Larkin Poe - Venom & Faith cover album

I tempi sono davvero cambiati. Se Megan e Rebecca si fossero affacciate nel panorama musicale rock nei primi anni ’80 avrebbero raggiunto anche da noi ben altro successo rispetto ad oggi. Non che si possano lamentare, hanno girato con Elvis Costello e Marcus dei Mumford and Sons, hanno suonato in festival importanti, sono state prodotte da quel mago di T Bone Burnett, hanno già sfornato ben cinque EP e quattro album in meno di dieci anni, compresa la partecipazione a dischi tributo e ad opere di rockstar come Steven Tyler. Eppure un tempo avrebbero riempito arene e palasport anche qui. Eccessiva frammentazione di un mercato troppo ricco? Scarsa attenzione delle nostre nuove generazioni verso i suoni ‘tradizionali’? Un insieme di fattori probabilmente, compreso quello di non essere ancora passate per la TV.

Certo è che Larkin Poe è un fenomeno, a prescindere dalla nostra capacità di coglierne l’importanza. Racchiude una serie di elementi che assicurano la notorietà, rimanendo nell’ambito della proposta musicale seria, intelligente, alta. I suoni della vecchia America rurale, il profumo del sud, le immagini stereotipate finché vuoi, ma sempre efficaci di crocicchi, juke joint, apple pies e bottleneck. E poi la loro figura, mica capita tutti i giorni di imbattersi in due ragazze, sorelle, belle, bravissime, casual da vicina della porta accanto. E poi l’età, non ci si stupisca di quanto fossero giovani quando nel 2005 cominciarono a fare le cose seriamente e ad un livello già di tutto rispetto. Nel mondo della musica tradizionale, particolarmente in quello della musica country e bluegrass vedere ai festival bambini di gran talento mostrare un virtuosismo fuori dal comune, veri e propri enfante prodige, non è poi così raro, Marti Stuart, Mark O’Connor, Chris Thile, Rickie Skaggs sono lì a dimostrarlo. E’ da quell’ambiente che sono partite.

Andiamo ancora una volta a cercarle su YouTube in versione Lovell Sisters, una band newgrass che suonava rock and roll con strumentazione rigorosamente acustica. Se studi seriamente in tenera età le tecniche bluegrass ti crei un bagaglio di esperienza tanto solida da poterne beneficiare per il resto della tua vita. Non stupiamoci della padronanza di Megan sulla lap steel, la ragazza ha passato ore tutti i giorni sulla chitarra dobro sin da quando era una bambina. E la sorella sul mandolino e sul banjo e sulla chitarra. E immaginiamo quanto tempo abbiano speso nel creare quelle armonizzazioni vocali proprie della tradizione bluegrass, via via arricchite da un retrogusto gospel man mano che il sound è andato facendosi sempre più black.

Questa è l’alchimia riproposta nel loro quarto lavoro, che nulla aggiunge a quanto sentito in precedenza e dal vivo, ma che oggi ha un maggiore spessore e profondità. La voce di Rebecca è ancora più potente e adulta. I mid-tempo dominano, come del resto anche dal vivo. Questo fa sì che quando sfoderano canzoni come Sometimes, sapientemente posta in apertura, o Blue Ridge Mountains, le mani si levano verso l’alto a sostenere il ritmo e le atmosfera da chiesa di provincia, atmosfere attese tanto da risultare quasi liberatorie. Mi piace la commistione tra suoni ‘veri’ e campionati, non snaturano la tradizione, anzi la portano verso il futuro e trovo adorabile la loro capacità di rendere attuali sonorità che possono facilmente rischiare di essere considerate vecchie.

In definitiva, un buon album, che si rivela efficace nel percorso evolutivo pur non consentendo alla band di fare un salto di qualità che la elevi in termini qualitativi e di potenziale ulteriore notorietà. Forse a causa della mancanza di un singolo di pari forza e fama quale Black Betty, punto di forza del precedente Peach. Sometimes, l’asso giocato in apertura, e la splendida Hard Time Killing Floor Blues di Skip James non hanno la stessa carica esplosiva e l’appeal del vecchio classico di Leadbelly.

Tricky-Woo (USA) (Blues, Roots Rock, Blues Rock, 2018)

Maurizio Faulisi, fonte Il Blues, 2018

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