Jerseytown

In passato, e per circa quarant’anni, io e la mia famiglia abbiamo frequentato molti festival e concerti. Abbiamo avuto a che fare con tutti gli aspetti della loro produzione, dal cercare i soldi al conteggio delle perdite. La gestione di un festival musicale all’aperto è senza dubbio un’avventura molto rischiosa, tanto più un festival bluegrass. Di solito c’è uno che ci mette i soldi, qualcun altro che li spende, e, più spesso che mai, tutti ci rimettono.
Ma io oggi sono qui per raccontarvi come ci sia un modo diverso di produrre un festival bluegrass, e con successo, perché ne abbiamo appena sperimentato un esempio particolarmente ben riuscito.
Siamo appena tornati da un festival, non particolarmente nuovo, ma condotto in modo nuovo. Il posto era Jerseytown, Pennsylvania, dove abbiamo frequentato diversi festival prima di questo, ma questa volta c’erano nuovi gestori. Si chiamano Grillbillies, e questa era la loro prima esperienza come produttori, nonostante abbiano frequentato molti festival negli ultimi 25 anni.
Vediamo, chi e che diavolo sono i Grillbillies. Dunque, si sono costituiti più o meno nel 1985 intorno ad un gruppo di amici che avevano frequentato insieme molti festival. Un paio d’anni più tardi due di loro, uno dei quali un mediatore immobiliare di nome Matt McBriarty, si trovarono un nome. Il suo amico esperto di computer, Mark Barone, si disegnò il logo con il suo computer, e lo registrò. Dissero che la scelta veniva dal fatto che tutti nel loro gruppo amavano il bluegrass, ed a loro piaceva cucinare in cambio dell’ospitalità degli altri.
Oggi come oggi ci devono essere in giro centinaia di Grillbillies, che di solito portano camicie verdi con il loro stemma sul davanti, e sulla schiena la lista dei festival dove andranno quest’anno sotto l’intestazione ‘Grillbillies, The Endless Tour’.
Se vi è mai capitato di andare ad un festival bluegrass in qualunque posto lungo la costa est degli Stati Uniti, di sicuro avete incontrato qualche Grillbillie. Di recente sono stato a cena con uno dei maggiorenti della loro poco formale organizzazione, che mi ha spiegato come lavorano i Grillbillies.

Mi diceva Dave Diskin: “… ognuno tra di noi Grillbillies ha una qualche sua capacità che contribuisce al tutto. Alcuni sanno cucinare, ma non sanno suonare, altri non sanno fare nessuna delle due cose, ma sono in grado di rizzare un tendone, mentre altri possono occuparsi della distribuzione elettrica o idrica, o della sistemazione per la notte per quelli che ne hanno bisogno.”
Quando si preparano per un festival lungo un week-end, il che succede di solito un giorno prima che arrivi chiunque altro, si radunano tutti sotto a diversi enormi tendoni per mangiare, si preparano i loro pasti, e suonano. Quel tipo di pasti ai quali chiunque si avvicini per caso viene immediatamente invitato, che abbia portato qualcosa o no. Li ho sentiti dire più di una volta “Accomodati e mangia”. E durante tutto ciò, molti di loro continuano a suonare, con ogni strumento della tradizione bluegrass.
Sono uomini, donne, ed i loro figli, di ogni età. Tutti hanno un loro lavoro, nei settori più diversi. Ho parlato con Grillbillies bancari, falegnami, stagnini, elettricisti, meccanici di automobili e di camion, agrimensori, fattori, e casalinghe. Ho diviso i pasti con Grillbillies studenti universitari e liceali, ed insegnanti, presidenti di grandi compagnie, esperti di computer, sfigati, ballerini, medici, infermiere, ed avvocati. Ho assistito a jam sessions Grillbillie con professori universitari, scrittori, artisti grafici, e molte altre persone di cui ignoravo l’attività, ma tutti sembravano condividere la stessa passione per la musica bluegrass, la cucina, il mangiare, ed a volte anche un po’ il bere.
I Grillbillies hanno autoprodotto due CD con i loro musicisti, ed hanno anche generato parecchie intere bande semi professionali, come gli Stained Grass Window, le Daughters Of Bluegrass, e Second Edition.
La ‘seconda edizione’ allude ai figli adolescenti di genitori Grillbillies, per cui sono la seconda generazione di musicisti Grillbillie. Molti di questi gruppi hanno in vendita i propri CD. Senza dubbio, quando questa storia vedrà la stampa ci saranno in giro molte altre bande Grillbillie in attività.

Ad ogni festival i Grillbillies di solito fanno cose poco consuete, che hanno lo scopo di rendere evidente la loro presenza, come una delle loro tipiche mascherate. Ad esempio, al culmine dell’esibizione del sabato sera, proprio durante il set della banda più pubblicizzata (e d’accordo con la banda, senza dubbio) i Grillbillies fanno la loro parata.
Durante quella che loro chiamano la loro serata di Laurea, o Ballo di Fine Anno Scolastico, tutti gli uomini si vestono con cappelli a cilindro e smoking e tutte le donne con audaci gonnelline da ballo (e spesso con anfibi militari ai piedi, per via del tempo).
Poi, di solito preceduti da un’auto d’epoca – tipo una Chevrolet convertibile del 57, con il re e la regina della serata seduti bene in alto e benedicenti la folla – avanzano tutti in parata tra l’ilarità generale del pubblico, mentre la banda sul palco esegue la loro solenne marcia di laurea. Questo è l’aspetto più sciocchino dei Grillbillies.
Dave Diskin mi ha raccontato come è maturata l’idea per la Serata di Fine Anno:
“Fu al festival di Marvin e Susie Corner nel Maryland, alcuni anni fa, e mi pare che ci fossi anche tu, Don. Alcune settimane prima di quel festival alcune donne Grillbillie raccontarono di non aver mai avuto una festa di maturità, e dissero che sarebbe piaciuto loro provare una festa di fine anno scolastico, e che avrebbero voluto averne una. Molti dei maschi dissero di portare i loro vestiti da ballo, o di farseli al festival, e che là avremmo organizzato la serata.

Per cui alla sera del sabato alcune delle ragazze andarono a bussare alla porta del bus di Alison Krauss (che era l’intrattenimento principale della serata), e le chiesero se avrebbero potuto tenere la loro Serata di Fine Anno durante il suo set. Lei ci rise su, e disse, ma sì, certo.
Capita che Marvin Corner sia il proprietario di una grande impresa edile, e quella sera intorno alle 7:30 uno dei suoi grossi camion si avvicina al palcoscenico ed in circa mezz’ora i suoi uomini mettono in piedi una improvvisata pista da ballo, per loro.
Le ragazze, alcune con i begli abiti che si sono portate, ed altre che se li sono fatti di carta crespa, e con gli uomini con i loro abiti eleganti altrettanto improvvisati, tutti insieme sfilammo nella nostra parata e ballammo su quella pista improvvisato. Tutti noi, pubblico compreso, ci facemmo delle grasse risate, e la tradizione delle Serate di Fine Anno era iniziata.
Diamo anche una ‘Cena del Giorno del Ringraziamento’ ed una ‘Vigilia di Natale in compagnia di Babbo Natale’, e questo lo facciamo a festival nel mezzo dell’estate, ma questa è un’altra storia”.
Ma i Grillbillies hanno anche un lato serio. Lo si è potuto vedere quando, durante un festival, uno degli spettatori ha avuto un attacco cardiaco, e, quando la voce si è sparsa immediatamente tra la folla, un medico Grillbillie (la Dr. Mary, bassista nelle Daughters of Bluegrass) si è precipitata sul posto in aiuto. Io non c’ero quella volta, ma ci credo, perché quando mia moglie è scivolata giù dal portello posteriore del nostro pick-up e si è rotta una gamba, la dottoressa Mary Herman si è precipitata per fornire il suo aiuto professionale.

C’è un altro lato serio dei Grillbillies, ed è quello che mi ha spinto a scrivere questa storia.
Quando un produttore di festival, che aveva gestito il festival di Jerseytown per parecchi anni, decise di non farlo nel 1999, piuttosto che lasciar morire il festival i Grillbillies accorsero in suo aiuto.
Diversi Grillbillies (ma non tutti – in effetti, solo 33 di loro) rapidamente costituirono legalmente una società (denominata EYE-YEE CORP. – ispirandosi al celebre grido cajun) e queste persone cacciarono circa 35.000 dollari di tasca loro per produrre il Jerseytown Bluegrass Festival. Lo hanno chiamato O.A.T.S. Festival, che vorrebbe dire Out Among The Stars.
Mi ha detto Diskin: “Ci siamo assicurati che tutti i soldi fossero già al sicuro in banca, prima di assoldare la prima banda. Prima ancora di affittare il terreno, o di parlare con il tale che prepara la porchetta del giovedì sera, o di contrattare per le latrine, avevamo i soldi in banca. E solo allora abbiamo respirato profondamente, e ci siamo resi conto che stavamo per produrre il nostro primo festival bluegrass. E avremmo fatto tutto da soli.
È stato allora che ci siamo resi conto che questa avrebbe messo alla prova cosa un gruppo di amici, che si vogliono bene almeno quanto amano il bluegrass, può fare se tutti si danno da fare seriamente. Ed anche un altro pensiero mi attraversava la mente, e, per quanto possa sembrare banale, è proprio così che mi sentivo. Ho pensato che produrre questo festival sarebbe stato il nostro modo di ripagare l’intero mondo dei festival per i meravigliosi momenti regalati alle nostre vite durante ogni estate.”

Parlando con molti degli ‘angeli’ Grillbillie, sono venuto a sapere che, nonostante la natura solitamente informale del loro gruppo, furono subito introdotte molte regole concernenti l’organizzazione.
Come per esempio ciascun Grillbillie avrebbe dovuto comprarsi il suo biglietto d’ingresso, e non ci sarebbero stati omaggi per nessuno dei membri. È vero che ad alcuni dei volontari era concesso l’ingresso gratuito, ma erano un numero minimo.
Molti festival prodotti in gruppo sono falliti finanziariamente perché i cosiddetti ‘addetti’ entravano gratis, e, anche se sembrava che ci fosse un sacco di gente, c’erano troppi omaggi.
Il trucco era che il festival avrebbe dovuto ripagarsi da sé, ed i biglietti da vendere in anticipo sarebbero stati affidati solo a tre persone. Inoltre, se alla fine il festival avesse prodotto un utile, non un quattrino sarebbe uscito dalla società, ma ogni profitto sarebbe stato reinvestito l’anno successivo. A quell’epoca non si accennava nemmeno alla possibilità di una grave perdita. Quanto può un atto di fede!
Se ci pensate, di solito un festival viene prodotto con solo uno o due benefattori che mettono i soldi, ma che dire di 33 benefattori e magari un altro centinaio che vendono i biglietti in giro o magari portano i loro soldi personali. È un modo molto diverso di produrre un festival!
Inutile dire che con tutta quella buona programmazione e con l’aiuto del bel tempo il festival fu un successone. Moltissimi biglietti furono venduti in anticipo, e la folla fu eccezionale. I numeri nudi e crudi non significano nulla, ma il fatto che l’anno prossimo lo rifaranno mi dice tutto quello che ho bisogno di sapere.

Un’annotazione personale. È difficile trovare parole adeguate per descrivere tutto il lavoro, la partecipazione personale e l’attenzione posta da ciascun Grillbillie. Vi do solo un esempio. C’è un ragazzo Grillbillie, che loro chiamano ‘Rooney Bob’, e capita che viva nella mia città e tutti e due avevamo dovuto viaggiare per circa duecentocinquanta chilometri per arrivare al festival.
Lo avevo visto a molti altri festival, sia bluegrass che cajun, perché gli piace molto ballare sul ritmo zydeco, ed è anche molto bravo. Nel corso degli anni abbiamo imparato a farci giusto un cenno, incontrandoci, o magari a volte ci dicevamo anche ciao. Ebbene, quella particolare domenica pomeriggio, mentre ci stavamo preparando ad andarcene, venne apposta al nostro camper, per stringermi la mano e per dire: “Non so se nessun altro te lo ha detto, Don, ma volevo dirti grazie per aver aiutato il nostro festival”. Ora, questo è quel il tipo di attenzione personale che si ricorda per un certo tempo.
C’erano molti gruppi che suonavano a questo festival di Jerseytown , compresi diversi passaggi delle bande Grillbillie, ma vorrei limitarmi ad alcuni dei punti salienti, per me, di questo fine settimana.
Gli spettacoli di cui ho preso nota in modo particolare erano Third Tyme Out, The Reno Brothers, e specialmente una nuova, brillante banda che si chiama Valerie Smith and Liberty Pike.
Cominciamo con Third Tyme Out … Russel Moore e gli altri ragazzi erano come sempre in armonia con il loro super io. Ricordano molto alcune delle migliori formazioni trascorse dei Quicksilver, la banda del loro mentore mandolinista (Doyle Lawson), e stabiliscono uno standard molto alto sia per quello che si chiamava una volta ‘upland Appalachian white gospel’ sia quando producono alcune delle migliori armonie bluegrass che si sentono in giro.

I Reno Brothers, tutti fratelli ad eccezione del bassista Robin Smith, sono i figli dello splendidamente innovativo banjoista Don Reno. Lasciate da molto tempo (Long gone nell’originale: la traduzione fa purtroppo perdere il riferimento alla notissima canzone, N.d.T.), ma per niente dimenticate, ci sono le circa 600 canzoni scritte da Don Reno, così come i suoi caratteristici ‘Reno rolls’. I figli ne hanno riprodotti molti, sia le canzoni che i roll, nel loro ottimo CD Drawing From The Well (Pinecastle/Webco 0153) e sul palcoscenico di Jerseytown.
Alto, come suo padre, Don Wayne Reno è uno splendido banjoista che si è esibito anche in alcuni fantastici lick di chitarra. Con il suo solito cappello nero, il fratello Ronnie Reno, di statura intermedia, ha eseguito la maggior parte del canto lead e delle parti di chitarra, compresi alcuni incredibili virtuosismi di chitarra flatpicking. Il più piccolo dei fratelli, ma uno di quelli da cui ho sentito alcuni dei migliori lick di mandolino negli ultimi anni, è Dale Reno.
Più anni fa di quanto preferisca ricordare, ho intervistato il padre Don Reno sul suo bus. Don mi disse allora che avremmo dovuto tenere d’occhio suo figlio Dale. “È un dormiglione”, disse Don. Non avevo ben capito allora che cosa volesse dire, ma ora si. È scatenato!
Il set dei fratelli Reno ha dato al pubblico alcuni momenti bluegrass veramente memorabili.
Nonostante sia piuttosto raro per me il voler sentire di nuovo la stessa banda già il giorno successivo, è stato proprio così con questo gruppo di bravi musicisti. Oh be’, c’è sempre un festival da qualche parte, e forse torneranno l’anno prossimo. E potete scommettere che io sarò là in prima fila.
Un altro momento importante del week-end, almeno per noi, sono stati i numerosi set della grande banda Valerie Smith And Liberty Pike.
Nata nel Missouri, Valerie Smith è energia personificata, insolitamente spontanea sia sul palco che giù, e dotata di altrettanta abilità nel bluegrass tradizionale, nel country, jazz, pop, Broadway e non sarei sorpreso se potesse anche eseguire un pezzo d’opera.

La sua voce è pulita, a volte cristallina, ma con un’anima appalachiana, che qualcuno ha descritto come “purezza avvolta in uno sbuffo di fumosa ruvidità”. Ci sono oggi molte donne che guidano gruppi bluegrass, facendosi largo nei festival e nelle classifiche, e Val con i suoi due CD (Patchwork Heart e Turtle Wings, Rebel/Bell Buckle – Reb 0601 e 0602) è un’aggiunta sensazionale.
Ecco un esempio di quanto Val sa essere spontanea. Quasi ad ogni festival capita di vedere qualche bambino in piedi proprio davanti al telone che scende dal palco, che guarda in su il musicista ad occhi spalancati. Bene, a Jerseytown, durante uno dei set di Val, questa ex maestra di asilo guardò in giù e, vedendo due di questi bambini, si fermò nel mezzo di una canzone e cominciò a dire … “Prima che salissimo sul palco, lui”, indicando uno dei due, “mi ha dato il suo orsacchiotto, perché diceva che lui, l’orsacchiotto, mi vuol bene. Ma dopo un’ora, il suo orsacchiotto gli manca così tanto che è venuto a chiederlo indietro”.
Durante tutta questa chiacchierata, la banda smise di colpo di suonare, e si guardavano a vicenda abbastanza perplessi. Ma lei continuò per dirci che lei, naturalmente, gli avrebbe restituito l’orsacchiotto, e gli dedicava la canzone successiva. Anche se questo può sembrare un po’ stucchevole, mi è sembrato di vedere qualche lacrima di commozione in molti del pubblico, prima che scoppiasse in un formidabile applauso. Be’, non mi è capitato di trovare quel tipo di spontaneità artistica in molti musicisti mentre sono sul palco.
Ma né sul palco, né in studio, niente nella sua magica musica succede da sola. Per cui vorrei menzionare in modo particolare la sua banda, Liberty Pike.

Travis Alltop, (chitarra e voce) canta un lead scuro e suona la chitarra ritmica.
Dal palco si è esibito in alcuni break di flatpicking molto puliti, ed il suo virtuosismo è stato messo in evidenza in un bell’articolo su Flatpicking Magazine.
Il giovane Andy Leftwich (mandolino e fiddle) sa suonare velocemente, ed è sempre splendidamente intonato. E quando lui e Travis hanno proposto la loro versione del classico di Jimmy Martin, Free Born Man, la folla è andata in delirio. Richard Bailey (banjo e voce) ha in casa molti premi Emmy e Grammy, avendo lavorato con i Kentucky Colonials, Katy Chiavola, The Tennessee Gentlemen, e molte altre grandi bande.
Sheila Wingate (basso e voce) è amichevolmente conosciuta come ‘Lightening Bolt Wingate’, per via della potente energia sia della sua voce che del suo basso.
Tutto sommato, la presente formazione della sua banda Liberty Pike è un robusto ed eccellente complemento all’energia di Valerie Smith. E se mi concedete una previsione, se lei tiene questi musicisti, non ho dubbi che arriverà al disco di platino come quell’altra cantante che una volta faceva bluegrass tradizionale.
Bene, questo è ciò che questo vecchio cacciatore di festival sente come un modo diverso di produrre un festival bluegrass, offrendo allo stesso tempo ottima musica al proprio pubblico. Speriamo di incontrarci presto tra il pubblico del festival ad una delle prossime edizioni.
(Traduzione di Aldo Marchioni)

Aldo Marchioni, fonte Country Store n. 57, 2001

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