Registrato ai Quadrafonic Studios di Nashville, A Touch On The Rainy Side rappresenta la sesta fatica (?) di Winchester ed è il primo album che il cantautore ha registrato negli Stati Uniti da che, nel lontano 1967, si trasferì in Canada per eludere il servizio di leva.
Di questo artista vorrei soltanto ricordare che fu scoperto dal Robbie Robertson della Band che produsse il suo primo album, Jesse Winchester, contenente brani di indubbio valore quali Yankee Lady, Brand New Tennessee Waltz e Biloxi.
I suoi seguenti quattro album, Third Down 110 To Go, Learn To Love It (che include Mississippi You’re In My Mind di cui J.J. Walker ci ha dato un’ottima versione), Let The Rough Side Drag e Nothing But A Breeze, hanno accresciuto la sua fama anche se non nella dovuta misura a causa dell’impossibilità a fare tournée promozionali negli States, fino al momento in cui il perdono di Carter nel 1978 non ha rimesso l’artista in grado di muoversi liberamente per gli USA.
Prodotto da Robert Putnam (già producer di nomi del calibro di Dan Fogelberg e Jimmy Buffet), questo A Touch On The Rainy Side si è rivelato abbastanza deludente.
Pur presentando una line-up composta di session men di Nashville (tra cui David Briggs), l’album non ha un sound particolarmente country e la sensazione di spontaneità e di freschezza che ballate del tipo di Mississippi You’re On My Mind e Blow On Chilly Wind avevano saputo comunicarci, è venuta a mancare in modo inequivocabile.
In alcuni pezzi c’è un chiaro accostamento al soul (intesa come musica da discoteca) con un risultato che quanti hanno conosciuto il precedente Jesse possono facilmente immaginare. Non mancano certo momenti che ci riportano nella tipica atmosfera winchesteriana, ma l’effetto complessivo non riesce ad esserne modificato.
La prima side ospita, a mia avviso, i brani più significativi che sono A Touch On The Rainy Side che è una canzone d’amore dedicata alla moglie Leslie e la cui melodia è stata ispirata da una biografia di Duke Ellington; A Showman’s Life che Jesse ha scritto durante i nove mesi passati on the road lo scorso anno e che parla della vita piena di grandi soddisfazioni ma anche di amarezze di un performer.
Candida, la sola canzone non originale, è la rielaborazione del classico di Tony Orlando e Dawn.
La seconda facciata è invece decisamente fiacca e, in tutta sincerità, non è riuscita ad ispirarmi alcun sentimento. Il disco si chiude con I’m Looking For A Miracle, un motivo gospel con dei coretti molto soul.
Cosa dire ancora a questo punto? Sono spiacente di essermi dovuta rivolgere all’opera di un autore che stimo con parole così poco entusiastiche, ma questa volta Jesse non ha proprio fatto centro. Sono certa che il suo prossimo lavoro mi farà esprimere in termini del tutto diversi.
Bearsville BRK 6984 (Singer Songwriter. 1978)
Antonella Albera, fonte Mucchio Selvaggio n. 12, 1978
Ascolta l’album ora