Dopo parecchi anni vissuti a Austin, Texas, Dirk Hamilton oggi vive a pochi passi dall’oceano, in quella California nella quale, giovane songwriter di belle speranze, arrivò nei primi anni ‘70 in cerca di fama. È appena uscito The Relative Health Of Your Horse Outside (bel titolo eh?), doppio live album che suona come un greatest hits e che soprattutto lo vede di nuovo al fianco di Don Evans, chitarrista e amico che con lui divise quegli anni e quelle canzoni.
ME – Che succede Dirk, stai riportando tutto a casa o è solo una coincidenza?
DH – Pura coincidenza… Ma esistono poi le coincidenze? È comunque bello suonare e registrare di nuovo con Don. Ho la sensazione che lui faccia per la mia musica quello che George Harrison faceva per i Beatles: trova sempre la parte giusta, l’assolo perfetto, i colori giusti che fanno funzionare la canzone.
ME – The Relative Health Of Your Horse Outside contiene canzoni scritte tanto tempo fa, all’inizio della tua carriera. Ora sei un uomo diverso, ma le canzoni? Come ti senti a cantare oggi canzoni che appartengono a un diverso e più giovane Dirk Hamilton?
DH – Oggi canto solo quelle canzoni che ancora sento mie, come tutte le canzoni che sono nell’album live. Oggi le sento in un modo diverso ovviamente. Sono un cantante migliore e tutta la strada che ho percorso nella vita da quando le registrai per la prima volta aggiunge maggiore profondità alle mie attuali interpretazioni. La gente mi chiede sempre di fare canzoni dall’album Meet Me At The Crux, ma non mi sento più di strillare come facevo allora. Ho smesso di agitare il mio pugno arrabbiato verso il cielo.
ME – Raccontaci qualcosa dei tuoi primi anni, quando eri nella serie A del rock’n’roll.
DH – Ero impaurito e incazzato e totalmente sconcertato dall’assenza di amore. Volevo cambiare il mondo. Ero un giovane uomo tormentato e la mia relazione con il tormento si svolgeva nei soliti modi autodistruttivi. Lo show business non è il posto per un giovane artista sensibile. Ora ho imparato che business e arte sono due cose totalmente separate e cerco di evitare per quanto possibile il lato del business.
ME – Quanto riveli di te stesso nelle tue canzoni?
DH – Più o meno tutto.
ME – Non credi che cantare su un palco possa influenzare chi ascolta, e non sempre nel verso giusto?
DH – Non ne sono sicuro. La gente mi dice, di tanto in tanto, che le mie canzoni sono state importanti per le loro vite. Una coppia mi ha detto addirittura che hanno salvato le loro vite! Ieri un tipo mi ha mandato 2.500 dollari ringraziandomi per la mia musica. Questa cosa mi ha toccato nel profondo… e avevo davvero bisogno di quei soldi. Spero che le mie canzoni stiano facendo qualcosa di buono là fuori. La musica può essere dannosa? Credo di sì. Specialmente nei confronti di adolescenti confusi.
ME – C’è un nuovo disco in arrivo? È passato un po’ di tempo da Sufferupachuckle.
DH – Sì, un album con nuove canzoni. Abbiamo terminato le registrazioni. Ora abbiamo il vecchio e familiare problema di completare il disco praticamente senza soldi. Sta diventando uno stile di vita.
Mauro Eufrosini, fonte JAM n. 97, 2003