Kenny Neal arriva con questo Devil Child al suo secondo capitolo solista e sostanzialmente non si nota una differenza o un cambio di direzione rispetto al precedente Big New From Baton Rouge: siamo di fronte ad un blues contaminato dal rhythm and blues, che cerca una possibile via per modernizzarsi senza capire che il blues è tradizione e come tale questa materia va trattata.
Figlio di Rufus Neal, armonicista `storico’ e figura leggendaria, Kenny Neal è `on the road’ praticamente da sempre, prima ha appreso ed assimilato del blues frequentando i locali di Baton Rouge, poi ha iniziato a suonare in piccoli club, in manifestazioni o festival giungendo anche ad esibirsi nella sonnolenta Gran Bretagna, sonnolenta perché il blues sembra aver perduto ogni forma di interesse in quelle terre isolane.
Chitarristicamente Neal non è niente male, evidentemente pur essendo un musicista di colore deve aver ascoltato molto Stevie Ray Vaughan; comunque è l’intero progetto musicale e non i suoi assoli a destare dei dubbi e dei sospetti su un blues che purtroppo si affida ad armonizzazioni non elementari, a tastiere poco blues (Lucky Peterson) e a scelte ritmiche non sempre congeniali.
La domanda in sintesi è questa: cosa si intende per blues contemporaneo? Perché questa definizione che compare anche sulla copertina di questo Devil Child è ambigua: il blues contemporaneo suonato oggi dai musicisti superstiti della prima generazione elettrica e dai loro epigoni, oppure per contemporaneo si intende un sound nuovo, un blues alla ricerca di una sua identità anni ’90? Kenny Neal sinceramente sembra voler rispettare i padri guardando al futuro; non voglio parlare di tradimento, perché l’album comunque è piacevolmente blues, ma sicuramente il progetto non è definito.
Alligator AL 4774 (Blues, Rhythm & Blues, 1989)
Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 51, 1990
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