Visibilmente provata dall’esibizione è intenta a recuperare energie sgranocchiando una trentina di centimetri di Toblerone, e ci confessa che l’Italia l’ha veramente girata in treno un pò di anni fa, come racconta in This Shirt, e che le piacerebbe moltissimo poter tornare nel nostro paese a cantare. Uscendo veniamo risucchiati dalla folla nella tenda-ristorante a lato, dove è allestito un altro palco e la festa continua sino al mattino con interminabili jam session tra i Perfect Stranger, i coristi di Lyle Lovett e la band di Ivonne Moore, brava e simpatica cantante svizzera di Rythm & Blues.
Il giorno dopo si ripeterà tutto più o meno invariatamente, salvo l’intermezzo della conferenza stampa che quest’anno si tiene nel lussuoso salone delle conferenze del Palace Hotel di Gstaad (quello di Peter Sellers nella Pantera Rosa, tanto per intenderci, e la tentazione di chiedere una ‘stonza’ alla reception è quasi irresistibile…).
Lyle Lovett vi giungerà in tuta di pelle nera da vero biker, appena tornato da una cavalcata in sella ad una Harley Davidson tra le montagne svizzere, e farà sapere di essere un grande estimatore della Ducati di Bologna, di non gradire domande sulla sua ex-moglie Julia Roberts, di non considerarsi un attore (anche se ha lavorato in alcuni film con Robert Altman) e di non aver quindi progetti in quel campo.

Mary Chapin Carpenter sembrerà invece quasi a disagio di fronte alla folla dei giornalisti, rispondendo a voce bassa e profonda alle domande e sgusciando via appena finito, ed i Perfect Stranger e David Ball racconteranno del loro passato musicale e dell’impressione ricevuta per la prima volta di fronte ad un pubblico europeo.
La domenica, ultimati gli acquisti di CD, si torna all’ovile, e in viaggio ci si continua ad interrogare (come tutti gli anni) sul perché l’Italia sia lontana anni luce da tutto questo.
Ma la domanda andrebbe più correttamente posta ai soliti sedicenti addetti ai lavori che, magari dalla radio o dalla TV, quando vengono interpellati sulla musica country sono in grado solo di recitare le loro trite litanie da provinciali condite con due o tre banalità sugli hamburger, i cow-boys e Topolino. Pazienza: noi, tanto, l’anno prossimo torniamo a Gstaad.

Martino Coppo, fonte Country Store n. 34, 1996

Link amici