Jerry Lee Lewis

Last Man Standing: era questo il titolo di uno dei dischi più significativi dell’artista di Ferriday, Louisiana, uscito una decina di anni fa. Proclamava in modo sfrontato come il Killer, questo l’appellativo che già da ragazzino gli affibbiarono per via del suo carattere temerario e strafottente, fosse l’unico superstite di quella generazione di pionieri che negli anni ‘50 cambiò la storia della musica popolare moderna dando inizio anche a una rivoluzione culturale senza precedenti. In realtà nel 2007 c’erano ancora in giro Chuck Berry e Fats Domino, che purtroppo l’anno scorso ci hanno lasciato, e anche Little Richard, oggi in condizioni di salute così precarie da rendergli ormai impossibile qualunque apparizione in pubblico. Così la definizione Last Man Standing, questa volta, è drammaticamente indiscutibile: Jerry Lee Lewis è davvero l’ultima testimonianza vivente di un’America di altri tempi, dell’autentico e originale rock and roll.

L’ultimo ancora capace di salire sul palco, a ottantadue anni suonati per davvero, per celebrare l’antico rituale. Come ha fatto a Memphis l’ultimo dell’anno, nel suo Jerry Lee Lewis’ Cafe & Honky Tonk club di Beale Street, per salutare l’arrivo del 2018 illuminando i suoi fan con gli ultimi preziosi bagliori del suo inimitabile talento. Per questo ci piace celebrarlo. Perché uno come lui non si lascia mettere da parte tanto facilmente. E’ passato attraverso trionfi, arresti, alcolismo, tragedie familiari, cadute e risalite, ed è sempre lì: il peggiore ‘son of a bitch’ del rock and roll, la figura che ha meglio rappresentato il fuoco che ardeva forte e incontenibile nei corpi dei giovani teenager degli anni ’50. Nessun altro è stato tanto stronzo, scapestrato, impertinente come ‘the real wild child’.

Lui è l’incarnazione della trasgressione, è il bastardo che generazioni di fan e artisti rock avrebbero voluto essere senza averne il coraggio. Altro che punk, Johnny Rotten e fratellini nella vita, a confronto, hanno raccolto margherite. La società americana del 1957 non era quella inglese di vent’anni dopo. Per rompere il ghiaccio come hanno fatto lui e i suoi compagni d’avventura, il primo Elvis, quell’altra testa calda di Gene Vincent, oppure Little Richard – egocentrico, nero e gay -, bisognava avere tanto coraggio, o tanta incoscienza e incontrollabile follia. A Jerry Lee Lewis non bastava urlare e dimenarsi. Lui suonava i suoi riff ostinati maltrattando la tastiera anche con i tacchi e poi, sprezzante, dava un violento calcio allo sgabello per liberarsi idealmente di tutte le bigotte convenzioni della società americana.
Come fece allo Steve Allen Show del 1957 cantando Whole Lotta Shakin’ Goin’ On, causando scandalo ed eccitazione. Un’esibizione che chiunque voglia saper com’è il sacro fuoco del rock and roll dovrebbe andarsi a cercare su youtube. Jerry Lee Lewis quel sacro fuoco una volta arrivò addirittura ad appiccarlo al pianoforte, evocando Great Balls Of Fire, uno dei suoi più celebri cavalli di battaglia che diede anche il nome ad un film sulla sua vita. Alla domanda se il film gli fosse piaciuto rispose “Sì, ma c’è qualcosa che non mi piace…. Dopo la mia storia c’era scritto The End. E la fine, per il Killer, non è ancora arrivata….”.

L’intervista
Long distance information, give me Memphis Tennessee… in linea con la leggenda!

Buonasera Mr Lewis, un concerto la sera della Vigilia di Capodanno nel suo splendido locale di Beale Street: quale miglior modo per accogliere il nuovo anno?!
JLL: Yeah! Suonare è sempre un momento magico per me. Mi piace stare nel mio club e vicino alla mia gente. Mi fa star bene! E poi lo sai che adoro sempre di più i miei fans?

Lei e Little Richard siete gli ultimi giganti rimasti tra i pionieri del rock and roll. C’è qualcuno tra loro con cui è stato maggiormente legato da un rapporto di stima e amicizia?
JLL: Con molti di loro ho vissuto bei momenti insieme. Concerti, riconoscimenti, eventi indimenticabili. Certo, non è mancata qualche scintilla a volte! Comunque ho sempre avuto un legame particolare con Chuck Berry, Fats Domino e Little Richard.

L’esplosione del rock and roll negli anni ‘50 ha dato inizio alla più grande rivoluzione musicale, sociale e culturale del secolo scorso. Ha mai pensato all’epoca che la vostra musica avrebbe cambiato così tanto il mondo?
JLL: Il rock and roll mi faceva sentire così bene e non mi ha sorpreso tutto ciò che è successo poichè era un momento straordinario, nel quale tutto sembrava possibile.

Tra tutti i suoi successi qual è la cosa più bella che le sia accaduta?
JLL: La mia ultima moglie, Judith Coghlan Lewis. Siamo sposati da 6 anni e l’amo dal profondo della mia anima.

Il prossimo mese di aprile sarà l’attrazione principale del Viva Las Vegas Rockabilly Weekend. Abbiamo qualche speranza di vederla anche in Europa nel 2018?
JLL: Credo proprio di sì ma ancora non c’è niente di definitivo.

Se dovesse scegliere solo 3 canzoni per rappresentare al meglio il suo cuore e la sua anima, quale sceglierebbe?
JLL: Great Balls Of Fire, You Win Again e Whole Lotta Shakin’…Hey ma non posso lasciar fuori la prima canzone che ho imparato a suonare al piano: Old Rugged Cross!

Discografia selezionata:

Jerry Lee Lewis At Sun Records, The Collected Works (Bear Family)
Chi conosce e ama Jerry Lee sa apprezzare tutto ciò che ha registrato, anche nel periodo in cui è evidente lo facesse solo per campare. Ma alla domanda su quale sia stato il suo periodo migliore dal punto di vista discografico, si è tutti d’accordo: Sun Records. Vi rimase dal ’56 al 1963. Da circa un anno è disponibile un box di 18 CD e 2 libri che include l’intera sua meravigliosa produzione Sun con alt take incluse. Il suo valore va ben oltre il prezzo richiesto, per quanto molto alto.

Killer, The Mercury Years Vol.1/3 (Mercury)
Dopo la Sun Jerry Lee firmò per la Smash, una sussidiaria Mercury, che la major assorbì nel 1970. I tre CD raccolgono il meglio pubblicato da Killer per questa label dal ’63 al ’77. Originariamente furono stampati anche in versione doppio LP, il CD è ormai di difficile reperibilità, se ne consiglia l’acquisto finché possibile per poter apprezzare oltre alle cover di classici R&R, anche la sua personale interpretazione del country, genere che lo aiutò a rimanere sul mercato.

Live at The Star Club, Hamburg (Bear Family)
Anche i Nashville Teens attraversavano la Manica per suonare nei pub di Amburgo. Oggi possono dirsi interpreti di uno dei migliori live di sempre, essendo stati back-up band per un indemoniato Killer in un momento di grande ispirazione, o forse rabbia, trattandosi del periodo più difficile della sua carriera. Non era più riuscito a risollevarsi dopo i fatti del ’58, qui era al fondo, il 5 aprile 1964 in quel piccolo club vomitò R&R come se stesse partendo per l’inferno, con una violenza da spaventare il pubblico.

The Session (London 1973) (Mercury)
All’inizio dei ’70 il rinnovato interesse per il R&R fece vedere la luce in fondo al tunnel a tutti i grandi della prima generazione, in testa Jerry Lee Lewis, il più penalizzato. Nel ’73 la Mercury lo fece volare a Londra dove lo attendeva una session organizzata con l’who’s who del rock di allora. Jerry Lee registrò con molti dei nomi più popolari, da Alvin Lee a Rory Gallagher a Peter Frampton. Un must, anche se a tratti i musicisti caratterizzarono pesantemente a modo loro il suono.

The Last Man Standing (Artists First/ShangriLa)
Il primo degli ultimi tre album, accomunabili essendo stati concepiti con lo stesso concetto di produzione. La crema della comunità rock nel 2006 si strinse intorno a Jerry Lee come precedentemente successe a Chuck Berry con Hail Hail Rock’n’Roll e successivamente a Fats Domino nel 2007 con lo splendido tributo Goin’ Home. In coppia con assi del rock, del country e del blues, Jerry Lee esegue una serie di canzoni spesso lontane dalle sue corde, con un risultato pari al meritato successo ottenuto dall’album.

Maurizio Faulisi, Carmelo Genovese, fonte TLJ, 2018

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