Bluegrass alla californiana? Perchè no? Del resto, a partire dal nome stesso della band (il Laurel Canyon è un famoso sobborgo di Los Angeles celebrato negli anni Sessanta anche da John Mayall), i cinque musicisti non fanno mistero della loro provenienza.
Herb Pedersen, naturale leader della compagine, lo conoscete: alterna il banjo, sul quale si fece le ossa, alle chitarre e al dobro, volentieri in coppia con l’amico Chris Hillman quando c’è da incidere dischi piú dichiaratamente country (Bakersfield Sound) o acustico-progressivi (Out Of The Woodwork).
Qui, invece, va sul classico: molto classico, forse perfino troppo. Attorniato da Kenny Blackwell (mandolino), Roger Reed (chitarra), Bill Bryson (contrabbasso) e Gabe Witcher (fiddle), Pedersen impagina un mazzo di brani in buona parte originali, ma antichi nei sapori e nelle soluzioni armoniche.
Il sound, fors’anche a causa di una registrazione poco brillante, al di sotto degli standard di Nashville, appare sulle prime polveroso, un pó vetero; strada facendo, peró, la qualitá si alza, come testimoniano la strumentale Gimme Dat Thang o la soave Hold On, firmate rispettivamente da Blackwell e Pedersen.
Immancabile l’omaggio a James Taylor con You Can Close Your Eyes, ben restituita da un arrangiamento che non la deforma, mentre – nella sua asciuttezza popolare – si impone in chiusura l’ottima Move On, firmata da Bryson.
Una specie di gospel familiare, semplice e accattivante, che sintetizza l’approccio della band alla tradizione bluegrass: sentimento, quel tanto di enfasi che non guasta, un uso morbido della chitarra. Nell’insieme un disco che si apprezza riascoltandolo varie volte.
E se la qualitá dei brani non è travolgente, spira un’aria simpatica su tutta l’operazione; basterebbe il satirico disegno di Ivan Artucovich che ritrae i cinque pichers in mezzo alle palme. Appunto, bluegrass alla californiana…
Sugar Hill 3881 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Tradizionale, 1998)
Michele Anselmi, fonte Country Store n. 47, 1999