I Johnson Mountain Boys sembrano crescere e migliorare ad ogni nuovo album, e questo Working Close, terzo prodotto su vinile del gruppo, è tale da spazzare via ogni perplessità, anche se piccola, lasciata dai precedenti LP. Il miglioramento è avvertibile in modo chiaro nella ritmica della band, che si è raffinata e alleggerita, e nelle dinamiche del suono, molto più varie e curate. Un orecchio un po’ più attento, però, può notare che anche i singoli musicisti sembrano aver raggiunto una maturità che in precedenza, forse, mancava. La voce di Dudley Connell, in particolare, è decisamente più sicura e controllata, il suo personalissimo quanto discutibile (per alcuni) vibrato è ora meno evidente, e usato con maggiore sensibilità, e la notevole potenza dell’emissione lascia sempre più spesso posto alla finezza di interpretazione e fraseggio.
Contemporaneamente a questa rimarchevole maturazione di Connell si nota una graditissima maggiore presenza delle voci di Underwood, McLaughlin e (nei gospel) Stubbs: i cori hanno perso un po’ della precedente asprezza, anche qui in favore di una maggiore unità e finezza.
Dal lato strumentale i JMB non hanno mai lasciato a desiderare, e in Working Close la loro abilità individuale è esaltata al massimo, particolarmente nei due strumentali firmati da Underwood e McLaughlin, Granite Hill e Five Speed.
Eddie Stubbs continua sereno sulla sua strada di ‘Kenny Baker degli anni ’80’, mentre Connell esce per un attimo dal back-up alla Lester Flatt per regalarci un rarissimo (e tradizionalissimo) break: ben fatto.
Anche in Working Close il gruppo riesce a sorprendere per la scelta del materiale: nel contesto di un suono tradizionale i JMB sanno presentare con pari abilità canzoni di loro composizione (anche qui Dudley Connell fa la parte del leone) accanto a covers di pezzi country di Webb Pierce o (udite!) Jerry Reed, a pezzi raramente sentiti come Tomorrow I’ll Be Gone di Wilma Lee Cooper, a sconosciuti pezzi degli Stanley Brothers o dei Louvin Brothers, e a tradizionali quasi dimenticati, come il ‘monroeviano’ The Waves Of The Sea, tutti con freschezza e naturalezza, quasi fossero personali composizioni.
Una considerazione: il bluegrass è musica di insieme, in cui il suono complessivo ha più valore del virtuosismo del singolo. I Johnson Mountain Boys dimostrano ad ogni album di avere perfettamente chiaro questo concetto, rivelandosi così una delle migliori bands del momento: non grosse individualità, se escludiamo forse Connell, ma perfetta unità di gruppo e idee chiare sulla musica da suonare e su come suonarla.
Se ancora esisteva qualcuno dubbioso sul valore di questa band (ed esisteva, non mi vergogno ad ammetterlo…) Working Close è in grado di spazzare ogni residuo scetticismo. Va da sé che l’album è consigliato a tutti gli amanti del bluegrass tradizionale.
Rounder 0185 (Bluegrass Tradizionale, 1983)
Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 6, 1984
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