Poco

A vent’anni di distanza, si riunisce la formazione originale di una delle band più amate dì country rock. Una rara combinazione di grandi talenti.

La fine degli anni sessanta ha fatto segnare il passo al rock: in un paio d’anni sono morti alcuni tra i miti più autentici di una generazione tra le più arrabbiate, ma anche genuine e disposte ad ingentilirsi.

Nella West Coast americana in quel periodo c’era un gran fermento: da una parte Jefferson Airplane, Grateful Dead e Quicksilver Messengers Service imperversavano con il loro acid rock, dall’altra Crosby Stills Nash & Young, Eagles e Poco proponevano un country-rock smaliziato, fatto di chitarre frizzanti e coretti deliziosi dando inizio a un’era creativa di grande intensità e rara bellezza.

Il 1969 vide la nascita dei Poco e l’ufficializzazione del loro primo lavoro Picking Up The Pieces. Il gruppo girava attorno a musicisti del calibro di Jim Messina, Rìchie Furay, George Grantham, Randy Meisner e a un chitarrista che si era conquistato una certa fama per il suo esemplare intervento alla steel guitar nel brano Kind Woman dei Buffalo Springfield, Rusty Young.

Quest’ultimo, nonostante fosse dovuto rimanere solo occasionalmente nella band, finì col risultare l’elemento trainante anche quando gli altri membri avrebbero definitivamente defezionato. In seguito a malumori interni, nel ’69, subito dopo la registrazione del disco, Meisner se ne andò per unirsi agli Eagles, nel ’70 fu la volta di Messina che si unì a Loggins, nel ’73 anche Furay lasciò il gruppo per dare vita al supertrio Souther, Hillman & Furay e infine nel ’77 si involò anche Grantham per andare a lavorare a Nashville.

Young si sobbarcò allora l’onere di leader superstite del gruppo per una decina di anni, fino a quando nell’84 la band si sciolse.

C’era allora molta delusione e amarezza per i risultati che si raccoglievano: si lavorava molto, ma di dischi se ne vendevano pochi, a parte la breve parentesi di Legend (l’album dalla copertina bianca, con il cavallo stilizzato), che piazzò due pezzi, Crazy Love e Heart Of The Night, nelle top 20 americane, di veri successi non ve ne furono.

Dischi come Under The Gun, Blue & Grey, Cowboys And Englìshmen rispettivamente dell’80, ’81, ’82 raccolsero pochi consensi, ma anche lavori come Rose Of Cimarron, della metà degli anni settanta, che sono oggi ricordati come una delle cose migliori di allora, non ricevettero da pubblico e critica ciò che avrebbero meritato.

Interrogato a proposito Young non si sa ben spiegare il perché di quel limbo, ma tende a giustificare il poco successo con una cattiva promozione soprattutto radiofonica (in America è fondamentale) poiché i Poco erano “Troppo country per le radio rock e troppo rock per quelle country”.

Comunque sia, dopo cinque anni di ripensamenti, per iniziativa del solito Rusty il collettivo originale si riforma più agguerrito che mai. Non è certo un’operazione molto originale in vista di quanto è accaduto per band altrettanto famose come Crosby Stills Nash & Young, Jefferson Airplane e via dicendo, ma si è già positivamente concretizzata con un nuovo disco, effettivamente interessante, Legacy.

Young e Messina ufficialmente giustificano la volontà di ritrovarsi con l’interesse musicale che può derivare dal nuovo bagaglio di esperienza apportato dai vecchi componenti; di fatto, oltre agli interessi ovvi di natura commerciale, c’è una gran voglia, da parte di tutti, di ritrovarsi e di rivivere i magici momenti degli inizi. “Siamo diventati adulti e non ci sono più quei piccoli attriti di un tempo” dice serenamente Randy Meisner e anche Messina si associa all’autocritica dell’amico “a quei tempi ero davvero un po’ troppo prepotente”, e Furay, da parte sua, non è da meno “Allora ero proprio partito su una linea di autentico egocentrismo”.

Insomma che i Poco, oltre ad essere diventati decisamente adulti, si siano anche rabboniti, non ci sono dubbi, sta ora a vedere quanto riescano ad essere lungimiranti nei confronti del mercato. Furay è convinto che esista ancora un vuoto nella musica leggera e che i Poco possano in qualche misura colmarla. La scommessa è quella di provarci e naturalmente di riuscirci.

Come dice una loro canzone tratta dall’ultimo album When It All Began “Cogliamo il momento/rendiamolo nostro per sempre/ so che possiamo farlo/ ricordiamoci solo/ di come era quando tutto è cominciato”.

L’intervista

Nel corso di uno showcase organizzato dalla loro casa discografica, la BMG, abbiamo avuto occasione di scambiare quattro chiacchiere con Jim Messina e Rusty Young.

HF: Per un gruppo che da ventanni si esibisce in un particolare stile musicale è più facile riproporsi con le vecchie melodie o con qualcosa di nuovo?

Poco: Uno dei motivi della riuscita di questo nostro ultimo album è stato il fatto che, prima di incontrarci nuovamente, abbiamo tutti continuato una carriera individuale che ci ha maturati e che ci ha permesso di mettere insieme delle nuove idee. Legacy, nonostante il grande rispetto per i nostri vecchi fans, riteniamo sia in qualche modo innovativo rispetto al nostro passato.

HF: I testi delle vostre canzoni hanno sempre avuto dei messaggi ottimisti,

positivi anche in momenti sociali difficili: come vi rapportate con le nuove generazioni?

Poco: I giovani di oggi probabilmente hanno meno ideali di quanti ne abbiano avuti i loro coetanei di vent’anni fa, ma anche per loro l’angoscia è un fantasma da vincere, così le nostre canzoni, che propongono ancora modelli di speranza, possono aiutare nella giusta direzione.

HF: Gruppi come CSN&Y, Eagles, Dooby Brothers, dopo una normale consunzione si sono riuniti alla ricerca degli antichi fasti. I risultati sono stati però in tutti i casi abbastanza deludenti, c’è qualche motivo per cui a voi debba andare meglio?

Poco: Effettivamente qualche rischio c’è, ma per noi è soprattutto una questione di scelta artistica! Non ci poniamo il problema strettamente commerciale di fare degli hit, il ritrovarsi dopo tanti anni è stata una nostra esigenza collettiva che va al di là della vendita dei dischi, del resto neanche nel periodo dei nostri inizi vendemmo mai più di tanto.

HF: La country music ha in questo periodo un felice ritorno e in molti casi il merito è stato di musicisti della vostra stessa epoca. Chris Hillman, Nitty Gritty Dirt Band, Emmylou Harris oggi sono stati filtrati dall’industria di Nashville che prima avevano rifuggito, e si propongono come interpreti di un nuovo country. Non avete mai pensato di puntare alle classifiche di questo particolare genere musicale?

Poco: II nostro disco lo riteniamo sicuramente più vicino al rock che non al country, se però il pubblico americano è così aperto da considerarlo addirittura country e lo compra, beh allora noi siamo ovviamente contenti, ma non era questo il nostro intento.

HF: Cosa provate a sentire gruppi di successo di oggi come Highway 101 e Southern Pacific che propongono le stesse vostre strutture musicali di tanti anni fa?

Poco: Ovviamente fa molto piacere. Speriamo che, come dicevo prima, questi gruppi che sono amici non rischino di perdere la loro identità, costantemente in bilico tra rock e country, proprio come successe a noi anni fa.

HF: Che rapporto avete avuto con la vostra casa discografica in occasione del vostro ritorno?

Poco: Molto buono. L’unico compromesso che abbiamo dovuto accettare per imporre i nostri pezzi è stato quello di inserire nell’album quattro brani che il nostro produttore riteneva soddisfacenti anche dal punto di vista commerciale. Non è stata una concessione difficile perché comunque anche quei quattro titoli li abbiamo composti noi.

HF: Rusty Young è stato l’unico elemento del gruppo a vivere completamente l’avventura dei Poco e anche se negli anni settanta ha inciso con loro dischi piuttosto belli, il successo non è mai arrivato in modo netto. Non è sfibrante una carriera di questo tipo?

Poco: II successo è una mistura di ingredienti che arrivano sincroni al momento giusto: un testo o un riff particolarmente indovinato, una promozione programmata, un manager abile che ti sa imporre nei giusti canali, sono probabilmente stati elementi che in qualche misura ci sono mancati. Altri gruppi che si muovevano nella nostra direzione, che spesso erano addirittura stati influenzati da noi, il successo invece l’hanno ottenuto e ciò sta a significare che quello che ci è mancato non state le idee, ma piuttosto la fortuna. Dal punto di vista artistico io sono comunque sempre stato soddisfatto della mia musica.

Roberto Caselli, fonte Hi, Folks! n. 39, 1990

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