Storia del Disco

Un’antica leggenda narra che oltre 3.000 anni fa un principe cinese inviava messaggi ad un altro notabile di corte racchiudendoli in uno scrigno di forma stranissima che aveva la straordinaria proprietà di contenere invece di uno scritto normale addirittura delle parole. Queste ultime uscivano poi magicamente, nell’ordine in cui erano state pronunciate, quando il contenitore veniva aperto dal destinatario.
La riproduzione sonora narrata nella favola, prima di diventare realtà avrebbe dovuto attendere per molti anni lo sviluppo della tecnologia e la genialità di Thomas Alva Edison che con la mediazione del fonografo, da lui inventato, le avrebbe finalmente dato corpo.

Grazie alle migliorie apportate al telegrafo e al telefono, due dei più importanti mezzi di comunicazione dell’epoca, Edison conosceva molto bene la possibilità di trasformare le onde sonore in vibrazioni di una punta, in grado a sua volta di modificare lo stato meccanico di una superficie. Fu infatti un pressore a molla, sotto il quale scorreva velocemente un nastro perforato dai segnali morse che diede ad Edison l’idea di un ‘bisbiglio quasi umano’ e che lo stimolò a pensare che in modo esattamente complementare sarebbe stato possibile riconvertire la traccia meccanica in vibrazione acustica.
La macchina che brevettò per realizzare tale operazione era costituita da un cilindro di ottone montato su un perno filettato terminante in una manovella. Sulla superficie esterna del cilindro era inciso un solco elicoidale con un passo uguale a quello della filettatura del perno. Questo solco aveva la funzione di registrare le variazioni di pressione subita dal foglio di stagno sotto l’azione della punta d’incisione. Nelle parti laterali erano piazzati due diaframmi metallici che si potevano avvicinare o allontanare tangenzialmente alla superficie del cilindro per mezzo di alberi a vite.

Il 6 dicembre 1877 Edison avvolgendo una lamina di stagno intorno al cilindro avvitò il diaframma di incisione e ruotando lentamente la manovella scandì i versi della celebre filastrocca Mary Had A Little Lamb, allontanò il primo diaframma, riportò il cilindro al punto di partenza, avvicinò il più flessibile diaframma di riproduzione e girò nuovamente la manovella. Edison, con risultati certo lontani dalla perfezione, udì così la prima riproduzione sonora della storia.
Ben presto la stagnola che avvolgeva il cilindro fu sostituita da una miscela di cere che permetteva un’incisione più pulita e la possibilità di riutilizzare il cilindro una volta gettato via l’impasto ceroso. Ma il vero limite del cilindro era legato alla difficoltà di duplicazione poiché esso rappresentava l’unica copia possibile dell’incisione. Il primo e più empirico modo per ottenere più di una copia di una stessa incisione fu quello di porre contemporaneamente in funzione numerosi fonografi davanti agli esecutori e per assicurarsi contro le perdite di trasferimento, l’incisione originale veniva effettuata a livello molto alto su cilindri più grossi dell’ordinario che ruotavano a 160 giri al minuto. Da questi cilindri masters le incisioni potevano quindi essere trasferite su copie di varie dimensioni e a varie velocità. Il rendimento acustico di questo sistema non era male, ma la sua lentezza di produzione lo rendeva poco economico. Ciononostante questo metodo fu usato fino alla fine del secolo.

Nel 1908 Edison portò da due a quattro minuti l’autonomia del cilindro con il suo Amberol costituito di celluloide e prodotti fenolici e la Columbia, che era nata come sussidiaria della North American Phonograph Company, di proprietà dell’inventore, e che poi divenne una delle maggiori concorrenti, si sentì costretta a reagire e introdusse sul mercato gli ‘Indistructible Cylender Records’ di un materiale simile alla celluloide. Il 1912 vide l’ultimo tentativo di Edison nell’ambito dei cilindri, l’anno successivo cominciò la produzione dei dischi. I primi furono di vetro coperto di nero fumo: la faccia del disco annerito era quella inferiore e la punta scrivente era posta sotto il disco in modo che la polvere asportata non si accumulasse ai bordi della traccia. Poi per l’incisione venne usato un disco di zinco coperto da una soluzione di cera vergine e benzina che per evaporazione di quest’ultima lasciava una pellicola omogenea di cera sulla superficie del disco che poteva così essere incisa da una punta fino a mettere a nudo lo zinco.

E fu proprio a questo punto che nacque l’idea di ricavare dall’originale di zinco una matrice inversa, pure metallica, che potesse servire da stampo per un numero praticamente illimitato di copie. La trovata era geniale, ma restava ancora da risolvere quale materiale usare per le copie stesse. All’inizio si optò per la gommalacca e si fecero dischi con questo materiale aventi diametro di 17,8 cm e velocità di 70/76 giri, ma i risultati non erano ancora pienamente soddisfacenti.
Con gli anni ’20, insieme all’elettrificazione delle incisioni, si cominciarono a produrre i primi microsolco, cioè dischi sperimentali a 78 giri, con un diametro di 30 cm, che grazie alle finissime dimensioni del solco potevano durare ben 40 minuti. La loro qualità era in costante miglioramento e verso la metà degli anni trenta i dischi avevano raggiunto un soddisfacente livello, ma fu soltanto un decennio dopo che il problema dell’impasto per le copie trovò parzialmente una soluzione.

Si ottennero infatti buoni risultati dall’incisione su lacca, precedentemente utilizzata per il riascolto immediato e fino ad allora affetta da rumori di fondo o da diafonia tra solchi adiacenti, grazie all’impiego di un incisore dotato di un sistema di riscaldamento della punta. Da masters incisi in questo modo si ottennero nel 1948 dischi aventi diametro di 30 cm stampati in plastica vinilica; la qualità dell’incisione e le proprietà del materiale avevano permesso di ridurre la velocità a 33 giri. Era il longplaying micro groove. L’anno seguente avrebbero poi visto la luce, sempre in materiale vinilico i primi 45 giri con 18 cm di diametro.

Intanto alta fedeltà e stereofonia stavano lentamente acquistando consistenza: nel ’57 la Decca cominciò a tenere dimostrazioni di stereofonia e la Westrex costruì due prototipi di incisori stereo controreazionati con direzione di modulazione inclinate a 45° rispetto al piano del disco, i quali incidevano simmetricamente e negli anni ’60 le ricerche tendenti ad ulteriori sviluppi della stereofonia condussero alla realizzazione di vari sistemi per l’immagazzinamento discografico dei segnali di quattro segnali distinti: la quadrifonia. L’ascolto dei dischi aveva ormai raggiunto livelli di qualità avanzatissima tanto che per migliorare ulteriormente le possibilità di ascolto si dovette abbandonare la lettura meccanica e introdurre quella ottica. Negli anni settanta furono messi a punto i compact disc che a prima vista si differenziano dai vecchi dischi semplicemente per il minor diametro, per il colore argenteo e per essere incisi su una sola facciata. Piuttosto che creare analogie tra la variazione di una tensione elettrica, il compact utilizza il segnale digitale che si limita ad esprimere i valori numerici assunti in istanti predeterminati. Poiché il sistema di numerazione che si utilizza è quello binario il segnale digitale assume solo due livelli: uno ‘alto’ e uno ‘basso’. L’informazione contenuta in tali segnali è pochissimo deteriorabile e permette di riprodurre informazioni sonore praticamente esenti da qualsiasi disturbo.

Per l’incisione del compact disc ci si avvale di un disco di vetro estremamente levigato e rivestito con una pellicola di materiale fotosensibile. Questo viene fatto ruotare mentre un raggio laser, modulato dal segnale digitale da incidere, impressiona ad intermittenza il photoresist. Tutti i tratti impressionati saranno poi dissolti mediante solventi e si otterrà così una traccia di sottilissime fossette. Il master viene a questo punto reso conduttivo con un processo di argentatura per poter ottenere elettroliticamente un negativo in nichel. Dal negativo si ricavano alcune madri positive e ancora parecchi stampi negativi che montati su speciali presse imprimeranno su ciascuna copia, di materiale termoplastico acrilico, le medesime tracce del master. Il compact verrà ultimato con il rivestimento di una pellicola di alluminio e una supplementare, protettiva, di plastica.
Nonostante le garanzie siano ormai eccezionali, la perfezione riproduttiva del suono viene costantemente rimandata nel prossimo futuro. Circolano infatti già voci di ulteriori possibili sofisticazioni.

Roberto Caselli, fonte Hi, Folks! n. 30, 1988

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