John Duffey

Abbiamo ricevuto dal nostro corrispondente/columnist Don Kissil ben 8 pagine di fax a lui arrivati (via e-mail) nei giorni successivi alla morte di John Duffey, e abbiamo deciso di riportarne un po’ su queste pagine, sperando che possano aiutare a far conoscere meglio questo grande del bluegrass, e a fare capire quale sia stato il ‘peso’ del suo apporto alla musica. Ho deciso di tralasciare, per questo, i fax che si limitavano a dare informazioni sul come e quando della sua morte, anche se venivano da personaggi come Ben Eldridge o Sonny Osborne, e quelli che facevano un racconto della sua carriera, anche se forse per molti nuovi appassionati di bluegrass sarebbero stati utili…
Da Reuters New Media, 11.12.96: (…) Dudley Connell descrive John Duffey come “uno della mezza dozzina dei più importanti musicisti in questo campo. Ha contribuito a ridefinire il modo in cui la gente guarda al bluegrass, lo ha reso accettabile alle masse urbane con la sua scelta di repertorio e con lo stile delle sue performance”. (…) Altri membri del gruppo dicono che il segreto del successo del gruppo è sempre stato la presenza di Duffey sul palco, pazzoide ma dominante.
Dal Washington Post, 12.12.96: Richard Harrington, “John Duffey: un mandolino per tutte le stagioni”. Il National Observer una volta definì John Duffey “il padre del bluegrass moderno”, una paternità che si adattava al muscoloso mandolinista col taglio di capelli da siepe e il tenor altissimo, che fu co-fondatore dei Country Gentlemen nel 1957 e dei Seldom Scene nel 1972.

Questi due gruppi fondamentali non solo contribuirono alla diffusione mondiale del bluegrass, ma resero anche Washington la capitale del bluegrass negli anni ‘60 e ‘70. Già scossi dalla recente scomparsa del patriarca del bluegrass, Bill Monroe, la musica ed i suoi fans hanno motivo di sentirsi orfani. Duffey, che è morto ieri all’età di 62 anni in seguito ad un attacco cardiaco nella sua casa di Arlington, Virginia, era, come Monroe, una figura torreggiante, fisicamente e storicamente.
Duffey era anche una delle figure più incisive e vivaci nel bluegrass, tanto famoso in concerto per le sue battute (di solito ‘politicamente scorrette’) e prese in giro, quanto per la sua abitudine di scatenarsi in assoli infuocati e poi lanciarsi il mandolino dietro la schiena quando aveva finito perché, beh, aveva finito.
(…).“John Duffey aveva una tale presenza sul palco che non potevi fare a meno di guardarlo” osserva la nota DJ di radio bluegrass e country Katie Daley “e non era solo quel suo tenor altissimo. Aveva una tale verve da rendere la musica una gioia anche per gli occhi, in un tempo in cui tante bluegrass band si accontentavano di stare al microfono con facce inespressive.”
(…) “Era orgoglioso, ma non voleva pagare nessun prezzo, come interviste, viaggi, prove, registrazioni” dice Gary Oelze, manager del Birchmere, il club della Virginia posto sulla mappa mondiale dell’intrattenimento grazie alla ventennale residenza in esso dei Seldom Scene i giovedì sera. “Odiava le prove, e tirava fuori il mandolino solo al momento di suonare, e odiava lo studio di registrazione, dove la sua teoria era “Se non riesco a suonare bene al primo take, vuoi dire che non potrò mai suonare quel pezzo in modo giusto”. Era come Monroe nel senso che ambedue avevano un carattere molto deciso. John era forte e dominante, ed era una vecchia scoreggia litigiosa! E difficile immaginare che l’omone se ne sia andato.” John Starling, chirurgo della Virginia che fu per molti anni lead singer dei Seldom Scene, ammette che Duffey era “a volte difficile da trattare, da un punto di vista professionale, ma era anche sincero e fedele a se stesso, e non cambiava mai. John era unico.”
(…) “Lasciati ai loro mezzi, senza John i Seldom Scene avrebbero svuotato un club in 10 minuti” dice Starling con un sorriso “lui era l’intrattenitore, noi altri eravamo i musicisti e cantanti. Faceva tutto lui.”

(…) Duffey, passando ore ed ore al vasto Archive of Folk Song della Library of Congress, cercava tesori musicali inesplorati. Duffey era un prodotto del primo folk revival americano, che aveva messo a contatto la gente di città con la cultura rurale, e a sua volta aveva passato ad altri questa cultura. “John era una di quelle persone che hanno portato la musica rurale in città,” dice Joe Wilson, capo del National Council for the Traditional Arts, “si preoccupava dell’autenticità anche se il suo background culturale non era rurale. (…) Duffey ha reso il bluegrass accessibile ad avvocati e contabili e gente che lavorava a Capitol Hill” continua Wilson, “era un interprete nel senso migliore del termine, portando una cultura di base ad una elite”. I Country Gentlemen sono sopravvissuti alla defezione di Duffey, continuando la loro attività per altri 26 anni (ora 40 in totale) attorno a Charlie Waller, unico sopravvissuto della formazione originale. Forse anche i Seldom Scene andranno avanti. Ma John Duffey era a tal punto l’elemento focale, lo showman, l’intrattenitore, l’uomo imponente con le dita che volavano sul piccolo mandolino, che è difficile immaginare la band, o il bluegrass, senza di lui.
Ben Eldridge, 10.12.96: “John, riposa in pace. Ci mancherai”.

Maurizio Faulisi, fonte Country Store m. 35, 1996

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