Kate McKenzie - Let Them Talk cover album

“Ma chi la conosce?”, ti viene da dire di fronte ad un nome ed un volto sconosciuti, e non a torto, e per giunta su etichetta di origine incerta. Poi dentro la copertina si leggono alcune cose che non possono non attirare l’attenzione, e ve le elenco in ordine di comparizione: produced by Nick Forster [eeh!..], (…), engineered by Bill VornDick [be’, basta pagare…],(…), special guests Stuart Duncan, The Fairfield Four, Bela Fleck, Emmylou Harris, Alison Krauss, Alan O’Bryant, Viktor Krauss, Sam Bush, Nick Forster, Ron Block, Adam Steffey, Dan Tyminski, Russ Barenberg […aaazzz!, ma allora?…]. Eh si, allora la signorina sarà sconosciuta ma non è l’ultima pirlotta, e indagando ulteriormente si scopre una sua anzianità nella gloriosa band Stoney Lonesome, quindi si appura che la McKenzie ha credenziali bluegrass.
Poi, ascoltando il CD, ci si chiede come mai non se ne sia sentito parlare prima, visto che la ragazza ha voce, grinta, personalità e idee.

Cominciamo dalle idee: Heartbreak Hill è un pezzo targato Emmylou Harris, che Kate rende quasi bene come l’autrice, Down On The Riverbed, invece, è stato preso dal repertorio Los Lobos, e ancora ci si chiede perché nessuno ci avesse pensato prima, Pan American Boogie è un classico Delmore Brothers, poco sentito in ambito bluegrass. Poi ci sono un paio di originali della McKenzie, un ottimo prodotto di Kieran Kane, e un paio di pezzi di tale Greg Brown (niente Monroe o Stanley? No, niente), il tutto con la massima varietà di arrangiamenti, dallo slow-burning & groovy di Down On The Riverbed (il modo migliore di rendere uno slow-rocker con strumenti bluegrass), al bluegrassistico sparato-ma-rilassato di I Get The Blues When It Rains (con un break da antologia di Bela Fleck), al gospel a cappella con i Fairfield Four (commenti superflui). Insomma, ce n’è per tutti i gusti, soprattutto per i più esigenti, e in ogni situazione Kate brilla e riesce ad emergere nel pur difficile confronto con i ‘superpickers’ di cui Nick Forster l’ha contornata. La sua voce è calda, piena, decisa e personale, per niente high lonesome, certo più da Billie Holliday che non da Rose Maddox, ma in fondo proprio per questo più ‘giusta’ per il repertorio scelto e, per usare brutte parole, molto ‘contemporanea’.

Difetti? Due, diversi per gravità: il primo è la brevità del CD (solo 10 pezzi), ma può essere perdonato perché album di esordio; il secondo, anche se più difetto per lei che non per noi, sta nella difficoltà a proporre dal vivo questi pezzi, che qui ti entusiasmano sicuramente anche per i musicisti reclutati, difficilmente disponibili, immaginiamo, per concerti. Ma non è un problema che ci debba far perdere il sonno: godiamoci questo ottimo CD, che in conclusione non posso che raccomandare. Caldamente.

Red House CD 66 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Tradizionale, 1994)

Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 28, 1995

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