Johnny Cash and his long and winding road.
Senza cadere nella retorica le vicende umane ed artistiche di Johnny Cash rappresentano in modo realista ed appassionante una storia sempre in bilico tra tentazione e devozione, peccato e redenzione, fervore appassionato e cinico distacco: una vita intensa la cui rilettura regala emozioni e riflessioni ed il cui fascino è accresciuto dalla fierezza del protagonista e dallo scorrere del tempo, che inizia ormai a rendere epiche le storie più significative di un passato già lontano. Sul viso di Johnny Cash erano scolpiti settant’anni di America; non la rappresentava: la incarnava. A differenza di moderni Dorian Gray a stelle e strisce, su di lui i segni e le ferite del tempo dominavano impietosi; ma dalla profondità del suo sguardo traspariva tutta la dignità che può avere un uomo.
Figlio della Depressione e di una famiglia povera di Kingsland, Arkansas, J.R. Cash si ritrovò a tre anni, nel 1935, nella minuscola Dyess dove il New Deal del presidente Roosevelt aveva loro assegnato un mulo e venti acri di terra ai bordi del Mississippi per coltivare il cotone. Per la maggior parte si trattava di terreni paludosi che una pericolosa inondazione del 1937 costrinse ad abbandonare temporaneamente, episodio questo che in seguito fu fonte d’ispirazione per la canzone Five Feet High And Rising.
L’infanzia passata a lavorare nei campi e la drammatica morte del fratello maggiore Jack ne segnarono fortemente il carattere e qualcuno ritiene che fu proprio quest’ultimo tragico evento ad instillare quel colore di gravità e tristezza che rese emozionante la sua voce. J.R. era un ragazzo sveglio cui la mezzadria e la vita piatta di Dyess stavano stretti: poche anime e nessuna insegna luminosa; un posto bigotto in cui ogni settimana venivano riportati sul giornale i nomi dei partecipanti al catechismo domenicale.
L’unico svago era il juke-box sul quale J.R. andava a selezionare le canzoni di Ernest Tubb e Roy Acuff. Non ebbe invece l’occasione di conoscere la musica nera poiché a Dyess non vi erano persone di colore (i terreni erano stati assegnati solo a famiglie “bianche”) ed anche a casa la radio era sempre sintonizzata sulle stazioni country e hillibilly: le trasmissioni del Grand Ole Opry e Louisiana Hayride erano un appuntamento fisso. E poi c’era il gospel; quello bianco dei Blackwood Brothers e delle canzoni che si intonavano durante il lavoro nei campi o la sera sul porticato, mentre la madre di J.R. suonava una chitarra economica acquistata ai grandi magazzini Sears & Roebuck.
Nel 1950 J.R. lasciò Dyess per andare a lavorare come operaio in una catena di montaggio di Pontiac, Michigan. Ma anche qui non intravide spazio per i suoi sogni. Passò solo qualche settimana e si arruolò nella Air Force. Destinazione Texas. Il tempo di essere addestrato e fu inviato a Landsberg, in Germania. Prima di partire aveva conosciuto a San Antonio una ragazza dal sorriso latino, Vivian Liberto, con la quale mantenne una fitta corrispondenza che contribuì a rendere meno pesanti quei “quattro lunghi e miserabili anni” nell’aeronautica statunitense. Furono proprio i suoi commilitoni ad affibbiargli il nome John ed insieme ad alcuni di essi mise in piedi un gruppo per sfogare la comune passione per la musica country.
Con i Landsberg Barbarians Cash alimentò la sua aspirazione di perseguire la carriera di cantante, che era iniziata ad affiorare nell’adolescenza, quando la sua voce aveva assunto un virile timbro baritonale. In realtà il gruppo non ebbe molte occasioni per mettersi alla prova e la loro esibizione più significativa fu quella tenuta a Venezia, di fronte a poche decine di persone, nel corso di un permesso segnato più dall’alcool che dalla musica.
Il 3 luglio del 1954 John Cash si congedò dallo Zio Sam senza rimpianti e sposò Vivian. I due si stabilirono a Memphis, dove proprio in quei mesi stava esplodendo quel fenomeno di nome Elvis Presley: un altro figlio della Depressione ancora in cerca del proprio New Deal. L’elettrizzante clima musicale di Memphis fece avvicinare Cash alla musica nera. Si appassionò soprattutto al gospel ed al blues rurale e appena ne aveva l’occasione correva a casa di Gus Cannon, un leggendario banjo picker della migliore jug band di Beale Street, per suonare insieme a lui. Nel frattempo aveva intrapreso la nuova attività di venditore porta a porta ma, in realtà, l’unica fonte di sostentamento della coppia erano gli assegni della famiglia di Vivian. La determinazione di John a trovare un lavoro che avesse a che fare con la musica lo indusse a frequentare anche un corso da dj e speaker radiofonico.
A Memphis viveva anche suo fratello Roy Cash, che aveva coltivato senza successo l’ambizione di diventare un cantante country ed ora lavorava nel settore della vendita di automobili. Fu proprio Roy a presentare a suo fratello tre meccanici appassionati di hillibilly con i quali si stabilì subito una buona intesa. Luther Perkins e Marshall Grant alla chitarra, e A.W. “Red” Kernodle alla steel guitar, si facevano chiamare The Tennessee Three.
Il successo di Elvis spinse Cash a presentarsi alla Sun Records per un’audizione. Non fu facile. Sam Phillips era sempre talmente impegnato che Cash in seguito dichiarò di non ritenere di essere stato “scoperto” poiché fu solo grazie alla sua determinazione se riuscì a farsi ascoltare da Sam Phillips. Quando finalmente ebbe luogo l’audizione Phillips rimase colpito dalla sua voce e dallo stile essenziale di Luther Perkins ma, di fronte alla loro aspirazione di proporsi con un repertorio gospel, Phillips manifestò il proprio disinteresse, consigliando loro di ripresentarsi con un repertorio più moderno.
Cash ritornò con Hey Porter, una canzone che aveva scritto durante il servizio nell’Air Force e che fu definita “il perfetto lamento di un sudista nostalgico”. Intanto Marshall Grant aveva abbandonato la chitarra e si era procurato un contrabbasso. Cash era sempre un po’ imbarazzato dall’eccessiva semplicità del loro sound e dalle scarse capacità tecniche del gruppo ma, con un sorriso sardonico, Phillips disse: “se volete, avete un contratto!”. Presto sparirono “Red” Kernodle e la sua steel guitar e fu una mossa dettata dalla scarsa predisposizione di questi alla vita da musicista, ma forse anche dalle scelte di fondo della produzione di Sam Phillips.
Il gruppo aveva un suono scarno, talmente minimalista da risultare povero anche per i più tradizionalisti di Nashville (dove la batteria era ancora bandita), ma aveva una componente essenziale che compensava qualunque strumento: la voce del cantante. Una voce piena che restituiva equilibrio nell’impianto sonoro. Rispetto alla medesima formula strumentale del sound di Elvis Presley qui la chitarra era più semplice e lineare, il basso quasi scolastico nelle sue linee elementari. Si faceva di necessità virtù: a differenza dell’inimitabile stile vocale di Elvis, dinamico ed aggressivo, la voce dai toni epici di Johnny Cash, che esprimeva saggezza e misurata sofferenza in un caldo baritono, aveva bisogno di uno spazio su cui proiettarsi: come gli infiniti paesaggi di frontiera che essa evocava. Per enfatizzare il ritmo e sopperire alla mancanza della batteria Cash era solito inserire tra corde della sua chitarra acustica una strisciolina di carta le cui vibrazioni richiamavano quelle del rullante. La tipica andatura ritmica dei suoi brani, che richiamava il pigro sferragliare di una locomotiva a vapore, diventò un vero trademark definito boom chicka-boom.
Il primo singolo di Johnny Cash & The Tennessee Two (così ribattezzati da Phillips, non senza qualche malcontento da parte del leader che si sentiva troppo “ringiovanito” dal diminutivo) conteneva Hey Porter e Cry Cry Cry; scalò subito le classifiche country e fece guadagnare al gruppo un posto di primo piano nella Louisiana Hayride, ricalcando quello che aveva fatto Presley l’anno precedente. Nel dicembre del 1955 uscì il secondo singolo, contenente Folsom Prison Blues (una rielaborazione di Crescent City Blues di Gordon Jenkins), brano che nel decennio successivo diventerà uno dei capisaldi del suo repertorio.
Con il suo vocione basso Johnny Cash sembrava destinato a rimanere nei confini del country, ma fu l’appeal universale del testo di I Walk The Line ad aprirgli le porte delle classifiche Pop; anche questa canzone era nata sotto le armi: ritornando da un turno di guardia Cash si accorse che qualcuno aveva usato il suo registratore Wilcox-Gay. Riascoltando il nastro notò qualcosa di strano e capì che il nastro era stato inserito al contrario. Vi era registrata una progressione di accordi così stravagante che gli continuò a ronzare in testa per parecchio tempo. Stimolato da Phillips a proporre materiale originale pensò di utilizzarla ed iniziò a lavorare a Because You’re Mine una dichiarazione d’amore e di fedeltà. Poi, nel corso di una conversazione con l’amico Carl Perkins a proposito della vita in tour, delle ragazze e delle occasioni che capitavano in ogni città, alla domanda su quale fosse la sua attitudine sull’argomento Cash rispose: “not me buddy. I walk the line”. “Ecco!” replicò Perkins “E’ così che dovresti intitolare la tua nuova canzone”. I Walk The Line balzò ai primi posti della classifica country ed entrò nella Top Twenty di Billboard affermando Johnny Cash come un artista di primo piano del panorama musicale.
Si trattò in effetti di un singolo indimenticabile, considerando che uscì in coppia con Get Rhythm, una scintillante canzone che è forse il suo più riuscito brano vicino ai temi ritmici del rock and roll. Cash la scrisse a College Station, Texas, sul sedile posteriore dell’automobile guidata a turno dai due “ex-meccanici” nel tragitto tra un concerto e l’altro. Train Of Love e There You Go uscirono sulla scia del successo di I Walk The Line e furono altre due canzoni memorabili della sua carriera. Quello tra il 1955 ed il 1957 fu il suo periodo di maggiore creatività, sempre pronto a fotografare in un formato musicale le sue intuizioni e riflessioni. Una delle più fortunate arrivò a Brisbane, California, quando dalla finestra del backstage del luogo in cui si doveva esibire osservò pensieroso il profilo del penitenziario di San Quentin. Give My Love To Rose diede voce ai drammi umani imprigionati dietro le sbarre.
Il 1956 fu anche l’anno nel quale nacque sua figlia Rosanne, destinata poi a ripercorrere le orme artistiche del padre con cui ebbe un difficile rapporto.
Nel 1957 Johnny Cash fece il suo debutto al Grand Ole Opry: per distinguersi dal consolidato stile degli artisti della tradizione di Nashville, addobbati con appariscenti abiti di scena chiari e ricchi di ornamenti, Cash si presentò vestito completamente in nero, guadagnandosi l’appellativo di Man In Black.
I riscontri commerciali convincenti ma senza la forza d’urto degli hit di rock and roll, ed il nuovo trend dell’industria discografica che stava iniziando ad investire nel formato a 33 giri convinsero la Sun a scegliere Johnny Cash pubblicare il primo LP della sua storia. Johnny Cash With His Hot And Blue Guitar uscì nel novembre del 1957. Sam Phillips non sapeva che Johnny Cash aveva sottoscritto un impegno a firmare un contratto con la Columbia nella seconda metà dell’anno successivo, quando il suo legame con la Sun sarebbe scaduto.
I motivi che lo spinsero a questa scelta furono vari: innanzitutto sul fronte economico il fatto che la Sun liquidava royalties inferiori rispetto allo standard del 5 per cento pagato dalle major; l’argomento era già stato affrontato dal cantante e dal suo manager Bob Neal senza però ottenere nulla di concreto. Inoltre sul lato artistico Cash insisteva per registrare il tanto desiderato disco di materiale gospel che Phillips continuava a rimandare ed a giudicare inadatto. Parallelamente anche Carl Perkins stava maturando la decisione di passare alla Columbia. Un ulteriore motivo di dissenso era causato dal fatto che a giudizio di entrambi gli artisti la casa discografica li trascurava dedicando la maggior parte dei suoi mezzi commerciali per promuovere Jerry Lee Lewis che in quel momento si trovava al culmine del successo.
All’inizio del 1958 la produzione di Johnny Cash era seguita principalmente da Jack Clement, braccio destro di Phillips nonché autore dal fiuto sicuro. Proprio Clement gli consegnò Ballad Of A Teenage Queen una canzone ruffiana che strizzava l’occhio agli adolescenti e fu piazzata su di un singolo che relegava al lato B la splendida Big River, uno dei futuri classici del suo repertorio ispiratagli dal titolo di un articolo che recitava “Johnny Cash Has The Big River Blues In His Voice”.
Nella ballata della regina dei teenager cori di zucchero filato aggiungono volume al sound, mentre un fastidioso soprano volteggia come una zanzara intorno al baritono di Cash. Lanciata nel corso di una serie di concerti in Canada la canzone spopolò: in ogni città canadese toccata dal tour fu indetto un concorso per nominare la Teenage Queen locale tra coloro che si fossero presentate alla selezione con una copia del singolo. Nella piccola Saskatoon fu nominata una fanciulla che sognava una carriera nel mondo della musica: si chiamava Joni Mitchell.
Appena Sam Phillips scoprì dell’accordo tra Cash e la Columbia cercò di fargli registrare nuove canzoni da tenere di scorta per poter pubblicare nuovo materiale anche dopo il termine del loro contratto. Fu una richiesta che faceva leva anche su un presunto debito di riconoscenza per la sua scoperta; il cantante non era molto entusiasta ma non si tirò indietro, pur tenendo in serbo le sue migliori nuove composizioni per la Columbia Records. Fu Jack Clement a proporre il nuovo materiale tra cui infilò un’altra sua nuova composizione, Guess Things Happens That Way, che andò diritta in cima alle classifiche country e nuovamente nella Top Twenty di Billboard.
Gli arrangiamenti dei nuovi brani, con la sovraincisione di cori da pop song sdolcinate, non piacevano però a Cash che lasciò ancora più volentieri la Sun Records. Il 17 luglio 1958 si tenne la sua ultima seduta d’incisione per la Sun. Le cose non andavano molto bene per Phillips con due artisti del calibro di Perkins e Cash che passavano alla Columbia e Jerry Lee Lewis oggetto di uno scandalo che aveva quale bersaglio principale il DNA trasgressivo del rock and roll.
Alla Columbia le cose andarono subito benissimo: Don’t Take Your Guns To Town, I Still Miss Someone e I Got Stripes confermarono il suo talento e grazie alle maggiori capacità di impatto e distribuzione della casa discografica le canzoni raggiunsero facilmente i primi posti delle classifiche. Fu subito chiaro dal nuovo materiale che Cash aveva la capacità e la voglia di continuare a coltivare il suo talento compositivo. Fu anche un pioniere dei cosiddetti concept album in un epoca i long playing erano considerati come meri contenitori di successi e brani riempitivi che non avevano la stoffa del singolo.
Negli anni successivi Johnny Cash concepì progetti tematici che affrontarono gli argomenti che più gli stavano a cuore: Blood Sweat And Tears raccontava il sudore e le tribolazioni delle classi più povere, Sings Ballads Of The True West l’epopea western, Bitter Tears l’orgoglio ed il dramma degli Indiani d’America. Quest’ultimo conteneva la cover di The Ballad Of Ira Hayes, un brano scritto dal cantautore pellerossa Peter La Farge che prendeva spunto da un caso specifico per denunciare le ingiustizie subite dai nativi americani, e attirò su Cash le minacce da parte del Ku Klux Kan
Le apparizioni nei principali programmi televisivi come l’Ed Sullivan Show e The Tonight Show ne avevano fatto ormai un divo, ma il successo aveva già iniziato a destabilizzare la serenità e l’equilibrio della sua vita personale. A partire dal 1958 Cash iniziò ad aiutarsi con le anfetamine per reggere lo stress causato dai tour che praticamente concedevano pochissimi giorni di tregua. Anche il matrimonio con Vivian aveva ormai raggiunto livelli di grande tensione soprattutto a causa della sua dipendenza da droga ed alcool. In questo periodo a fianco del personaggio pubblico che stava gradualmente sostituendo l’artista creativo, Johnny Cash aveva ormai assunto il ruolo di vero punk-rocker ante litteram: uno scavezzacollo che sfasciava automobili, camere d’albergo e scherzava pericolosamente con le armi da fuoco.
Gli hit arrivavano ugualmente; come Ring Of Fire ad esempio, un’affascinante cavalcata dai sapori epici da primo posto in classifica, che una sezione di fiati Mariachi collocava vicino al Rio Grande. Nel 1965 Cash aveva ormai toccato il fondo. Nel giro di un paio di anni finì in prigione tre volte, anche se a differenza di quanto riportato su giornali dai pruriti scandalistici vi rimase soltanto un giorno in ciascuna occasione. La più eclatante fu la prima, quando fu fermato all’aeroporto di El Paso mentre tornava dal Messico con un migliaio di anfetamine nella custodia della sua chitarra. Il giorno dopo la sua foto, con le manette ai polsi, campeggiava su tutti i giornali. Le altre due occasioni furono più bizzarre: una volta fu fermato perché raccoglieva fiori nel cuore della notte in un giardino privato; l’altra poiché fu trovato addormentato e nudo in un’automobile.
Nel 1965 ottenne anche il suo primo hit in Inghilterra con una versione di It Ain’t Me Baby di Bob Dylan. Dylan oltre ad aver sicuramente subito la sua influenza artistica, era stato addirittura da questi salvato quando la Columbia stava per scaricarlo a causa dello scarso successo del suo primo album. Tra i due nacque un’amicizia ed una reciproca stima che segnerà diversi momenti delle rispettive carriere. Cash fu chiamato a partecipare all’album Nashville Skyline duettando con lui in Girl From The North Country e ricevendo da Dylan anche una bellissima canzone inedita, Wanted Man che si adattava alla perfezione al suo universo artistico.
Nel 1966, dopo un altro incidente ed una quasi fatale overdose, Vivian decise di tagliare definitivamente il suo legame e chiese il divorzio; Cash si stabilì a Nashville dove divenne amico di Waylon Jennings con il quale passò oltre un anno interamente sulla “wrong side of the road” che sembrava destinato a fargli ricalcare l’epilogo della vita di Hank Williams, di cui poteva essere considerato l’erede più credibile. Anche la sua carriera viveva un inevitabile momento di crisi ed in quel periodo fu decisiva la presenza di June Carter, figlia della leggendaria Mother Maybelle Carter, ex-moglie del suo amico e cantante country Carl Smith.
Johnny Cash conosceva già June e questa era stata anche coautrice di Ring Of Fire. I due iniziarono a frequentarsi e fu grazie alla grande dedizione di June che Cash riuscì a disintossicarsi ed a mettere da parte i suoi demoni autodistruttivi. Il 1 marzo del 1968 i due si sposarono, dopo che Cash gli aveva proposto le nozze davanti al pubblico nel corso di un concerto, e danno inizio ad un legame rivelatosi indissolubile. Registrarono anche alcuni duetti di successo (Jackson, If I Were A Carpenter) e l’anno successivo furono votati quale Vocal Group Of The Year.
Ma il 1968 è importante anche per la realizzazione di un progetto che a Cash stava particolarmente a cuore: la registrazione di uno dei suoi spettacoli per i detenuti. Egli si era esibito in carcere per la prima volta nel 1956 a Huntsville, Texas, e questi concerti rappresentavano ormai una costante della sua carriera. Un modo esplicito per dichiarare il suo essere “Man In Black”, che come Cash dichiarerà poi nel testo dell’omonima canzone, era un modo per essere vicino ai più sfortunati e per ricordare a tutti della loro esistenza.
La Columbia, che dapprima aveva qualche riserva circa l’opportunità dell’operazione, acconsentì di registrare un disco dal vivo e per l’occasione fu fatta la scelta più naturale: Folsom Prison. Non fu un passo sbagliato e si rivelò uno dei documenti dal vivo più intensi dell’epoca. L’album è memorabile fin dall’inizio con la famosa frase “Hello! I’m Johnny Cash”, che a partire da questo momento divenne un vero e proprio rito inaugurale dei suoi concerti e diede luogo anche a parodie e citazioni da parte di personaggi famosi, non ultima quella di Elvis Presley. Folsom Prison Blues trova la sua cornice definitiva in questo disco; brani quali I Still Miss Someone, 25 Minutes To Go, Send A Picture Of Mother sono fonte di pensieri e commozione per la particolare platea, mentre altri quali Cocaine Blues, Orange Blossom Special e I Got Stripes regalano loro brividi, sogni e rabbia.
Il disco fu un grande successo e l’anno successivo l’esperienza fu ripetuta con At San Quentin dal quale fu tratta la divertente A Boy Named Sue che seppe regalare momenti di assoluta ilarità, oltre al terzo posto delle classifiche Pop. La canzone fu improvvisata al momento su di un testo di Shel Silverstein cui Carl Perkins approntò un estemporaneo accompagnamento (il grande pioniere del rock and roll in quel periodo faceva parte della band di Cash dopo l’improvvisa morte di Luther Perkins).
Tra il 1969 ed il 1971 Johnny Cash visse il momento d’oro della sua popolarità. La rete televisiva ABC gli commissionò il Johnny Cash Show con il quale andava in onda in prima serata dal Ryiman Auditorium di Nashville proponendo contenuti vari a musica non soltanto country con ospiti che spaziarono da Bob Dylan a Louis Armstrong. Il momento di particolare esposizione gli portò anche diversi ruoli in film televisivi e cinematografici il cui picco fu raggiunto con il ruolo di co-protagonista di A Gunfight accanto a Kirk Douglas.
Il 1970 fu un anno significativo perché oltre alla nascita del figlio John Carter Cash, il cantante si esibì alla Casa Bianca, per il presidente Nixon in uno spettacolo dal significato controverso, ed in Vietnam per regalare un momento di sollievo ai suoi connazionali; l’esibizione diverrà fonte di estremo imbarazzo a causa delle condizioni di scarsa lucidità in cui egli si presentò sul palco. Fu una pubblica umiliazione ed il campanello d’allarme che nonostante l’equilibrio trovato con June le tendenze autodistruttive non erano sparite d’incanto.
L’inizio del nuovo decennio vide la sua carriera musicale proseguire su binari di normalità con qualche country hit ed alcuni progetti di musica gospel che non incontravano il favore della casa discografica. Il rifugio nei temi religiosi pareva anche una sorta di terapia guidata da June, donna di intensa spiritualità, che così facendo cercò di sostituire le anfetamine con la religione. Una delle canzoni gospel, A Thing Called Love, realizzata con l’accompagnamento dell’Evangel Temple Choir, calmò le preoccupazioni della Columbia diventando uno dei suoi dischi più venduti in Inghilterra. Nel 1976 Cash realizzò There Ain’t No Good Chain Gang in duo con Waylon Jennings, una sorta di premessa a quello che nel decennio successivo fu poi il progetto di The Highwaymen, gruppo di “fuorilegge” del country di cui, oltre ai due, facevano parte anche Willie Nelson e Kriss Kristofferson.
Ma la vena creativa pareva ormai esaurita tanto che i suoi dischi erano sempre più infarciti di covers più o meno famose con risultati spesso poco esaltanti. Una di queste però, Highway Patrolman (di Bruce Springsteen) entrò direttamente tra le cose migliori del suo repertorio poiché sembrava cucita su misura del suo stile. Non a caso Bruce Springsteen come Bob Dylan, era stato molto influenzato dall’ambientazione e dalla scrittura di Cash che nei migliori episodi sapeva unire l’emozione e l’onesta folk dei contenuti con il senso di ribellione proprio del rock.
Gli anni ’80 iniziarono alla grande con la sua nomina alla Country Music Hall Of Fame. Fu l’artista più giovane a raggiungere questo riconoscimento che però non fu sufficiente a fermare il declino delle vendite dei suoi dischi. Ma non fu questo il problema maggiore. Una serie di incidenti ed altri problemi fisici causati dai troppi eccessi iniziarono a richiedere l’assunzione di antidolorifici per alleviarne i sintomi che presto gli causarono una nuova dipendenza. Per tutto il corso degli anni ’80 Johnny Cash si dedicò molto ad attività ed esibizioni benefiche a favore di associazioni umanitarie e nella ricerca contro cancro e AIDS. Scrisse anche un romanzo di successo: The Man In White, ispirato alla vita di San Paolo.
Nel 1985 partecipò ad una rimpatriata con Carl Perkins, Jerry Lee Lewis e Roy Orbison registrando Class Of ’55 negli studi Sun con la produzione di Chips Moman e la significativa partecipazione di Sam Phillips oltre ad ospiti del calibro di Dave Edmunds e John Fogerty.
Alla fine del decennio la Columbia non gli rinnovò il contratto attirandosi aspre critiche anche da suoi autorevoli colleghi, come ad esempio Dwight Yoakam, il quale definì questo gesto come “un insulto all’uomo con le cui vendite la Columbia aveva acquistato i palazzi in cui ora i suoi dirigenti stavano comodamente”. Cash prese la cosa elegantemente e con filosofia dichiarando che in effetti si poteva considerare una separazione consensuale poiché non vi erano più stimoli da ambedue le parti a continuare il rapporto.
Passò alla Mercury presso la quale incise anche sotto il marchio Polygram. Il suo primo disco The Night Hank Williams Came To Town incontrò i favori del pubblico e seguirono nuove collaborazioni con Everly Brothers, Emmilou Harris e Paul McCartney. Ma in generale i dischi per la Mercury non seppero catturare l’essenza della sua musica. In questo periodo una sua canzone tornò in cima alle classifiche country procurandogli particolare soddisfazione: era un versione di Tennessee Flat-Top Box nell’interpretazione di sua figlia Rosanne.
Il decennio si chiuse con importanti problemi di salute: accanto alla dipendenza dai farmaci questa volta si trattò di polmonite e di una patologia cardiaca che rese necessario un intervento chirurgico.
All’inizio degli anni Novanta anche il contratto con la Mercury stava volgendo verso il termine senza apparenti prospettive di rinnovo. Una nuova positiva esperienza con il progetto Highwaymen e la sorpresa della nomina nella Rock And Roll Hall Of Fame portò nuovo morale mentre Johnny Cash stava per andare incontro ad una inaspettata esperienza che avrebbe portato un nuovo e più ampio significato alla sua parabola artistica facendone un’icona musicale transgenerazionale. Rick Rubin, il famoso produttore rap e dei Red Hot Chili Peppers stava per avviare la sua nuova etichetta, American Records, e gli chiese di riproporsi in chiave acustica; solo voce e chitarra, alle prese con un repertorio che rappresentasse un crossover tra la tradizione ed il rock più moderno, con l’unico obbiettivo di catturare tutta l’onestà della sua voce.
American Recordings fu un bellissimo disco nel quale Cash reinventò brani di Leonard Cohen, Tom Waits, Nick Lowe e, più sorprendentemente, degli U2 e di Nick Cave, facendoli sembrare autentici classici senza età della più pura tradizione americana. Il disco lo portò all’attenzione di un nuovo pubblico facendogli guadagnare inaspettate soddisfazioni, come quella di un video assolutamente trendy interpretato da Johnny Depp e Kate Moss che andava in rotazione continua su MTV: una bella soddisfazione per chi era stato in pratica emarginato dalla Hat Generation del New Country. Per l’occasione Rick Rubin comprò anche uno spazio su Billboard in cui fu pubblicata una vecchia foto di Cash che con aria incazzata mostrava il dito medio nel classico gesto per dire “Fuck You”; nella didascalia veniva ringraziato con sarcasmo l’establishment di Nashville e del circuito radiofonico country per tutto il supporto che gli avevano fornito….
American Recordings fu seguito dallo straordinario Unchained; questa volta praticamente accompagnato da Tom Petty ed i suoi Heartbreakers (oltre a Carl Perkins, amico di una vita che scomparirà poco dopo lasciandogli un grande dolore) Cash attraversa nuovamente cinquant’anni di musica affiancando classici di Jimmie Rodgers e Dean Martin a composizioni di Beck e Soundgarden. Nel 1996 gli fu assegnato l’importante riconoscimento Kennedy Art Centre per il suo contributo alla cultura Americana. Il 1996 fu l’ultimo picco della sua lunga carriera.
Il 25 Ottobre del 1997, nel corso di un concerto a Flint, Michigan, Cash annuncia al pubblico di essere affetto dal morbo di Parkinson. E’ l’inizio della fine: nonostante tutto continua ad esibirsi dimostrando quanto il rapporto con il pubblico sia stato veramente una necessità irrinunciabile anziché una mera fonte di guadagno; con dedizione e sacrificio Cash completa gli altri lavori con Rick Rubin, Solitary Man e The Man Comes Around, quest’ultimo contenente una sorprendente versione di Hurt dei Nine Inch Nails di Trent Reznor; la canzone viene rappresentata in un drammatico video di rarà intensità che scava impietoso tra le cicatrici della vita sul suo viso.
Lo scorso maggio l’improvvisa morte di June Carter, il suo angelo custode, gli causa un dolore che nessun farmaco riesce ad alleviare. Sono passati soltanto pochi mesi e Johnny Cash è partito per il suo ultimo viaggio, riuscendo a placare nell’unico modo che gli era rimasto possibile il desiderio di essere in costante movimento. La cultura del viaggio, della frontiera. Dove ciò che conta non sono i luoghi di partenza e di arrivo, ma il viaggio in sé stesso.
Nell’indimenticabile Folsom Prison Blues c’è una strofa che rivela molto di Johnny Cash e riesce ad essere illuminante circa i suoi più intimi sentimenti: quando il carcerato immagina la vita che scorre su quel treno che passa oltre alle fredde mura in pietra che imprigionano il suo spirito libero, egli descrive un lussuoso vagone ristorante con persone agiate che consumano la loro cena e poi sorseggiano whisky fumando grossi sigari. Niente di tutto questo però rappresenta per lui un desiderio: la cosa che più tortura la sua mente è l’idea che queste persone si stiano muovendo, portate via dal treno (“But those people keep a movin’ and that’s what tortures me”).
Nonostante gli anni ed i malanni fisici Johnny Cash è riuscito a seguire il suo viaggio fino alla fine, anche con infiniti sforzi, perché era ciò che contava di più. Perché, come scrisse sulle note di Unchained Heart: “Sometimes at night, when I hear the wind, I wish I was crazy again…”. R.I.P.
Carmelo Genovese, fonte Jam n. 99, 2003