Si è fatto conoscere al grande pubblico (del bluegrass) lo scorso anno quando, con l’ennesima uscita discografica della Lonesome River Band, in molti hanno scoperto che il gruppo aveva cambiato formazione per metà: Don Rigsby era andato a sostituire Dan Tyminski (ora con Alison Krauss) al mandolino e lui Tim Austin (ora engineer in grande, e discografico in piccolo) alla chitarra.
Quindi Lonesome River Band, mica una formazione qualunque… La più aggressiva, adrenalinica, potente band tra quelle, diciamo nuove, in circolazione; la band voluta da John Fogerty per dare una spruzzata di bluegrass al suo ultimo disco… Mica una band qualunque dicevo.
Con Kenny la LRB ha dato maggior spazio alla chitarra e lui si è integrato come meglio non poteva, facendo sì che quel suono che aveva reso famoso il gruppo rimanesse lo stesso di sempre.
Ora giunge all’esordio e, come spesso succede in campo bluegrass, anche stavolta si è ripetuta la buona usanza di far cerchio sul nuovo arrivato aiutandolo a produrre un disco di qualità, anche stavolta una manciata di nomi importanti si sono amichevolmente prestati per dare maggiore risalto ad un prodotto che magari sarebbe comunque stato buono, ma che non avrebbe attratto nella stessa maniera l’attenzione. Ed è centro.
Il Kenny Smith che meglio viene fuori è quello di chitarrista, davvero bravo, con un tocco fluido che ricorda David Grier, con una ritmica moderna (è nella LRB…) ed un senso della melodia che fa pensare sia stato compagno di banco di Russ Barenberg. Il prodotto riesce ad essere contemporaneo nel suono e nell’approccio ma tradizionale nello stile, e questo dimostra che Kenny ha personalità, che è in grado di stare nel mezzo, contribuendo ad avvicinare le posizioni estreme e rendendo fresco un suono apparentemente definito.
Sugar Hill SHCD 3869 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Tradizionale, 1997)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 39, 1997