Guy Clark interview picture

Un personaggio schivo, di pochissime parole. L’impressione che ho di lui, la serata dell’ Only A Hobo Festival a Sesto Calende, è quella di un muro attraverso il quale non sarà facile aprire una breccia. Anche sul palco appare appartato rispetto agli altri artisti, come ripiegato sulla propria musica, partecipe all’happening, ma fino ad un certo punto, solo quanto basta per liberare le sue ballate superbe e solatie, lasciarle scorrere con un’indolenza magnifica e naturale, con una classe compassata ed impeccabile che è tipica dei grandi.
Lo affronto in colloquio stringato e senza cerimonie e ci diamo appuntamento per il giorno dopo, a Torino, in occasione del soundcheck. E qui, nel piccolo ambiente dove ci siamo solo io, lui, suo figlio Travis e pochissimi addetti ai lavori, lontani dall’allegra baraonda di Sesto, sospetto di trovarmi davanti ad un uomo diverso, il cui aplomb altro non è che un baluardo di difesa, l’ultimo bastione di un uomo timido e intriso di essenzialità. Prima di un concerto che sarà fulgido e, considerate le proporzioni, ancora più intimo e diretto di quello della serata precedente, Guy mi invita nel suo camerino. Mio figlio Stefano Dylan, armato di macchina fotografica è pronto a consegnare all’eternità questo momento emozionante. Il soundcheck era stato intrigante e già lasciava intravedere il piccolo miracolo musicale che sarebbe avvenuto sulla minuta ribalta del Folk Club. Guy sorride, è a suo agio. Non certo prolisso, ma attento alle domande che gli vengono poste. Risponde e alterna qualche risata. E’ un altro, e ne sono sbigottito.

FC – Un anno fa ho incontrato Townes Van Zandt. Mi ha parlato di te e dei vostri tempi ad Houston. Mi ha detto: “Fummo come fratelli, io mi preoccupavo di lui e lui si preoccupava di me”. Ora, parlami tu di lui e di quei tempi di strada e di autostop.
GC – Non abbiamo mai fatto autostop, avevamo una macchina. E’ stato molto divertente. Giravamo insieme, eravamo ottimi amici, sicuramente. Lo siamo ancora. Erano le solite cose, come fare concerti, suonare.
FC – Sono preoccupato, molto preoccupato per la salute di Townes. Hai notizie fresche? Cosa pensi della sua situazione?
GC – E’ attivo, e ciò è tutto quello che si possa desiderare.
FC – Quale fra le sue canzoni ami di più?
GC – Probabilmente To Live Is To Fly.
FC – Dublin Blues  ha riscosso notevoli consensi in Italia e si è candidato fra i migliori dischi dell’anno. Come è andato in America e nel Texas?
GC – La reazione è stata buona, tutte le recensioni positive. Direi che artisticamente è stato un disco di successo. Non ha venduto molto. Ma io normalmente non vendo molto.
FC – Nella canzone The Randall Knife parli del coltello che tuo padre possedeva come di un oggetto prezioso, una vera eredità. Quale oggetto rappresentativo di te vorresti che, un giorno lontano, tuo figlio Travis conservasse delle tue cose?
GC – Non posso decidere per lui, visto che mio padre non ha deciso per me. Sarà una sua scelta. Qualsiasi cosa lui voglia.

FC – Come è il rapporto di musicisti fra te e Travis? Come si è integrato nella tua musica?
GC – Io e Travis suoniamo insieme da tre anni. L’ultima volta che siamo stati qui, non so se ricordi, era la prima volta che suonavamo insieme e da allora abbiamo sempre suonato insieme. E’ meraviglioso. E’ l’esperienza musicale più divertente che io abbia mai avuto. E’ un grande musicista, molto naturale.
FC – Come nascono le tue canzoni? All’improvviso o lentamente per sedimentazioni naturali?
GC – Molto lentamente. A volte ci vogliono anni. A volte arrivano prima le parole, altre la musica.
FC – Quali sono le condizioni ideali per scrivere una canzone secondo te?
GC – Nessuna responsabilità, far nulla. Devo essere molto rilassato. Non posso scrivere ‘on the road’, sarei troppo sotto pressione. Guardando fuori dalla finestra, a casa.
FC – Dove scrivi?
GC – Scrivo nella mia casa, in una stanza predisposta per la musica.
FC – Per chi scrivi?
GC – Per me stesso.
FC – Fra le canzoni che hai scritto, quale ti ha dato più gioia?
GC – Penso che la mia preferita sia She Ain’t Goin’ Nowhere
FC – Quanto ha influito la musica di Hank Williams nella tua musica?
GC – Mi ha influenzato, ma non più di altre. La semplicità delle canzoni di Hank Williams credo sia l’influenza principale, il più importante è stato Townes.
FC – Cosa significa esattamente Old N. 1 ?
GC – Ho fatto quel disco completamente una volta, ma non mi piaceva e l’ho gettato. Mi chiedevano come andasse il disco e io ripetevo che lo stavo rifacendo. E così si prese a dire ‘il vecchio numero uno’.

FC – Hai qualche nome emergente da segnalare dal Texas?
GC – Gillian Welch. Non viene dal Texas, ma è davvero ottima. Puoi scommetterci.
FC – Musicalmente, quali sono i tuoi eroi giovanili?
GC – I bluesmen, Lightnin’ Hopkins. Ma amavo tutti i generi di musica.
FC – Dai l’idea di un uomo schivo, appartato. La solitudine è per te una scelta o un obbligo?
GC – E’ una scelta.
FC – Che tipo di vita fai, a parte la musica? Di che cosa ti diletti?
GC – Mi piace dipingere. La copertina dì Old Friends è un autoritratto.
FC – La scena di Austin e in genere la scena del Texas sono esplose negli ultimi anni. Il Texas sembra essere la guida al songwriting americano ( Ely, Hancock, La Fave, Tish Hinojosa, Rodriguez… ). C’è una ragione particolare secondo te o si tratta di un caso?
GC – Probabilmente è solo una coincidenza. E’ una questione di tradizione locale.
FC – Si dice che tu sia proverbialmente pigro. Se è vero, cosa c’è dietro la tua pigrizia?
GC – Sono soltanto pigro. Non mi piace lavorare troppo.
FC – Hai rimpianti per il tempo perduto?
GC – No. Faccio il meglio che posso.
FC – Qual’é il più ricorrente dei tuoi sogni?
GC – Non saprei.
FC – E fra i sogni ad occhi aperti?
GC – Vorrei avere una barca, dipingere di più e suonare meglio la chitarra.
FC – Cosa distingue un uomo comune da un poeta?
GC – Il poeta scrive poesie, l’uomo comune no.

Francesco Caltagirone, fonte Out Of Time n. 14, 1996

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