Come accade nella maggior parte dei casi in cui ci accingiamo a recensire un album a firma di un illustre sconosciuto, è estremamente difficile reperire materiale biografico sullo stesso, in quanto emerito sconosciuto, appunto. Il discorso si addice perfettamente al buon J.D. Winningham, nativo di Colorado Springs, Colorado, ma che ha raggiunto il Texas, suo stato adottivo, “non appena ha potuto” – il che significa nel 1982 – con la sua chitarra, la camicia che aveva addosso in quel momento ed una fatiscente automobile che ha tirato le cuoia non appena ha attraversato il confine del Lone Star State, quasi fosse l’eroico destriero del pony-express che muore di fatica, ma soltanto dopo aver permesso al suo padrone di consegnare la preziosa missiva a lui affidata.
“Comporre ed esibirmi rappresenta per me una necessità imprescindibile”, ci confessa J.D., “Se non scrivo, scoppio”. Si vocifera che il nostro abbia già composto più di cento canzoni ed egli aggiunge “Cerco di fare in modo di fare provare delle sensazioni alla gente. Ecco cosa deve ottenere una buona canzone: farti provare una sensazione”.
J.D. probabilmente è nato con la musica che già scorreva nelle sue vene. All’età di due anni sedeva davanti al televisore con un fìddle in plastica in una mano ed una chitarra giocattolo nell’altra ed il suo programma preferito era la versione canadese della Grand Ole Opry (!).
Dopo aver visto il film Bonnie & Clyde, Winningham ha investito i suoi risparmi per acquistare il suo primo vero strumento musicale – un banjo a cinque corde. Pare che abbia preso in mano la chitarra per poter spiegare ai chitarristi come accompagnare il banjo.
Da una cassetta stereo-8 (ve le ricordate?) di Jerry Lee Lewis, Winningham ha imparato ad usare veramente l’armonica per ottenere quell’effetto rhythm & blues di alcuni suoi brani per arrivare così, attraverso tante serate passate ad esibirsi nei bar, nelle caffetterie e negli honky-tonks del grande stato del Texas (“paying his dues”) al suo ottimo debutto discografico del 1996 per l’etichetta Full Moon Records di San Antonio, Texas.
Diciamo subito che la produzione è affidata ad un duo di eccezione, nelle persone di Bob Livingston (ex-gregario di lusso nella Lost Gonzo Band, alla corte di Jerry Jeff Walker) e Lloyd Maines (ex-Maines Brothers Band e session-man fra i più richiesti del panorama texano). I due prestano anche la loro opera in qualità di strumentisti: Livingston al basso e voci, mentre Maines si destreggia con chitarra acustica, dobro, pedal steel, mandolino, percussioni e voci. Della partita sono ancora l’ex-collega di Bob Livingston John Inmon (ex-Lost Gonzo Band) alla chitarra elettrica, Paul Pearcy (con Darden Smith) alla batteria ed il richiestissimo Gene Elders al fiddle.
Da buon titolare, J.D. tiene per sé i ruoli di voce solista, chitarra ed armonica. Nonostante si trovi al suo esordio discografico, il nostro texano d’adozione compone tutti e dieci i brani e li canta con voce matura, convinta e personale, solo a volte rifacendosi a modelli più noti (su tutti, risulta evidente il richiamo a Neil Young nel ritornello di Sweet Rosanna’s Eyes e nella conclusiva Stone Pony).
Il contenuto musicale risulta estremamente vario: dalla ballata classica di Tears Of Hope (un brano folk/country a-la Guy Clark), Sweet Rosanna ‘s Eyes e Way Back Home (dice J.D. che questa canzone ha fatto piangere Townes Van Zandt la prima volta che gliela ha fatta ascoltare), ai più roccati Don’t Do It Unless You Mean It e Little Lillie (entrambe con un piano al fulmicotone, che si anima di vita propria al tocco delle sapienti dita di Riley Osbourn) e la succitata Stone Pony (un pezzo che J.D. ha composto quindici anni fa, ma che ha voluto aspettare a registrare fino a quando non ha trovato il giusto arrangiamento, che oggi abbiamo il piacere di ascoltare in finale di brano, con un lungo a-solo di chitarra – circa tre minuti – ad opera di John Inmon), passando per il Texas swing di Her Name Ain’t Dixie (Asleep At The Wheel docet) e Full Moon Night (“Frank Sinatra con il cappello da cowboy”, per usare un parallelo dello stesso J.D.), senza dimenticare l’imprevedibile intermezzo di blues acustico con Rain Keeps Falling, registrato all’1,30 del mattino al Cedar Creek Recording Studio, con addosso i soli stivali da cowboy misura 10. L’album non è di facile reperibilità, ma vale indiscutibilmente la pena di darsi da fare per trovarlo.
Full Moon FMR-O827 (Alternative Country, Singer Songwriter, 1997)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 43, 1998