John Lee Hooker articolo

Io c’ero
Spulciando nell’Archivio dell’Hunter College di New York, risulta che John Lee Hooker apparve per ben tre volte nel suo Auditorium: il 24 settembre 1971 (con Howlin’ Wolf e Larry Johnson), l’11 gennaio del 1974 (con Sonny Terry e Brownie McGhee, Bill Chinnock’s Blues) e il 7 febbraio 1976 (con The Red Clay Ramblers, provenienti dal North Carolina e con un repertorio tra folk, bluegrass e country – ossia quell’insieme che oggi chiamiamo ‘Americana’; Marie Knight che era (ed e’) conosciuta dagli appassionati del gospel, mentre degli Human Condition invece mi ricordo assolutamente zero).

Quest’ultimo concerto di John veniva presentato in due parti: la prima alle 19:30 e la seconda alle 23:00. Ero presente alla prima parte di questo doppio concerto, e portavo con me la tenera età di 22 anni. Potrei sbagliarmi, ma sono abbastanza certo che questo concerto fu la mia prima partecipazione a questo genere di musica dal vivo; era un’esperienza nuova e motivata dalla presenza della musica rock radicata nel blues. Mi ricordo di essere arrivato con notevole anticipo in quanto, in quegli anni, abitavo nel Bronx e per arrivare all’Hunter College si prendeva la sgangherata e lenta metropolitana No. 6, e ogni carrozza era colma di graffiti indecifrabili, sia dentro che fuori – non c’era un centimetro quadrato di superficie pulita (oggi non è più così…). New York era infatti nella morsa di una crisi economica e stava vivendo un declino urbano spaventoso.

Prima di andare al concerto mi preparai a dovere, ascoltando tutto il materiale di John Lee Hooker in mio possesso. In realtà possedevo i suoi ultimi LP realizzati per l’etichetta ABC-Bluesway (ad esempio Endless Boogie) ed uno in compagnia dei Canned Heat, ed in tutti questi album John Lee Hooker era sempre accompagnato da musicisti diversi, insomma dalla band disponibile al momento. Ero quindi pronto ad ascoltare dal vivo questo rimbombante repertorio elettrico, che faceva da cornice al suo ‘interminabile’ boogie. Ma le mie aspettative furono ‘sgonfiate’, come il palloncino a elio che a tutto ad un tratto perde l’aria. Infatti John Lee Hooker fu introdotto al pubblico con tanto di applausi, ma fu seguito sul palcoscenico da…nessuno. Avrei dovuto immaginarmelo, rendermene conto, appena si aprirono le quinte mostrando un palcoscenico con solo tre cose: una sedia, un solo microfono e un solo amplificatore.

Pensai all’annuncio pubblicitario sul Village Voice – annunciava o no un gruppo d’appoggio? Forse sarebbe ‘apparso’ il misterioso gruppo dopo alcuni brani – almeno un batterista e un contrabasso! Niente da fare: lo stesso John Lee Hooker annuncia, dopo alcune canzoni, che questa sera avrebbe suonato da solo (per questo ascoltate l’annuncio prima del quinto brano Boogie Chillum). Forse, aveva intuito la domanda silenziosa proveniente da alcuni dei presenti come il sottoscritto. In questo breve annuncio si dice compiaciuto di poter esibirsi da solo, e quindi di poter suonare le canzoni che vuole lui, ecc. Non lo dubito, ma ripensandoci c’è anche dell’altro. A metà degli anni Settanta il blues non era più in ascesa. I locali che presentavano blues e folk avevano chiuso o stavano per chiudere. Il vecchio Folk City era già una leggenda, essendo stato demolito per farci un parcheggio (potete verificarlo ascoltando l’annuncio all’inizio della registrazione). Il pubblico giovane (non…ahimè! il sottoscritto) andava pazzo per la musica Disco. Infatti invitai alcuni amici, ma nessuno di loro accettò di accompagnarmi ad un ‘Blues Show’. Come se non bastasse, anche questo concerto ne era la conferma.

L’Auditorium dell’Hunter College ha una capacità di 2.079 posti, ma quella sera ce ne saranno state meno di mille – e l’Auditorium sembrava infatti semivuoto. Lasciamo perdere e ritorniamo al concerto: la mia delusione svanì non appena John Lee Hooker intonò il primo brano (I Miss You So – conosciuto anche come Maudie). Al secondo brano, Jesse James, ero d’un colpo entusiasta di questo Hooker solista. Tutto il suono dipendeva dalla sua stessa inimitabile chitarra, in alternanza con la sua incredibile voce e quel battere del piede che è quasi un suo brevetto. Questo brano lo confermava. La presentazione, quindi, fu alquanto più intensa e personalizzata. Infine, dovetti dar ragione a John Lee Hooker – piaceva (e piace) anche a me ascoltarlo senza un gruppo d’appoggio. Ascoltandolo canzone dopo canzone, cominciai a capire (o credere) che questo artista non era lì solo per l’intrattenimento del pubblico, ma anche per raccontare la sua storia; la chitarra lo aiutava ad accentuare il suo racconto ed a continuare quel racconto quando non cantava. Non era necessariamente la sua storia personale ma, certamente la sua storia di Bluesman. Le canzoni che cantò quella sera le riconoscevo ormai tutte, ma alcune erano più emblematiche. Erano infatti quelle canzoni che, oltre a far parte del suo repertorio di allora, avrebbero continuato a farne parte sino a diventare le fondamenta del suo repertorio definitivo.

Quando si pensa a Boogie Chillum, Boom Boom e One Bourbon, One Scotch, One Beer si pensa a John Lee Hooker. Boom Boom è stata riproposta sia da John Lee Hooker che da altri, compresi diversi rockettari e lo stesso si potrebbe dire di One Burbon… e perche’ no? Sono canzoni dotate di un ritmo irresistibile e immediatamente riconoscibile. Ma c’erano anche le canzoni più introspettive come Dark Room, I’ll Never Get Out Of These Blues Alive e When My First Wife Left Me. Ad esempio I’ll Never Get Out Of These Blues Alive è una di quelle canzoni che Hooker riproponeva non di rado, e che spesso finiva per essere presente nel repertorio di altri artisti e alla fine attribuita ad autori diversi. Dovessi scegliere una canzone che di questo concerto apprezzo sempre più, anche a distanza di anni, sceglierei senza dubbio Dark Room, in quanto rappresenta un’immagine del genere stesso del blues. Ma quella sera, quarant’anni fa, aspettavo che cantasse le ultime due del set, ovvero i suoi maggior successi. La Blue Labor Records pubblicò l’LP (LAB-4) John Lee Hooker: Alone – Vol. 1 alcuni anni dopo (1980), che però si limitava a proporre materiale interpretato durante il primo concerto. Riascoltandolo ora mi rivedo in quell’Auditorium – e penso di ricordarmi persino dove ero seduto con la mia Pentax Spotmatic – ad aspettare ogni canzone, sperando di riconoscerla. (Renato Tonelli)

Io no
Nonostante non fossi presente a quel concerto, la pubblicazione dopo quasi vent’anni (il suo ultimo album dal vivo registrato in completa solitudine Live At Sugar Hill risaliva al 1962) di questo LP riferito all’evento Hunter College era una occasione da non tralasciare. Kent Cooper, proprietario dell’etichetta discografica Labor, lo pubblicò nel 1980 intitolandolo John Lee Hooker Alone-Volume 1 ed inserendovi 8 brani tratti dal primo concerto. Dovemmo aspettare sino al 1997 perché lo stesso Cooper, questa volta con l’etichetta Blues Alliance (numero di catalogo 13013), si decidesse alfine a pubblicare perlomeno uno stralcio (9 tracce) del secondo concerto. In tal modo vedeva la luce il CD John Lee Hooker Alone-The Second Concert. Da parte mia l’occasione di parlarne decisi di collegarla cogliendo sì l’effetto ‘centenario’, ma mettendo insieme le sensazioni di chi c’era con le mie frutto, queste ultime, unicamente dell’ascolto del doppio CD pubblicato dalla Fat Possum nel 2013 ed intitolato Alone-Vol.1 & 2 (FP 1147), che raccoglie il materiale presente nei due dischi citati in apertura. Ammetto subito che ritenevo negativamente contagioso l’esperimento Hooker+band instaurato ormai da tempo, al punto che temevo fortemente che la linfa magica contenuta unicamente nella sua chitarra e nella sua voce si fosse prosciugata, a favore dei concerti da stadio.

Meno male che ci pensò il primo brano nell’esibizione pomeridiana, I Miss You So, le cui due note di apertura scatenarono quasi immediatamente il battito delle mani a tempo. Avevo avuto la prova che la semplicità della sua chitarra, i cui passaggi scontati avevano conservato il loro senso ipnotico, e la sua voce magicamente insinuante avevano lasciato il loro segno indelebile. Se poi aggiungiamo la profonda e dialogante Jesse James con il finale in calando, non possiamo che rimanere sbalorditi per la potenza che percorre Dark Room, dove la chitarra si piega per riprendere vigore allorché la voce cattura lo spazio attorno a sé prima di chiudere il brano quasi a bocca chiusa. E’ poi la volta di I’ll Never Get Out Of These Blues Alive vivificata dai tocchi brevi ma intensi della chitarra, e delle già famose Boogie Chillum, When My First Wife Left Me, Boom Boom a cui non servono parole.

La cosa cambia un po’ durante la sessione serale (CD 2). Infatti, a parte la presenza di brani i cui titoli sono stati secondo me inventati o mutati (e qui vai ad indovinare se per scelta di Hooker o comodità del compilatore della lista degli stessi …), si affaccia l’uso, strano per lui ma niente affatto negativo nei riguardi dello sviluppo costruttivo delle tracce, del talking blues più che del canto come nello slow Trying To Survive, mentre quello presente in She Left Me On My Bended Knee e I Wish You Could Change Your Ways sembra appoggiarsi a titoli ignoti nella discografia di John. Convincente il boogie Put Your Hand On Your Hip (personalmente credo sia Feel Good, come You Ain’t Too Old To Shift The Gears assomigli molto a Bottle Up And Go), ottimo lo slow Trying To Survive, che funge da apripista ideale per l’ottima Hobo Blues, la ritmica Boogie Chillen e la vivida versione di Crawlin’ King Snake che si avvale dell’accompagnamento di una armonica sconosciuta (uno spettatore?).

Che dire? La testimonianza, di come John Lee Hooker non abbia bisogno d’altro che vada oltre la sua chitarra, la sua voce ed il battito del piede è in questi due dischi, incompleti forse ma largamente umani. Se poi pensiamo che furono le sue ultime registrazioni dal vivo in completa solitudine (se si esclude l’introvabile Hook, Line And Sinker -Blue Knight 011- risalente alla fine anni ’80 inizio anni ’90 e frutto di incisioni realizzate a Cleveland, Ohio), il frutto acquista un sapore tutto suo fatto di come non concedendo niente di più si possano tracciare emozioni.

P.S.: Da oggi, grazie all’amico Renato Tonelli, chi traccerà le prossime ‘Blues Discography’, dovrà avere cura di indicare quale data di esecuzione del concerto di John Lee Hooker all’Hunter College il 7 febbraio 1976 e non, come sinora, il 6 febbraio. (Marino Grandi)

Renato Tonelli, Marino Grandi, fonte Il Blues n. 141, 2017

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