Jesse Dayton - Tall Texas Tales cover album

Beaumont, nell’East Texas, è una tipica blue-collar town nella quale, musicalmente, convivono influenze country e blues, fortemente diverse, ma ugualmente sentite. Anche Jesse Dayton non si è sottratto a questo destino ed è cresciuto ascoltando Lightning Hopkins e George Jones in una specie di rapporto a tre che ha segnato in maniera atipica la sua personalità artistica che sembra avere due facce ben distinte, una country oriented e l’altra decisamente legata al blues, segnata dal fatto che a 15 anni il giovane Jesse aveva imparato a suonare la chitarra sotto gli insegnamenti del leggendario bluesman Mance Lipscombe.
Waylon Jennings, Willie nelson, Kris Kristofferson, Buddy Guy, Muddy Waters e Junior Brown rappresentano costanti punti di riferimento, che puntualmente trovano il modo di farsi riconoscere nelle canzoni di Dayton, che spazia con proprietà di linguaggio da un genere all’altro, evitandone accuratamente pericolosi mix, per interpretarne al meglio gli aspetti più tradizionali. Se a tutto ciò aggiungiamo la brillante verve del suo carattere, che lo aveva spinto a girare il Texas per ascoltare veri e propri miti come Townes Van Zandt, ZZ Top, Steve Ray Vaughan e il gruppo del fratello Jimmie, i Fabulous Thunderbirds, abbiamo chiaramente inquadrato le caratteristiche di un personaggio il cui lavoro diventa facilmente etichettabile per la poliedricità che ne caratterizza lo stile.

Tall Texas Tales, pubblicato dalla Bullet Records, un’etichetta indipendente di Austin, è il primo lavoro di Dayton, dopo l’abbandono della Justice Records, per la quale aveva inciso due CD, Raisin’ Cain e Hey Nashvegas, che gli avevano garantito un buon riscontro commerciale. Purtroppo, in considerazione della scarsità di mezzi, il lavoro è stato fatto in soli 7 giorni, senza guest-appearance, ma soprattutto con Dayton che si accolla tutto il lavoro vocale e chitarristico, mettendosi in gioco senza alcuna esitazione, anzi dimostrando di avere tutte le carte in regola per gestire in proprio una carriera non facile ma basata su capacità indiscutibili.
Accompagnato dalla sua road band, composta da Brian Thomas alla steel, al dobro ed al banjo, Eric Thomas alla batteria e Charlie Sanders al basso acustico, Dayton inserisce piano, armo­nica, tastiere, violino e fiati ove lo ritenga necessari, affidandoli a presenze amicali o, comunque, musicisti di studio, a ribadire una necessità di contenimento dei costi; ma se dovessimo giudicare dai risultati, potremmo tranquillamente pensare ad una band di tutte stelle, al servizio di un giovane talento dal ciuffo alla Brian Setzer.
Se per certi aspetti Tall Texas Tales potrebbe essere definito un tipico prodotto da roadhouse bar, nel CD c’è invece molto di più, in poco meno di un’ora, Dayton sfodera una cultura enciclopedica sulla musica texana, attraverso 14 esempi mirati che toccano rock, country, pezzi da juke box, rockabilly, ballate, honky tonk e quant’altro ci si possa aspettare da un musicista che, per mentalità, potrebbe essere vicino a Doug sshm, cioè ad un carattere vulcanico, capace di rinnovarsi continuamente e di cimentarsi con tutto ciò che gli possa sembrare stimolante.

Tutti i pezzi portano la sua firma tranne Beginning Of The End, scritto a quattro mani con Dale Watson, altro bel soggetto da seguire con attenzione, ad ulteriore conferma del talento di Dayton, anche se purtroppo, questa poliedricità spesso limita il musicista, chiudendolo in confini molto angusti, tipici degli artisti stradaioli, al massimo da bar, che possono cambiare quartiere ma il cui destino è quello di guadagnarsi una birra e un hamburger mandando in visibilio il pubblico di una sera.
Eppure ascoltando il riff di Every Now And Then, chiunque sarebbe convinto di trovarsi di fronte ad un grande hit springsteeniano ed Elvis non disdegnerebbe di interpretare Harris County Blues, così come a Lyle Lovett piacerebbe molto Molasses Girl…riprovaci ancora Jesse.

Sonic SRV 006 (Singer Songwriter, 2000)

Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 42, 2003

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